La seconda moglie

Cuore
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Abbiamo festeggiato i 70 anni del giornale con sette straordinari racconti degli anni ’40, pubblicati sul n.48 con i disegni originali. Vi riproponiamo il più apprezzato

 

La seconda moglie di Marion Valensi

 

Andreina Martin aveva trent’anni quando Marco Bradley la chiese in moglie e, dopo il matrimonio, le era sembrato impossibile che tanta felicità potesse continuare.

Per questo, una mattina, svegliandosi, si sentì tremare di paura e le venne fatto di ripensare a un detto di suo padre: “Dio sorride a chi si propone di colpire”. La sua paura si cristallizzò in un pensiero che prendeva la forma dello spettro del­ la bellissima Eva Bradley, la prima moglie di Marco, ch’egli aveva adorato, e che, sebbene defunta, Andreina aveva la sensazione di trovare sempre pre­sente fra loro due.

Fino ad allora Andreina aveva creduto di essere felice, perché si era semplicemente acconten­tata di quello che il mondo le aveva concesso. Rimasta orfana di padre a diciassette anni, per pagare i debiti, assistere la ma­dre brontolona e malaticcia e permettere al fratello minore di terminare gli studi, aveva ab­bandonato le scuole e si era messa a lavorare. Venuta con la madre a New York, dalla citta­dina dell’Ohio dove il padre aveva esercitato la professione legale, Andreina era entrata nella ditta “Bradley e Weeks”, dove, per le sue qualità, dai più umili posti, dopo alcuni anni era stata promossa fino a diventare la segretaria particolare del principale: Marco Bradley. Standogli vicina ogni giorno, a poco a poco, Andreina era riu­scita a capire quell’uomo poco socievole, ad apprezzarne le solide qualità morali e l’indole profondamente onesta.

 

Andreina non aveva mai stretto amicizie maschili, né pensato al matrimonio. Dopo aver fatto conoscenza con Mar­co Bradley, le riuscì ancora più difficile affiatarsi coi giovanot­ti, perché inconsciamente aveva preso l’abitudine di fare il pa­ragone fra le loro qualità e quel­le di Marco Bradley, e nessuno aveva resistito alla prova. Così si era accorta di amare Marco, sebbene fosse già sposato con una donna che adorava. Andreina lo amava per la sua rettitudine, la sua onestà, la sua cortesia e, soprattutto, per quel suo ridere schietto aperto e sincero, che lo rendeva simpa­tico a tutti. Così, quando Marco cominciò a ridere meno spesso, il cuore di Andreina si contras­se di paura e di sofferenza per­ché, nel frattempo, aveva sco­perto molte cose, sul conto di Eva Bradley.

A ventinove anni perse anche sua madre e la solitudine si fece pesante intorno a lei. Co­minciò a dimagrire, le si infos­sarono un poco gli occhi, era stanca e piangeva spesso per nulla. Troppo lavoro e, forse, questione di nervi. Un giorno ricevette una lettera da Elsa French, una collega che si era recata in Florida con una vec­chia dama, di cui era la segre­taria, e il contenuto di quella comunicazione continuava ad assillarla, nonostante il lavoro febbrile della giornata. Elsa le raccontava dei pettegolezzi: Eva era in Florida e si vedeva trop­po spesso in compagnia di Scott Vincent; tutti si domandavano se il marito fosse al corrente della tresca. Probabilmente no, concludeva la lettera, perché il marito è sempre l’ultimo a sa­pere.

 

Gli occhi di Andreina si offuscarono di lacrime a questo pensiero, tanto che perfino Marco se ne accorse.

«Siete stanca?» le domandò imbarazzato. «Quanto mi di­spiace. Sono imperdonabile. Vi ho fatto lavorare come un cane. Avete bisogno di una vacanza!». Ma Andreina sorrise.
«Non sono io che ha bisogno di una vacanza, siete voi. Avete lavorato per tre, quest’inverno, e sempre con quel cattivo raf­freddore. Perché non andate anche voi un poco in Florida a riposarvi, con vostra moglie?». «Non fate la sciocca. Sapete bene che non posso. Devo cer­care di non perdere neanche un centesimo; la casa costa, ho la moglie in Florida e una ragazza grande da mantenere a scuola» rispose Marco ridendo.

