Sentimenti non descritti

Cuore
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La storia vera più apprezzata dalle nostre lettrici questa settimana è “Sentimenti non descritti” di Annalucia Lomunno, pubblicata sul n. 1 di Confidenze. Ve la riproponiamo sul blog

 

Storia vera di Marcella R. raccolta da Annalucia Lomunno

 

Era un giorno come tanti, ma pieno di neve. A colazione, io mangiavo, lui pure. Le tazze erano coordinate con i piatti, i cucchiaini e le posate scintillavano. Avevo stupito Leo con una ricetta salata che avrebbe dovuto offuscare il suo eterno caffelatte. Era un brunch, sì, e lui amava lasciarsi stupire da atmosfere esotiche e apparentemente fuori dal comune. In me, intanto, nasceva un progetto. Desideravo ucciderlo. Volevo ammazzare spietatamente l’uomo che amavo. Lui masticava le sue uova al bacon mentre io mi mordicchiavo le labbra fino a farmi male. Quando sorridevo, la ferita si allargava, quasi a ricordarmi che condividevo il cibo con un tipo che dopo avermi corteggiata per secoli, era pronto a scaricarmi in una sola settimana. Poche notti insieme, sesso buono ma non eccellente, e lui voleva già sostituirmi. Eravamo distanti pochi centimetri, ma di sicuro la sua mente era altrove. Leo aveva una sua tattica speciale per evitare discorsi compromettenti e scocciature emotive. Fissava lo sguardo nel vuoto (e dire che solo un mese fa era puntato sulla mia scollatura) come a ribadirmi che il mio sex appeal era morto, e che avrei dovuto rivestirmi e togliermi dal suo campo visivo. Era una situazione scontata, forse, e avrei dovuto quasi prevederla. Leo aveva perso interesse nel momento stesso in cui mi aveva spogliata ed ero diventata sua, una presenza abituale che già pretendeva di trovare in bagno il suo spazzolino. Ma il problema vero era un altro. Ero innamorata di lui: il suo lento corteggiamento mi aveva conquistata ed ero ferita da questa crudeltà sfacciata. Non me la spiegavo, mi annientava. Mi vergognavo di me e di quello che provavo e non riuscivo neanche a pensare di buttarlo via, di dimenticarlo. Quel mattino, in camera da letto, mi aveva espresso senza mezzi termini la sua opinione dicendomi: «Vorrei che non ci vedessimo più». Non avevo neanche risposto, ero mezza nuda. Sono corsa in cucina, gli ho preparato quella colazione da re e ho aggiunto anche una salsa di guacamole allo yogurt che lui deliberatamente ignorava per non dare nuove possibilità a un discorso che considerava già chiuso. Come se quel tentativo creativo potesse rappresentare un nuovo inizio per qualcosa che lui non voleva. Ma si trattava semplicemente di una purea di avocado, non di un investimento sentimentale da firmare e controfirmare. Però Leo aveva paura e mostrava una evidente insofferenza. Desiderava solo tornare alla sua vita, alla libertà, allo showroom soprattutto, alle sue scarpe da quattrocento euro e a quelle clienti belle e ricche. Sì, io col suo mondo c’entravo poco, anzi niente. La mia unica colpa era stata quella di lavorare nel bar di fianco al suo negozio ultra chic. Facevo la cameriera per pagarmi gli studi, sognavo di fare l’attrice: lui pareva incantato da tutto quello che ero e raccontavo. Nei primissimi tempi, quando ancora io non cedevo e lui sembrava perdutamente preso, mi aveva persino inviato un libro da Parigi. Quel pensiero mi aveva fatta facillare: lui era lì chissà con chi e aveva pensato a me, scovando un’antologia shakespeariana in un’edizione molto pregiata. O forse il pregio lo vedevo solo io, perché in verità era un libro piuttosto sgualcito, trovato su una bancarella. Ma all’epoca ogni suo gesto mi sembrava romantico.

 

Stavo diventando matta? No. Leo era un bugiardo, ma io non potevo saperlo e subivo i miei stessi sentimenti. La sola possibilità di stargli accanto mi bastava, ma lui non mi voleva più. Allora ho fatto come mi ha chiesto, sono scomparsa, non l’ho più cercato. E intanto torturavo le amiche col mio dramma e provavo ad appigliarmi a ogni minima speranza. Ripensavo continuamente a quando mi guardava per ore. Veniva al bar e si fermava a contemplarmi. A quel tempo, gli piaceva il mio corpo, gli piacevo io. Non capivo cosa fosse successo, cosa non avesse funzionato. Prima di lasciare definitivamente il suo territorio, gli avevo anche chiesto cosa provasse per me, ma lui si era limitato a dire: «I sentimenti non possono essere descritti. Mi sento coinvolto, ma non abbastanza, dunque non credo sia giusto continuare, non sento quella passione che immaginavo». Che signore! Si riferiva, tra le righe, anche a una mia presunta goffaggine erotica? Ero furiosa, ma ho trattenuto la rabbia. Dentro di me, però, mille sensazioni: l’attestazione di un fallimento, l’ossigeno che mancava, l’inferno che bolliva in pentola, le catene della mia devozione. Era stata una menzogna dall’inizio: evidentemente collezionava donne senza limiti e regole, e a me restava una decisione definitiva e il vuoto del silenzio. Un vuoto che dovevo indossare come una corazza, mentre chiedevo consigli alle amiche per riconquistarlo. Perché, in realtà, era con lui che volevo stare e speravo che si trattasse di un errore, di uno sguaiato momento di smarrimento. Anzi, mi ero anche convinta che la serietà di questa relazione lo avesse messo in crisi, che gli fosse necessario prendere le distanze per riflettere. Sopravvivevo, mi trascinavo a qualche festa e intanto facevo anche la grande sciocchezza di abbandonare il mio lavoro: pensavo che così mi avrebbe cercata. Tentavo di rendermi nuovamente misteriosa, inaccessibile, lontana. Era un piano disperato e sciocco, ma la sensazione di vivere una catastrofe mi rendeva spregiudicata e senza dignità. Poi, come un’illuminazione, è arrivato quel consiglio non richiesto che mi sembrava geniale. Una delle note amiche mi ha spinta oltre, visto che la mia finta dipartita non aveva destato alcun successo. Leo non mi aveva cercata e la disperazione cresceva. Allora ho seguito consigli che mi venivano elargiti come crisantemi su un feretro. Ho raggiunto casa sua, mi sono seduta sui gradini, ho aspettato che rientrasse a notte fonda. Lui è rientrato, sì, ma tanto ubriaco da non riconoscermi e con una donna al suo fianco. Lei aveva degli stivali di lusso, ma puzzava di vodka. E io non avevo più niente da dire e da capire. Di colpo mi sentivo libera e le mie fantasie omicide mi parevano ridicole quanto lui e me insieme.

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