Padella galeotta

Cuore
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“Padella Galeotta” di Rosa Romano, pubblicata sul n. 4 di Confidenze, è una delle storie più apprezzate della settimana sulla pagina Facebook. Ve la riproponiamo sul blog

 

Voglio stupire mio figlio preparando il “piatto del cuore”, un modo per allietare il weekend da padre separato. Ma all’ultimo mi sono accorto che mi manca il tegame. «Prova a suonare alla vicina» dice lui. Il resto è una vera sorpresa

Storia vera di Roberto F. raccolta da Rosa Romano

Fine settimana con Marco, mio figlio. Il solo pensiero mi mette gioia e anche ansia.

Vederlo a intervalli mi costringe a ricomporre ogni volta il filo del nostro rapporto e non è facile: da una volta all’altra il mondo si muove e io elaboro pensieri, parole, desideri e sentimenti che vorrei condividere con lui; ma non posso perché lui è con la mamma. Così li parcheggio in memoria e quando siamo insieme, nella fretta di dire semplifico, accavallo, traspongo. Insomma, faccio un tale casino che io stesso mi sento a disagio.

Ma c’è un altro motivo che mi rende ansioso. Sono disordinato, in casa ho pochissime regole e riordino come capita. Ma quando so che deve venire Marco, mi prende la fobia dell’ordine, perché lui è come sua madre, pignolo e preciso. Lavo i piatti accumulati da giorni, carico la lavatrice, vado in tintoria, passo lo straccio sui mobili e il robot sul pavimento. Infine, scendo a fare la spesa e cerco un’idea sorpresa per il pranzo e la cena. Questa volta cucinerò un piatto semplice ma d’effetto, con i wurstel disposti a cuore e al centro un uovo luccicante nei suoi colori vitali. Ho trovato la ricetta su Facebook e spero che a lui piaccia.  Voglio che sorrida, che stia bene nel corpo e nello spirito, perché io sono suo padre e non l’uomo insensibile e superficiale che Monica, la mia ex moglie gli ha raccontato per anni.

Monica mi ha lasciato cinque anni fa. Una doccia fredda, non me l’aspettavo, anche se la rottura era nell’aria e litigavamo per ogni quisquiglia. Ma c’era Marco, c’era il tran tran quotidiano, c’era la nostra pigrizia a spingerci avanti, finché non è successo qualcosa che ha fatto decidere Monica.«Roberto, la nostra relazione non ha alcuna prospettiva: era destinata a fallire fin dall’inizio», mi ha detto una mattina mentre ingoiavo di corsa il caffè. Ricordo di non aver risposto, ma la tazzina mi è scivolata dalle mani e si è frantumata in mille pezzi sul pavimento.

Un mese dopo ero fuori casa, per qualche giorno sono stato ospite di mio fratello Gianluca, poi grazie a lui, agente immobiliare, ho trovato questo bilocale a prezzo contenuto. È luminoso e funzionale, dentro mi sento bene, ma appena supero la porta d’ingresso ho l’impressione d’essere un ospite provvisorio. Non conosco nessuno, a parte la signora Carla, una vicina che ogni tanto suona il campanello perché non trova il suo gatto. È una vecchietta sola, la signora Carla, almeno così ho sempre pensato, ma da qualche settimana vedo una ragazza, la badante sicuramente, che esce ed entra da casa sua.

 

 

Sono sotto casa di Monica, che un tempo era anche la mia. Quando ci siamo lasciati Marco aveva solo nove anni. Ovvio che restasse con la mamma. Oggi di anni ne ha quattordici ed è un adolescente un po’ complicato. Introverso lo è sempre stato, ma la separazione tra me e Monica lo ha reso ancora più riflessivo.

Marco non scende e lo chiamo sul cellulare. Non mi va di salire, potrei incontrare il nuovo compagno di Monica. So che va spesso a trovarla, pur non abitando con lei. È un suo collega, lei afferma che la loro storia è iniziata dopo la nostra separazione e io le credo, però qualche dubbio di tanto in tanto mi assale. Ma non è più importante. Tre mesi fa abbiamo ottenuto il divorzio e ora siamo liberi entrambi. Se non fosse per Marco, il figlio che abbiamo voluto ed amato, potremmo anche dimenticarci completamente uno dell’altro.