«Ma il denaro non è tutto. Ci sono altre cose che contano di più al mondo» esclamò Andrei­na con tanta intensità nella voce che, accorgendosene, tac­que a un tratto, spaventata. Provava quasi una sofferenza fisica al pensiero che Marco veniva tradito, forse a causa della sua stessa onestà, e le sembrava assurdo, fantastico, che lei, la segretaria, fosse al corrente di cose che lui neanche sospettava. Eppure le occasioni non gli erano mancate, special­mente, ad esempio, alcuni mesi prima, quando gli orefici gli avevano mandato erroneamen­te il conto di un portasigarette già pagato da Eva, e che Andrei­na aveva tentato, con successo, di fargli credere dovuto a uno sbaglio per omonimia. Marco, soddisfatto, si era perfino di­menticato dell’incidente. Andreina, poi, aveva avuto la prova lampante dell’infedeltà di Eva, recandosi un giorno, per incarico del principale, a cerca­ re alcuni documenti importan­ti da lui dimenticati alla sua fattoria in campagna. Arrivando colà, Andreina si era molto meravigliata di vedere ferma davanti alla porta di quella casa solitaria, la mac­china di Eva che, ufficialmente, avrebbe dovuto trovarsi a Fila­delfia da sua sorella. Entrando, infatti, l’aveva scoperta in com­pagnia di Scott Vincent, ma con molta disinvoltura, Eva l’aveva pregata di non dire nulla a Mar­co, col pretesto che gli stava rimettendo a nuovo lo studio, come una sorpresa, valendosi dei consigli e del buon gusto di Vincent. Andreina aveva credu­to di capire molte cose e, se le fosse rimasto qualche dubbio, la lettera di Elsa l’avrebbe di­strutto.

Spingendo Marco a raggiunge­re la moglie credeva di aiutarlo a salvare la sua felicità. Ma lui la guardò commosso dalla sua gentilezza e disse, sorridendo: «Siete una strana ragazza. Il mio raffreddore è quasi passa­to e poi è inutile che vada in Florida. Mia moglie ritorna fra pochi giorni».

Ma Eva Bradley non ritornò più. Il giorno dopo titoli a caratteri cubitali annunciavano un disa­stro aereo: tre morti. Eva Bradley era fra questi, Scott Vincent fra gli scampati. Quando, parecchi giorni dopo, Andreina scorse fra le mani del principale una lettera di Vin­cent, guardando il viso stanco e solcato dal dolore, comprese che non aveva mai saputo nien­te, e si consolò.

 

Un giorno egli la invitò per la prima volta a cena con lui, dopo una giornata di intenso lavoro in comune, e a tavola parlò quasi esclusivamente di Judy, sua figlia.

«Vi assomiglia?» domandò An­dreina. E subito rimpianse la domanda, vedendo la smorfia di dolore che contrasse il viso di Marco.

«No, assomiglia a sua madre. È molto carina. Anche a lei non piace la vita alla fattoria; è trop­po solitaria. Anche a mia moglie piaceva la compagnia e il diver­timento».

Andreina cercò un diversivo, parlando della fattoria ch’egli amava, dei cani e dei cavalli e ricordò la sua infanzia nell’Ohio. Dopo cena, salutandola davanti alla porta di casa, egli le disse: «Dopo tanti anni, mi pare di avervi conosciuta solo adesso. Vi ho sempre saputa intelligen­te e capace, ma non tanto sim­patica». Le sorrise e parve rasserenato.

«Anch’io ho passato una bella serata. Ma ho sempre parlato di me…».

Rientrata nel suo appartamentino, guardandosi allo specchio, si trovò quasi ringiovanita e più graziosa, ma si diede della sciocca, perché aveva trent’anni e probabilmente Marco non l’avrebbe invitata mai più. Invece la invitò ancora e spesso a cena, qualche volta a teatro, a fare qualche gita in automobile e, venuta la primavera, a vedere i cavalli alla fattoria. Parlavano sempre di tante cose, ma solo quando parlava di Judy gli occhi di Marco brillavano. Andreina aveva sempre paura di doversi svegliare da un sogno. Finalmente, un sabato sera, ritornando dalla fattoria, Marco, per la prima volta era salito in casa sua. A un tratto, guardandola con un sorriso che la fece tremare di felicità, egli osservò: «Chissà, se potreste andare d’accordo con Judy». E, gravemente, le aveva preso fra le mani magre e forti il visino tondo e, guardandola negli occhi, le aveva detto: «Andy, credi di volermi bene abbastanza per… arrischiarti a prenderci tutti e due? Qualche volta soffro di lune. Non ho sempre reso felice Eva, devi saperlo». Anche allora, nell’istante più bello della sua vita, mentre la baciava e la stringeva fra le braccia, lo spettro di Eva si metteva fra loro.

