Casa di bambola di Henrik Ibsen

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Un grande classico del teatro, uno dei primi manifesti del femminismo, datato 1879. Casa di Bambola di Henrik Ibsen mette a confronto l'identità maschile e femminile

Nora è pronta. Ad andare via. Per sempre. La disperazione è totale. Quando, per aiutare il marito malato, aveva contratto un debito falsificando la firma del padre, lo aveva fatto per amore.

Ma essendo la vita solo una questione poco romanticamente riconducibile a un ordine cosmico, tutto, prima o poi, sale in superficie. E le ragioni di ognuno, le motivazioni, restano dominio personale. La comprensione, cosa rarissima. Immaginateli, Nora e Torvald.

Ultimo atto. La casa, è quella della bambola.

Torvald ora sa. Krogstad ha scritto. Ha raccontato. Ha raccontato quello che ha fatto Nora.

Poi basta un attimo. Arriva un’altra lettera. Quello che ha fatto Nora non si saprà. Torvald è salvo. Non dovrà sottostare al ricatto.

È tutto passato, Nora. Ti perdono. Sono una persona magnanima, io, cosa credi? Ti perdono, bambola. Io giudico. Io condanno. Io ti uccido. Ho ucciso un po’ di te ogni giorno, piccola. Ma ti perdono, cosa credi?

Ti ringrazio per il tuo perdono”.

Ma che fai, Nora? Perché ti sei vestita? È tardi…

 

Mi chiamo Nora, Torvald. E non sono una bambola. Guardami. Guardami. Mi chiamo Nora. Ho dei figli…dei figli, dovrei essere in grado di educarli, ma non sono capace. Io non sono una buona madre. Oggi posso dirlo. Posso dirlo che mio padre non è stato un buon genitore. Mi avete trattata come una bambola, prima lui e poi te. Non sono una buona madre. Non basta la presenza. Non bastano le ansie. Non basta il presunto amore.

Che cosa dici?”

Cosa dico? Dico che non sono stata educata. Dico che oggi devo diventare genitore di me stessa. E questo non posso farlo con te. Non posso farlo con una persona che mi ha adorata quando ero come si aspettava che io fossi e insultata quando ho tentato di affermare la mia identità. Vado via. Io vado via.

Cosa dirà la gente, bambola? Ma dove vai? Dove credi di poter andare? Dici di chiamarti Nora, bambola. Ok. Nora. Dove credi di poter andare? Hai dei doveri. Verso di me. Verso i tuoi figli.

Verso me stessa”. 

Mi chiamo Nora. Varcare quella soglia. Chiudermi la porta alle spalle. La porta della mia casa. Lasciare i miei figli. E portare via me, un involucro vuoto. Abbandonare il mio cuore tradito. Schiava. Ero una schiava. Un trastullo. Una bambola.

Mi chiamo Nora. Mi chiamo paura. Mi chiamo solitudine. Mi chiamo che provo ad avere coraggio. Mi chiamo che non sono sconfitta. Mi chiamo che non perderò i miei figli.

 

Mi chiamo tutti i nomi del mondo.

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Henrik Ibsen, Casa di bambola, Einaudi

 

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