Il sorriso di Leo

Cuore
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“Il sorriso di Leo” di Mariella Loi, è la storia vera più apprezzata del n. 14 di Confidenze. Ve la riproponiamo sul blog

 

Oggi mio figlio ha quattro anni, è un bambino giocoso e sempre allegro, nonostante soffra della Sindrome di Charge, una malattia invalidante. I progressi che ha fatto sembrano frutto di un miracolo. Invece, è il risultato dell’aiuto di tanti

Storia vera di Elisa Broccardo raccolta da Mariella Loi

 

Lapo, il mio primo bambino, era nato con il taglio cesareo, una scelta inevitabile dato che al momento del parto si era presentato podalico. Ma a me era dispiaciuto perdermi i suoi primi momenti, non poterlo tenere subito in braccio. Per questo quando tre anni dopo ero rimasta nuovamente incinta avevo espresso il desiderio di partorire naturalmente. La gravidanza era andata bene, l’ecografia del terzo mese aveva evidenziato che il bambino aveva un piccolo difetto cardiaco, ma una cosa lieve, di quelle che non destano preoccupazione e l’amniocentesi eseguita subito dopo aveva escluso l’esistenza di tare genetiche.

Io all’epoca non lo sapevo, ma difficilmente quest’esame evidenzia la presenza di malattie rare. Che qualcosa non andasse per il verso giusto il personale medico doveva averlo intuito, ma neanche quando un esame all’ottavo mese evidenziò che il bambino aveva un occhio più piccolo dell’altro, nessuno mi

parlò apertamente e io, credendo che andasse tutto bene, sono andata a partorire felice.

Leonardo è nato con il parto naturale, ma neanche questa volta mi fu possibile tenere in braccio  mio figlio perché già al momento della nascita i medici si accorsero che il bambino presentava alcune gravi anomalie tipiche della Sindrome di Charge.

La Sindrome di Charge è una malattia rara e gravemente invalidante che comporta una minorazione dell’udito e della vista, problemi cardiaci e respiratori, talvolta anche l’incapacità di deglutire. Ogni bimbo ha le sue peculiarità in fatto di manifestazione della malattia e anche i tempi e le possibilità di recupero non sono uguali per tutti, ma queste sono cose che avrei scoperto in un secondo tempo.

A seguito della diagnosi, Leonardo rimase due mesi e mezzo in terapia intensiva neonatale, io nel frattempo ero stata dimessa, ma ogni mattina andavo in ospedale e passavo tutto il tempo con lui.

Ogni giorno il personale medico mi comunicava qualcosa di nuovo e purtroppo non erano mai buone notizie. Eppure quanto la situazione fosse grave l’ho capito solo quando una pediatra mi ha consigliato di rivolgermi alla Lega del Filo d’Oro.

 

Una comunicazione del genere ti fa piombare nella disperazione più nera, il dolore ti paralizza, perché la sofferenza di un figlio la vivi come tua e te ne senti un po’ responsabile.

Doveva averne visti tanti di casi come il mio la dottoressa che mi diede quel consiglio, perché vedendo la mia reazione cercò di scuotermi. «Non puoi farti abbattere dal dolore» mi disse, «tuo figlio ha bisogno di te e la forza ti serve perché saranno tante le cose che dovrai affrontare dal punto di vista umano e burocratico».

La Lega del Filo d’Oro la conoscevo bene, nascere sordociechi fra le tante disabilità possibili pensavo fosse la peggiore e adesso in quella situazione c’eravamo io e il mio bambino.

La prima reazione fu di chiusura e rifiuto del problema, ma l’elaborazione del lutto richiede tempi lunghi e io di tempo ne avevo poco. Così appena Leo fu dimesso, decisi di prendere contatto con la Lega del Filo d’Oro.

La prima persona che conobbi fu Laura, un’assistente sociale dalla grande umanità, che mi parlò di un gruppo Facebook di mamme di bambini con la Sindrome di Charge.

Presi coraggio e mi iscrissi: per me è stato come entrare a far parte di una grande famiglia.

Il primo trattamento intensivo di Leonardo a Osimo, dove sorge la sede della Lega, è stato nel settembre 2016, quando il bambino aveva 16 mesi. Da quando era nato, ci eravamo concentrati sugli aspetti clinici e sanitari della sua malattia, ma adesso era arrivato il momento di dare spazio a Leonardo come bambino. Fino a quel momento io mi ero occupata di lui come un’infermiera, ma era di una mamma che Leo aveva bisogno.

Quando alla Lega mi hanno chiesto che giochi amava fare mio figlio, io non sapevo cosa rispondere perché di tempo per giocare con lui non ne avevo mai avuto. Invece, il gioco è uno strumento utilissimo per stimolare le capacità neurosensoriali.

Il trattamento intensivo a Osimo ha dato ottimi risultati, Leonardo ha fatto progressi enormi, ha cominciato a gattonare e a interagire con noi. Quel soggiorno è stato molto utile anche per noi genitori che abbiamo appreso le tecniche per stimolare il bambino nel modo più adeguato.

Una volta tornati a casa abbiamo iniziato a lavorare sulle immagini perché Leo imparasse ad associarle ai segni, aprendo con lui un primo canale di comunicazione. Ma soprattutto in quel contesto abbiamo trovato anche il nostro posto come genitori, ci hanno spiegato come comportarci con nostro figlio, trasmettendoci le giuste consapevolezze per affrontare al meglio questo percorso. Siamo ritornati a Osimo nel 2017 per un secondo trattamento e anche questa volta i risultati non si sono fatti attendere.

 

Leo oggi è un bambino sereno, sempre allegro e gioioso. Da un anno frequenta il nido dove si è integrato molto bene, i bambini non hanno percezione della sua disabilità, per loro tutto è un gioco e tutto è motivo di curiosità. Anche Lapo non percepisce la disabilità di suo fratello. I due sono molto legati, giocano insieme. Leo poi ha una vera e propria adorazione per la nostra cagnolina, una Jack Russel affettuosissima, è lei la prima che cerca quando entra in casa, ricambiato nell’affetto. Oggi Leo ha quasi quattro anni, ama molto giocare con le costruzioni, gli piacciono i tablet e ha spiccate doti digitali. Quando lo guardo, penso sempre che sia frutto di un piccolo miracolo, ogni suo progresso lo è. Basti pensare che ha imparato a camminare e questa è stata una sorpresa perché lui non ha alcune parti dell’orecchio utili all’equilibrio. Da un po’ di tempo ha una spiccata curiosità per il cibo, lo accosta alla bocca, gioca con le posate. Per ora continua ad alimentarsi con la siringa, ma spero che in futuro si possa superare anche questo limite.

A oggi sono soprattutto io a occuparmi di lui, al nido è prevista l’assistenza infermieristica e la presenza di un interprete della lingua dei segni.

Adesso stiamo già pensando alle vacanze, io e mio marito siamo camperisti e abbiamo un gommone. Una delle cose che ci siamo detti quando è nato Leo è stata: «La nostra vita non sarà più quella di prima, ma dobbiamo continuare per quanto possibile a fare le cose che abbiamo sempre fatto».

Io credo che questa serenità Leo la senta e sono convinta che anche a questo sia dovuto il suo grande sorriso, quello di cui si innamorano tutti quelli che lo conoscono.

 

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