Si sposarono in una chiesa della Quinta Strada, mentre Judy era andata a fare una gita con la scuola. Invece di fare il viaggio di nozze andarono in Messico per l’affare di un ponte e ritornarono a NewYork, nell’appartamento di Marco, dove Andreina si trovava a disagio, sentendo un’ombra sopra la sua felicità, dove le pareva di essere un’estranea e un’intrusa, fra quelle cose ch’erano appartenute a Eva, che costituivano la cornice della bellezza di Eva. Anche Marco finì con l’accorgersene e le disse, quasi con amarezza: «Quando ritorneremo in città in autunno, potrai cambiare la casa secondo il tuo gusto, cosi ti troverai meglio». «Sì» rispose Andreina onestamente, «sarò contenta di rimetterla a nuovo».

 

Alla fattoria andò meglio. La presenza di Eva qui non si sentiva e Andreina si trovava a suo agio fra i vecchi mobili che erano appartenuti ai genitori di Marco. Passava le sere seduta a prendere il fresco sotto il portico, vicina a Marco, la sua felicità le sembrava perfetta.

La sera precedente l’arrivo di Judy, Marco, tenendola fra le braccia e baciandola le disse: «Andy, mi sei tanto cara, e mi fai tanto felice. Lo sai, vero?». Andreina pensò: “Vuole essere gentile. Sa che nella bellezza di Judy ritroverò Eva. Mi prepara”. Judy arrivò il giorno dopo. Alta, snella, tutta rosea e dorata, un’Eva più giovane, un’Eva diciottenne, accanto alla quale Andreina si sentiva goffa, oscura ed estranea, tutta spaventata e a disagio, e l’incantesimo dei giorni precedenti si ruppe. Judy la baciò con freddezza e Andreina fu contenta che Marco non se ne accorgesse, altrimenti avrebbe scoperto la sua paura.

Ritrovandosi con la fanciulla il giorno dopo, non riusciva a scovare un argomento di conversazìone che la interessasse giacché tutti i suoi sforzi erano accolti con freddezza e ostilità. Finì col suggerire una cavalcata. «Fatemi il piacere, Andreina, non trattatemi come un’ospite. Dopo tutto, sono a casa mia, non è vero?».

«Lo so, lo so, cara, Anzi, se mai la nuova arrivata qui sono io». Judy la guardò fissamente con gli occhi freddi e rispose: «Sì, la nuova arrivata siete voi». Andreina, per lealtà verso Marco, non rispose, ma da quel momento cominciò fra loro una sorda campagna di ostilità che Andreina continuò a celare a Marco e a combattere invano. Una mattina, avendo osservato che faceva un po’ fresco per andare a nuotare, Judy le rispose con accento d’ira: «Vi siete messa in mente di guastarmi tutto, non è vero? Mi odiate perché siete gelosa di me e di lei, della mia bella mamma».

 

Un altro giorno, avendole domandato se le sarebbe piaciuto restare in città per farvi le sue compere, la fanciulla aveva risposto: «Credete di essere furba, vero? Sapete che il babbo ama la fattoria e fingete anche voi di amarla. Volete fargli credere che io invece la odio, che mi annoio qui perché anche mia madre vi si annoiava. Mi annoio, sì, ma so essere furba anch’io».

Di sera, in presenza di suo padre, si dava delle arie di dolce tristezza ed egli la prendeva fra le braccia e Andreina provava la sensazione di rimanere sola. Del resto, in presenza di suo padre, Judy era sempre gentile e ubbidiente e Andreina sapeva di non possedere altre armi contro la sua ipocrisia se non quelle che non avrebbe mai usato.

