Ti vergogni della tua famiglia?

Cuore
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In ogni famiglia che si rispetti c'è sempre una pecora nera di cui vergognarsi. Vi racconto chi era nella mia

In uno spazio televisivo fresco e originale, Il caffè di Raiuno, si è parlato di un argomento inedito sul quotidiano: ti vergogni della tua famiglia?  E non si riferiva alle grandi vergogne, furti o crimini, ma alle piccole vergogne inconfessabili che ci hanno avvelenato nell’infanzia, e forse anche dopo.

Il tema mi appassiona, a quattro anni già mi vergognavo di mia madre. Lei trovava molto elegante darmi delle sberle in pubblico, in quei momenti si sentiva una vera madre, approvata dal mondo (allora mica c’era il telefono azzurro, erano tutti d’accordo nel picchiare i bambini). Mi vergognavo di lei, ma mai quanto poi mio figlio si è vergognato di me. Perché io da giovane ero matta e perché andavo in televisione, che si vedeva meglio, lo venivano a sapere i compagni di scuola e lui ne soffriva. In più non poteva controllare perché allora in casa non c’era la televisione, e quando tornavo mi chiedeva “che hai detto?” per misurare l’entità della figuraccia.

A me sembrava una cosa buffa, per lui era atroce.

Mia madre da ragazza si vergognava di suo padre perché era macellaio e lei, che si era montata la testa leggendo Liala, avrebbe voluto essere figlia di nobili. Povero nonno era l’unico ricco della famiglia, ma attaccato alla sua radice, e gli erano venuti su due figli di cui si vergognava, una signorina snob e un pittore futurista con la barba.

D’estate i due fratelli andavano al mare a Falconara, mia madre si faceva cucire dei modelli copiati dalle dive del cinema, ma alla fine della vacanza si dileguavano per paura che venissero a trovarli gli amici estivi e scoprissero l’infame segreto del padre, neanche fosse un gangster. Io mi vergognavo della mia nonna fondamentalista cattolica armata di rosario, che quando le altre ragazzine andavano a prendere il gelato ai giardinetti,  mi pigliava per un orecchio e mi portava in chiesa a dire il rosario.

Lei si vergognava di me perché mi mettevo i pantaloni (che tempi antichi- sì, allora una donna in pantaloni era uno scandalo, anche se aveva dieci anni). Ma andando indietro nei ricordi scopro che quasi tutti si vergognavano di qualcuno in famiglia. La zia Irina del marito perché ruttava a tavola anche davanti agli ospiti, e lei diceva con aria pietosa “scusatelo, è malato” ma poi gli faceva delle scenate da levargli la pelle, e del resto lui si vergognava di lei perché prima di sposarlo era già stata fidanzata due volte (Compromessa, diceva lui). La zia Enza si vergognava di Quintilia, sua sorella, perché si tingeva a 70 anni,  Quintilia si vergognava di lei perché si ubriacava col nocino. Che grande tema romanzesco, la famiglia. Più dell’amore, più dell’avventura, resta il maggior pretesto letterario del mondo.

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