Amore & Spam di Paola Martini

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L’autrice si racconta: Sono nata e vivo nel veneziano e ho 64 anni. Tecnico comunale, oggi in pensione, nonché giornalista pubblicista, amo scrivere sin da quando ero ragazza. Appassionata di storie di vita locale, arte e letteratura ho collaborato a diverse testate scrivendo principalmente di ciò che accade intorno a me. Adoro Venezia ma viaggio anche molto e mi reco spessissimo in Inghilterra che è come una seconda patria. 

 

 

Sollevato lo sguardo dall’asfalto, l’avevo visto arrivare in lontananza nella direzione opposta alla mia, tutto intento a non farsi travolgere dal traffico caotico in quell’ora di sera, quando tutti rientravano dal lavoro.

A onor del vero, per una frazione di secondo avevo stentato a riconoscerlo, complice la luce pallida che precedeva l’imbrunire ma, soprattutto, perché proprio non mi aspettavo d’incrociarlo. L’avevo cercato così tante volte,  perlustrando con gli occhi le strade e le piazze cittadine nella speranza di un incontro mai avvenuto! Ed ora era lì, che pedalava verso di me. Un sobbalzo del cuore nel petto, il viso che mi si arrossava e un improvviso senso di panico con la voglia pazza di scappare per evitarlo.

Non ci frequentavamo più da oltre due mesi. La nostra era stata una relazione difficile, lui era sposato e più vecchio di me,  inoltre ricopriva un ruolo pubblico in città: quell’incarico che ci aveva fatto conoscere. La nostra storia era durata quasi un anno, poi avevamo capito, o meglio, io avevo capito e senza troppe nuove parole avevo troncato. Un taglio netto, e più nessun contatto. Non era stato facile, per la sofferenza e per quel senso di mancanza che mi portava a perlustrare la città nella speranza di vederlo almeno da lontano. Due mesi dopo, a Mario pensavo sempre meno.

Ed  eccoci qui: in corsa sulla strada e con il panico che mi si era scatenato dentro per dover decidere cosa fare. Salutarlo? Fingere di non vederlo? Girare la bicicletta e cambiare direzione? La cosa più semplice fu alzare la mano destra e agitarla in segno di saluto dicendo: «Ciao» mentre lo superavo continuando a pedalare. Mario, sorpreso di vedermi, evidentemente si era accorto di me solo all’ultimo momento, mi aveva risposto allo stesso modo. Poi l’avevo seguito con la coda dell’occhio e l’avevo visto girarsi all’indietro sul sellino della bicicletta fino a sbilanciarsi, pur di continuare a guardarmi mentre fuggivo via pedalando e per lui era arrivato il momento di svoltare in una pacifica strada alberata. Avevo anche visto, però, l’iniziale sorpresa apparsa sul suo viso trasformarsi, rapidamente, nella genuina gioia di vedermi.

“No, non mi è ancora passata – mi dissi – solo rivederlo di sfuggita mi emoziona al punto da voler fuggire in preda al panico, pur di sottrarmi al desiderio di tornare da lui. No, non ci siamo proprio Giulietta mia!”. Le lacrime mi riempirono gli occhi e desideravo solo entrare in casa e piangere.

 

In realtà, una volta a casa avevo dovuto prima di tutto dar da mangiare a Tigre, la mia gatta grigia tigrata, appunto, di nero con qualche filo bianco, che miagolando mi era corsa incontro reclamando la sua porzione di coccole e cibo. Poi mi ero preparata una cena veloce,  quindi, con un calice di frizzante Prosecco in mano, mi ero seduta al computer, per controllare le mail del giorno e sbrigare la corrispondenza.

Lo facevo tutte le sere. Mario, però, restava fisso nella mia testa e nel cuore e, nell’accendere il p.c., un desiderio forte si faceva strada: la speranza di trovare una sua mail. Era un desiderio sciocco, lo sapevo.  Mario aveva un carattere forte ed era permaloso. A voler chiudere la relazione ero stata io: “Quando mai un uomo chiude con un’amante che chiede solo briciole?”. Lui si era molto irritato per questa mia determinazione e potevo star certa che non mi avrebbe più contattata, o almeno non l’avrebbe mai fatto per primo. Insensati, il desiderio e la speranza si erano però annidati in un angolino, non so se del cuore o della mente: la speranza di un suo breve saluto, il desiderio di un cenno qualsiasi con una scusa banale che mi facesse capire che non mi aveva dimenticato.