Eccolo! Sta arrivando. Sempre più alto, sempre più asciutto, sempre più adolescente. Ha già i primi istinti sessuali, non ne abbiamo parlato apertamente perché immagino si vergogni, ma da mezze parole buttate lì con apparente noncuranza ho capito che per lui è iniziata la tempesta ormonale. Il tempo passa in fretta, Marco sta entrando a braccia aperte nella giovinezza e senza rendersene conto si troverà nella vita adulta. Spero tanto che la sua sia felice.

Apre la portiera e sale. Tra le mani tiene con cura un sacchetto. Gli chiedo cosa sia e lui mi risponde: «Niente». Non insisto, tanto lo scoprirò.

«Com’è andata a scuola in questi giorni?» domanda banale, ma necessaria per rompere il ghiaccio. «Normale» risponde Marco. Poi tace. Anch’io sto zitto, aspetto un’idea. Per fortuna lui parla per primo. «Papà ti dispiace se esco qualche ora?» mi chiede. «Ma…» dico perplesso. «Una o due ore non di più. Ti assicuro che vado e torno» insiste Marco.

«Dove devi andare?» chiedo incuriosito.

«Niente… devo vedermi con un amico».

«Amico?» lo canzono io.

Lui tace.

Guido e non parlo, dalla radio una musica jazz copre i nostri silenzi. Poco dopo Marco, esce dal suo letargo e mi chiede: «Pa’, posso farti una domanda?».

«Dimmi» rispondo.

«A che età si può fare l’amore?». Altro non dice e per poco io non inchiodo con il rischio che la macchina dietro mi venga addosso.

Ora l’imbarazzo è mio e farfugliando gli dico che non c’è un’età precisa.

L’amore si fa con chi si ama davvero. Soprattutto la prima volta, è bene non sciupare il momento, ma prepararlo con cura perché resti uno dei ricordi più belli da portare con sé nella vita.

Lui tace, non so se l’ho convinto, però sta riflettendo.

Appena a casa Marco sistema libri e zaino in camera, poi deposita il sacchetto, che si è tenuto stretto per tutto il viaggio, sul balcone.

Sono sempre più incuriosito e combattuto, non voglio invadere il suo mondo segreto, però mi dico che ha solo quattordici anni. Alla fine, contravvenendo alla privacy, esco sul balcone e apro il sacchetto.

Dentro una rosa rossa ben protetta dal cellophane.

Sorrido e respiro. È innamorato, mi fa tenerezza e anche un po’ invidia. Lui vive la magia dell’amore, mentre io ho perso da tempo questa grande illusione.

Decido di non dire nulla e mi dedico al pranzo. Voglio preparargli il “piatto col cuore” con i wurstel disposti a cuore e nel mezzo un uovo. Mi entusiasmo all’idea, ora più che mai. Sembra creato per lui, penso, mentre estraggo gli ingredienti dal frigorifero, poi predispongo olio, sale e infine cerco la padella. Già… la padella! Ma la padella non c’è. O meglio: non ho la padella adatta e neppure un tegame.

Mi riassale l’ansia, la voglia di perfezione cede il posto alla rabbia per la mia superficialità: ma come ho fatto a non pensarci prima?  E adesso? Come lo cucino questo piatto col cuore?

Marco entra in cucina, attratto forse dal rumore che ho fatto rovistando tra le stoviglie, con una finta ironia mi asciugo la fronte e gli spiego il problema.

Lui ride e mi consiglia di chiedere alla vicina. «La mamma suona alla signora Bice quando le manca qualcosa e altrettanto fa la signora Bice».

Perché no? Anche la signora Carla, la vecchietta qua a fianco, lo ha fatto. Una volta perché le mettessi una vite negli occhiali, e altre per riprendersi il gatto che scavalcava il balcone e faceva sosta da me.