I vestiti, un ballo, un ricevimento, tutto diventava argomento di discussione. Judy diceva: «Oggi volevo andare a teatro con Margie, ma Andreina aveva lei l’auto». Oppure: «Mi sarebbe piaciuto invitare tutta la compagnia per il fine settimana, ma Andreina ha dato libertà a Tom e Mollie per domenica» e le parole che Andreina pronunciava per difendersi suonavano sempre false.

Una sera, finalmente, Marco le disse con una certa freddezza: «Andy, cerca di non essere troppo critica a proposito degli amici di Judy. Quella ragazza è molto sensibile e cede sempre facilmente per farti piacere». Andreina rispose con una certa curiosità: «Vuoi forse parlare degli Harrer, che volevano condurla sul lago? Ma non credo che fosse una cosa sensata».

«Non vedo perché, dato che andava anche la loro madre».

«Ma Judy non me l’aveva detto!» esclamò Andreina. «Strano, perché credo quello sarebbe stato il miglior pretesto. Ne sei ben sicura?».

«Sicurissima» rispose Andreina.

 

Più tardi Judy la guardò con aria tra offesa e innocente dicendo: «Siete proprio sicura che non ve l’avevo detto?». Poi, sorridendo quasi per perdonare soggiunse: «Oh, adesso è passato. Non parliamone più». La cosa più terribile per Andreina era l’incertezza in cui si dibatteva Marco, che, per tutta la sera, la trattò con una certa freddezza. La loro intimità veniva guastandosi. Quando si ritrovarono soli, riparlarono di Judy: «Cerca di andar d’accordo con Judy. La bimba ha bisogno di te».
Andreina si sentiva come una pedina fra loro. Se avesse voluto meno bene a Marco gli avrebbe detto: “Marco, Judy mente. È figlia di Eva, anche Eva faceva lo stesso, anche lei aveva bisogno di essere tenuta a freno. Judy finirà col rovinarsi l’esistenza. Non vedi che vuol distruggere la nostra felicità?”. Andreina, in quella notte insonne, agitandosi nel letto, sentì venir meno il suo coraggio. Perché sacrificarsi e sacrificare la sua vita sull’altare eretto alla memoria di Eva, e alla figlia di Eva? Perché non dire la verità? Perché lasciarlo tradire anche da questa?

La risposta era in mano sua. Pensava alla sua nonna pioniera che diceva sempre: «Basta volere, si trova sempre una via di uscita; bisogna pregare ».

 

La mattina dopo, Andreina, seduta al vecchio scrittoio di Eva, stava rivedendo dei conti, ma il cervello non le voleva funzionare e quando Judy, entrando, parlò, diede un balzo e le cadde la penna dalle mani. «Mi dispiace di avervi spaventata. Avrei potuto bussare; ma ero abituata con la mamma, che stava sempre seduta a quella scrivania».

«Judy, la vorresti per te, questa scrivania? Non ci avevo mai pensato».
Judy strinse gli occhi.

«Infatti, mi piacerebbe possederla. Voi potreste procurarvene una nuova, non è vero?». Andreina rise. «Io non ne ho bisogno. Per tutto quello che scrivo io basta quella dello studio. In questa non tengo che qualche conto di casa. Li tiro fuori subito. Sarebbe meglio togliere anche i cassetti, così Tom potrebbe muoverla meglio». Trasse il cassetto superiore, ma lo trovò incagliato.

«Ci dev’essere qualche cosa che lo ostruisce, forse un pezzo di carta. Non l’ho mai aperto». Diede uno strappone e il cassetto uscì fuori, mentre un foglio cadeva per terra. Andreina lo raccolse e, sulla pagina piegata, scritto a caratteri larghi e arditi, la scrittura di Vincent, lesse: “Un mutamento nei nostri piani, amore”. Spiegazzò il foglio fra le dita, facendo il gesto di gettarlo nel cestino, ma Judy gridò: «Datemelo. Quello apparteneva a mia madre».

La mano di Andreina si contrasse. «Non fare la sciocca. È una vecchia lettera».
«Non è vero. Mi avete detto di non aver mai aperto quel cassetto» urlò quasi la fanciulla. «Judy, non ti accorgi di diventare scortese?» osservò Andreina con voce tremante.

