Se tu fossi ancora qui

Cuore
Ascolta la storia

“Se tu fossi ancora qui” di Federico Toro, pubblicata sul n. 6 di Confidenze, è una delle storie più apprezzate della settimana. Una nostra lettrice, Lucrezia, scrive sulla pagina Facebook: “A Fulvio posso dire che il tempo scolora un po’ ma non dimentica. È ancora troppo presto… buona fortuna”.

 

Storia vera di Fulvio C. raccolta da Federico Toro

 

Gli amici mi avevano assicurato che il dolore percepito in quei giorni non sarebbe mai svanito, ma con il tempo avrebbe assunto forme diverse e sarei riuscito a conviverci. E gli ultimi anni della mia vita li avrei vissuti con serenità in compagnia di ricordi nostalgici che nessuno mi avrebbe portato via. Tutte stupidaggini. Sono trascorsi 427 giorni e il dolore è costante e acuto. Ma io conosco la ragione. So perfettamente il motivo per cui quel dolore è sempre fisso nel mio petto. Non voglio che mi abbandoni. È il dolore lancinante e fitto che provo la mattina appena sveglio che paradossalmente mi fa sentire un uomo vivo.

Non ho alcuna intenzione di liberarmi di questo peso. Come se ti lasciassi andare. Come se mollassi la presa. Invece, voglio ancora tenere stretta la tua mano nella mia. Poco mi importa di cosa pensa e dice la gente. Frasi di circostanza che dovrebbero consolarmi e invece mi provocano solo rabbia e tristezza. E in quei momenti vorrei mandare tutti al diavolo e gridare: Lasciatemi in pace! Cosa ne sapete voi? Avete la vaga idea di cosa significhi vivere accanto a una persona stupenda per 37 anni? Evidentemente no. Altrimenti, non diventereste tutti esperti sull’elaborazione del lutto. Bravi a dispensare a iosa frasi rassicuranti del tipo: «Lei ti starà vicino». «Vedrai che andrà sempre meglio». «Lei, ora, ti sta guardando da lassù». E poi l’immancabile: «Io ti posso capire, ho vissuto lo stesso dolore». Io ho un grande rispetto del vostro dolore, ma voi potete immaginare cosa sto provando?

Sono qui in attesa delle vostre risposte. Due mesi. Solo due mesi e quel male subdolo e vigliacco ti ha strappato alla vita e a me. Mai una smorfia di dolore e di sconforto sul tuo viso. In 37 anni, raramente ti ho vista imbronciata. Anche durante i periodi più difficili della nostra vita coniugale non hai mai perso quel sorriso angelico che nessuno potrà mai dimenticare. Mi dicevi spesso:«Quando succederà spero di essere io la prima.  Non riuscirei a gestire il dolore».

Ho dato poca importanza a queste parole. Forse ho cercato di evitare l’argomento, mi faceva troppa paura. Era insopportabile il pensiero di perderti e lo scacciavo all’istante dalla mia mente. E oggi ho la certezza che ti sbagliavi.

 

Hai pensato scioccamente che fossi io il più forte e avrei potuto affrontare, o meglio come dicevi tu, gestire il dolore diversamente. Come ti sbagliavi, Luisa. No, sono una frana a elaborare il lutto e a mettere in pratica tutte quelle cavolate che amici, parenti e conoscenti mi propinano.

Sono trascorsi 427 giorni e mi manchi terribilmente. Mi manchi come se tu fossi andata via appena qualche giorno fa.

«Sono sicura che troverai un’altra donna, più simpatica e soprattutto più giovane e più bella di me».

Anche a questa tua frase abbozzavo un sorriso e mi chiudevo in un profondo mutismo. E invece avrei voluto risponderti. Dovevo farlo. Ma si sa, l’orgoglio maschile ti impedisce di essere sdolcinati. Che stupido!