Non c’era nessuna mail di Mario.

Bevvi il vino per darmi un po’ di forza. “Non si ricorda più del nostro amore – mi dissi con amarezza – eppure nel rivedermi il suo sguardo era felice, mi suggeriva la vocina nell’angolino del cuore”.

La tentazione di riprendere, magari inviandogli una mail, si faceva strada in me. Sempre più combattuta, mi auto bloccai dicendomi: “No, assolutamente no, questa relazione così complicata non deve più ricominciare in nessuna forma. Moglie, figli, lui che deve scappare dalla sua famiglia, lui che non si fa vivo per giorni impegnato con il lavoro e io lì ad aspettare, no non se ne parla proprio, non si deve ricominciare né con telefonate né con mail, niente di niente altrimenti si torna al punto di prima”.

Intanto avevo scorso la posta, molta pubblicità come sempre, la mail di un cliente che mi chiedeva il rinvio dell’appuntamento del giorno successivo ad altro giorno; rinvio accordato dopo un controllo dell’agenda. Una di Marisa, che mi comunicava di aver acquistato le scarpe blu che mi aveva già detto di voler comprare. «Brava, hai fatto bene e poi a quel prezzo sarebbe stato un delitto non comprarle. Sei stata fortunata» avevo risposto. Un’altra amica, la quale con i saluti mi aveva inviato un video musicale allegro e spiritoso e così per un momento avevo sorriso e scordato le mie pene d’amore. Bello davvero! “Lo invio a Matilde, la piccolina di famiglia, dieci anni più giovane di me che se ne sta ancora all’Università a Padova. Sarà contenta di ricevere un saluto dalla sorellona” mi ero detta. Click, partito!

Intanto, quella vocina nell’angolino del cuore o della mente che fosse, mi sussurrava: “Mandalo anche a Mario, cosa vuoi che sia un video, così vedi come reagisce”. Con che rapidità il mio amore per lui era tornato struggente e quanto mi pesava ora quel silenzio e quanto desideravo interromperlo!

Mi chiedevo: “Mario non sente la mia mancanza? Fino a quando resisterà senza accampare un pretesto qualsiasi pur di rivedermi?”.

C’erano state altre volte in cui la nostra relazione si era interrotta poi, con una scusa qualsiasi i contatti erano ripresi e con essi l’amore, mai realmente finito. Questa volta, però, io ero stata categorica: “Basta Mario, non si può continuare così, io ci soffro troppo”.

Intanto la vocina continuava: “Se tu facessi circolare il video tra gli amici, poiché è così divertente, e vi aggiungessi Mario, che male ci sarebbe? Lo trasmetti in un blocco d’indirizzi, così vede che non è che stai pensando a lui”. Ma quante fandonie mi stavo dicendo! Così finì che lo inserii tra alcuni amici, seguendo un ordine alfabetico in modo che Mario non fosse né il primo né l’ultimo. Al momento di spedire, però, mi fermai e tolsi il suo nome: non volevo che tutti sapessero che era mio amico. Inviai, ma non a lui. Ci ripensai. Creai un secondo blocco d’indirizzi e inclusi Mario. Mi fermai di nuovo, titubante, mi pareva di aver ripetuto il nome di qualcuno già inserito nel primo invio. Sudavo per l’agitazione interiore. Abbandonai l’idea di far circolare il video e abbandonai internet. Mi sentii una codarda, entrai decisa nella posta elettronica, inclusi Mario tra gli amici e click, il video galeotto partì.

Uscii da internet sfinita e spensi il computer.

Tigre guardava perplessa il mio viso, più rosso del divano su cui lei stava acciambellata. Io mi ero già pentita dell’invio.