Judy, con un balzo, si impadronì del pugno chiuso di Andreina, la quale, stringendolo forte, esclamò: «Judy, mi fai male». «È mia intenzione farvi male». «Ma io non te la darò. È ridicolo quello che fai. A chiunque appartenga, non è tua. Anche se fosse di tua madre, potrebbe essere una cosa riservata. Non è affar nostro guardarla; era sua».

«Mia madre non aveva niente da nascondere a me» esclamò Judy. «Datemela, datemela». Con uno strappo si impadronì della lettera e tenendola alta, come in trionfo, dichiarò: «Almeno, potrò darla al babbo. E se è vostra, invece, se è un vostro segreto che avete tanta smania di nascondere… ».

«No, non al babbo, Judy, non al babbo, devi strapparla» disse Andreina con una calma piena di disperazione.

 

Gli occhi di Judy si contrassero e quando parlò, anche lei era diventata stranamente calma. «Badate, prima non era che un puntiglio e voglia di farvi arrabbiare. Ma adesso c’è sotto qualche cosa d’altro. Lo vedo dai vostri occhi. È paura. Cosa cercate di nascondere a mio padre?».

«Il contenuto di quella lettera che, ti dò la mia parola d’onore, non ho mai letto. Stracciala, Judy» rispose Andreina con lentezza.

Ma Judy si ritrasse, quasi per proteggerla e la scorse rapidamente, in atto di sfida. E subito angosciata: «Ma questa è una menzogna. Avete scritto voi questa. Voi avevate in progetto di trovarla quando ci fosse stato mio padre».

«Puoi pensare quello che vuoi. Io ti ho detto la verità» rispose Andreina vivamente.
«Allora, perché vi agitavate tanto? Sapete qualche cosa?». «Non sapevo nulla di quella lettera».

«Allora voi sapevate che…» riprese Judy lentamente.
Si arrestò un attimo, mentre gli occhi le si intorbidivano e riprese a parlare con voce tremante. «E il babbo, lo sa anche lui?». Andreina crollò il capo. «No, sono sicura che non sa niente». «Ma perché non glielo avete detto?» domandò Judy seccamente. «È assurdo. Sarebbe stata la prima cosa da fare». «Le voleva bene. E io voglio tanto bene a lui» disse semplicemente Andreina.

«Oh» esclamò disperatamente Judy, «come vi odio, come vi odio! Voi siete tanto buona, così retta e onesta. Non importa quel che ha fatto mia madre. L’ha fatto perché era tanto bella e allegra e… ».

La voce le si fece rauca e indistinta per le lacrime, ma Andreina la comprendeva egualmente. «E lui vuol più bene a voi che a lei» riprese Judy. «Ecco perché vi odio. La mamma qualche volta gli ha fatto del male e non lo sapeva render felice come voi. Adesso lo capisco; e vi odiavo ancora di più per questo. Adesso non posso nemmeno più odiarvi, ho anch’io un certo senso dell’onore». Andreina scorgeva il viso di Judy contratto dal dolore, gli occhi della fanciulla che la scrutavano, occhi chiari, retti e onesti come quelli del padre suo. Vedeva davanti a sé una povera fanciulla spaventata, sensibile, crudelmente ferita in quello che aveva di piu sacro, il suo cuore si riempì di una nuova emozione e cominciò ad accusare se stessa. “È colpa mia. Anch’io ero gelosa.Vedevo in lei soltanto la figlia di Eva, ma è anche la figlia di Marco, è una parte di Marco, una parte del mio amore. Ed è stata Eva, la gaia, spensierata Eva che me l’ha fatto capire, che mi ha fatto ritrovare il senso dell’onore di Marco riflesso negli occhi di sua figlia”.

E improvvisamente lo spettro di Eva non le faceva più paura, perché era una cosa debole, impotente e lei creatura viva e forte. Doveva ricordarsi che Judy era figlia di Marco e nient’altro.

Perciò disse con dolcezza: «Judy, io sono contenta che questo sia accaduto» e l’attirò a sé, mettendole le braccia attorno alle giovani spalle esili che sentiva tremare, mentre Judy le nascondeva il capo sul seno.

In questa posizione Andreina cominciò anche lei stupidamente a piangere perché le sembrava una cosa meravigliosa, una cosa infinitamente stupenda, di essere riuscita a conquistare anche la figlia di Marco.

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