Quanto avrei voluto dirti che per me eri l’unica donna della mia vita. Mi è mancato il coraggio e non solo per orgoglio ma anche per evitare una tua reazione di ilarità. Mi avresti deriso rispondendomi: «Sì… l’unica donna della tua vita, vorrei proprio metterti alla prova». Ed è successo, Luisa. Purtroppo, è successo. Ho dovuto affrontare la prova più difficile e devastante della mia vita e ti assicuro che ne avrei fatto decisamente a meno. Mio Dio, quanto mi manchi!

Come hai potuto pensare che io potessi avvicinarmi anche solo con il pensiero a un’altra donna? Io ho tutto. E il mio tutto sei tu, nostro figlio e i nostri adorabili nipoti. Sai, mi chiama ogni giorno Alberto. E mi ripete sempre le stesse parole: «Papà, ti sei chiuso in casa come se fossi in una prigione. Esci solo per fare la spesa. Almeno ti prepari da mangiare? Dài, la mamma non vorrebbe vederti così triste. Devi distrarti e soprattutto devi reagire». E io gli rispondo con la stessa cantilena: «Hai ragione, ma ancora non mi sento bene ed è dura riprendere in mano la mia vita e le mie abitudini, ma stai tranquillo, mi preparo da mangiare. Non morirò di fame». Di fame sicuramente no. Ma questa frase mi limito a pensarla ed evito di esternarla.

Più volte mi ha chiesto di trasferirmi da lui. Anche solo per un po’ di tempo. E ho sempre rifiutato la sua proposta. Ma come potrei trasferirmi in un’altra città così lontana?

Alberto ha la sua vita, il lavoro, la sua famiglia e non posso imporgli la mia presenza. Già lo vedo, e mi assale il panico, mentre aggiunge un lettino di quelli pieghevoli nella stanza dei figli. Come mi sentirei in imbarazzo, fuori luogo. E in queste situazioni capisci di essere diventato vecchio, e nasce in te la consapevolezza di essere un peso e se puoi, devi cercare di arrecare meno fastidio possibile. Anche se un figlio ti vuole un mondo di bene e vorrebbe vederti sereno come una volta.

 

Ecco Luisa, se tu fossi ancora qui con me non mi abbandonerei a queste penose malinconie da vecchietto. E poi, come farei a lasciare questa casa?

È piena di te. Ogni angolo mi parla di te. Ogni oggetto che tocco mi scatena emozioni, mi riporta nel passato e la mia mente viene inondata da ricordi. Guardo le foto dei nostri viaggi in giro per Paesi sconosciuti e ti rivedo con quel tuo meraviglioso sorriso e quella luce brillante nei tuoi occhi verdi.

Mi sovvengono anche pensieri malinconici, ma non importa, anche i ricordi più tristi diventano soavi e leggeri se penso di averli vissuti accanto a te.

Mi trovi patetico? Anche quel brontolone di Mario me lo ripete con costanza. «Da quanto siamo amici? Da venti anni? Non ti facevo così sdolcinato».

«E che vuoi che ti dica» gli rispondo, «è uscita una parte del mio carattere a me sconosciuta».

Lo ammetto, forse ha ragione Alberto, forse hanno ragione tutti e devo reagire. È trascorso più di un anno e non posso seppellirmi in questa casa con i nostri ricordi. Fuori la vita mi aspetta, ho i miei amici, le mie passioni. Ma sarà completamente diverso senza di te. Tutto mi sembrerà sciocco e inutile. Solo ora mi rendo conto che le passioni avevano un senso perché vissute insieme. Ti ricordi le lunghe e divertenti partite a burraco? Come rosicavano i nostri amici, non volevano proprio mandar giù la sconfitta. Che darei per rivivere solo per pochi istanti quei giorni.

Guardo una foto e sembra quasi che tu voglia parlarmi. Lo so cosa vorresti dirmi. Devo provarci. Devo riprendere a vivere le mie giornate. E va bene, ci proverò per te. Sì, scusami, per me… per noi.

 

Confidenze