 

Passai la notte e il giorno seguente in preda a un’assurda agitazione, rimuginando quello che avevo fatto e dandomi continuamente della sciocca. “Ma come, non avevo capito che questa volta era tutto diverso dalle altre volte? Cosa mi ero umiliata a fare, visto che il gesto era assurdo e comunque la nostra relazione era impossibile da portare avanti? L’amante di un uomo sposato, il fascino delle tempie e della barba brizzolati e la notorietà pubblica dell’amato di mezz’età erano una storia da manuale, una storia che si ripete da sempre. Com’era possibile che io, proprio io, con le mie idee femministe e la mia intelligenza ci fossi finita dentro? Va bene, se al cuore non si comanda ciò che bisogna fare è restare lontani, non vedersi, non frequentarsi mai più. E con il tempo tutto passa”.

Ciò nonostante, continuai a tormentarmi per quel video anche nei due giorni successivi, scrutando ogni sera la posta elettronica nella speranza di trovare un suo messaggio. Ma non c’era niente. Avvampavo immaginandomi lui che rideva di me. Mi sentivo bruciare per la vergogna, per aver esibito senza pudore e senza orgoglio la mia incapacità di fare a meno di lui. Mi sentivo mortificata: da Mario che mi rifiutava, da me stessa che dipendevo da un suo cenno, da una sua attenzione.

 

Trascorsi tre giorni, la mia testa trovò finalmente un po’ di lucidità e mi resi conto che nessuno degli amici cui avevo trasmesso il video  mi aveva risposto e, neppure Matilde, la mia sorellina, mi aveva scritto per ricambiare il saluto. La cosa era strana. Certo non tutti, ma alcuni amici solitamente coglievano l’occasione per mandarmi un saluto.

Così, quando al mattino, sulla strada verso l’ufficio, incontrai Marino, mi fermai e gli chiesi se avesse visto il video. Mi rispose di no, ma mi ringraziò comunque per il pensiero. Telefonai allora a Teresa che controllò subito la posta elettronica e mi confermò di non aver ricevuto niente. «Era importante? – mi chiese – rispediscilo appena puoi». «No, non era niente, solo un saluto divertente, ma forse qualcosa non funziona nel mio computer e ho voluto verificare» risposi. Telefonai a Ruggero, il mio amico tecnico informatico e gli chiesi di passare per casa mia, quella sera stessa, per un controllo del mio p.c.

Ruggero arrivò puntuale alle sei e un quarto, come aveva detto. «Sì, i messaggi sono partiti, ma non sono arrivati a destinazione e il server non ti ha segnalato nulla» disse Ruggero «Fammi un po’ capire, forse si tratta di un virus che ti manda tutto nello spam». Circa mezz’ora dopo, quell’energico e fidato giovane uomo che era Ruggero, sempre gentile e disponibile con tutti, aveva risolto il mio problema con la posta elettronica. «Ora dovrebbe andare tutto bene, caso mai avvisami se ci fosse ancora qualcosa che non va, ok?». «Certamente, ti ringrazio, quanto ti devo?» gli chiesi. «Ma va, è stato un piacere aiutarti» rispose, e accettò solo mezzo bicchiere di birra che bevve in mia compagnia. Andava di fretta come sempre, ma sulla porta mi schioccò un bacio sulla guancia e, a sorpresa, mi domandò: «Giulia, che ne diresti di uscire con me una di queste sere?».  Non me lo aspettavo proprio. Rimasi un attimo interdetta, ma come potevo rifiutare l’invito dopo il suo aiuto tanto provvidenziale? Così, con un sorriso gli risposi: «Venerdì sera al cinema, ti va bene?».  S’ illuminò tutto e mi rispose allegro: «Caspita, certo che mi va bene, passo alle sette d’accordo? Così prima si va a mangiare un boccone insieme». «Sì, va bene, a venerdì. A presto!». Ero felice anch’io dell’appuntamento.

 

Chiusi la porta e tirai un sospiro profondo: quel video, che avevo spedito in un momento d’umiliazione, Mario non l’aveva mai ricevuto.

Dalla porta della cucina spuntò Tigre. Miagolò e mi guardò con aria di rimprovero. «I croccantini!» esclamai ad alta voce «mi sono dimenticata dei tuoi croccantini» e corsi ridendo verso l’armadietto del cibo. «Hai visto» le dissi, mentre sorridendo  riempivo la ciotola «hai visto, tigrotta mia, che Ruggero mi ha già fatto perdere la testa?».  E mentre lei, felice, tuffava il muso tra i croccantini, la accarezzai dolcemente.

Confidenze