Suono e la signora Carla, dopo lunghi secondi, ciabattando arriva alla porta. «Chi è?» chiede mentre guarda dallo spioncino.

Mi presento, lei apre e con un sorriso maldestro le chiedo se ha una padella.

Mi guarda perplessa. Non parla, ma il suo sguardo è loquace, «Padella?» mi chiede.

«Sì, una padella», ripeto. «Devo fare una frittata a mio figlio e non ho la padella».

Lei sospira sollevata. «Che bravo papà» dice, poi chiama:  «Simona..».

Ed ecco che la ragazza, la badante, compare sul corridoio e viene verso di noi.

Ha i capellil unghi raccolti in una morbida coda e i jeans rotti sulle ginocchia; è molto attraente anche se vista da vicino sembra meno giovane.

«Mia nipote Simona. È di Bologna ma adesso è con me perché ha avuto una supplenza alla Dante Alighieri» dice la signora Carla con un visibile orgoglio.

 

 

“Prof!, altro che badante” penso, mentre la signora Carla spiega a Simona cosa mi serve. Lei va in cucina e torna con due padelle, simili nella forma, diverse nella dimensioni. Quale tra le due? Faccio una smorfia, non so quale scegliere. È lei, Simona, che rompe la mia indecisione: «Cosa devi fare esattamente?» mi chiede.

Al suo “tu” così naturale rispondo in modo altrettanto naturale.

«È un piatto lungo da raccontare, faccio prima a fartelo vedere».

In cucina con me ora c’è anche Simona. «Ti aiuto» dice e io annuisco contento.

Tagliamo i wurstel, li posizioniamo sulla padella più larga e, aiutandoci con uno stecchino, diamo loro la forma di cuore, tanti cuori. Accendiamo il fuoco e dopo qualche minuto, nel vuoto del cuore facciamo scivolare un uovo, uno per ogni cuore.

Simona ride, e intanto parla, mi chiede dove cavolo ho trovato l’idea, mi racconta con una lieve inflessione bolognese delle esperienze che ha fatto in cucina, dei suoi gusti, dei suoi piatti forti, quando tutto a un tratto rientra Marco che era sceso in cantina a prendere un vecchio zainetto. Nel vederlo Simona si ferma, lo guarda e gli chiede sorpresa: «Ciao, che fai qua?».

Una simile domanda la riformula Marco: «Prof, lei qua? Che ci fa?».

Solo in questo momento realizzo che Marco frequenta la Dante Alighieri.

Il piatto col cuore è finito e lì in mostra.

Simona, rossa in viso, dice: «Che bello» poi ci saluta, «zia Carla mi aspetta per pranzare».

Anche Marco commenta: «Che forte». Non dice altro, interrotto dal suono del suo cellulare si sposta e risponde; poche parole: «Sì, adesso, va bene» poi mi guarda e allarga le braccia, «mangio dopo», dice, «il mio amico mi ha chiesto di andare adesso. Sto via poco tempo».  Prende il sacchetto sul balcone ed esce.

Resto solo, più confuso che mai e con il sorriso di Simona negli occhi. Peccato sia andata via così presto!

Mi siedo e contemplo il mio piatto. Doveva essere una sorpresa, ma la sorpresa l’ho avuta io. E si chiama Simona. Non avrei mai immaginato che dopo l’esperienza con Monica una donna potesse nuovamente sballarmi. E invece è successo. Avere a fianco Simona, anche se per poco, mi ha caricato di adrenalina.

Vorrei parlarle di nuovo, però non so con che scusa suonare alla porta della signora Carla. Non ho elementi, sono alto e grosso ma, lo ammetto, con le donne sono un imbranato.

Rifletto e alla fine sorrido.

“Sei proprio imbranato” mi dico. “Dovrai pur restituire la padella?”.

Già, padella galeotta!

Mi ricarico di adrenalina e come Marco torno ragazzo.

Fra poco suonerò alla sua porta, dirò grazie per la padella e per parlare più a lungo le chiederò come va Marco a scuola.

 

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