A chi abita da solo e si sente perso

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Chiusi in casa da settimane, tutti ci sentiamo un po’ a disagio. Ma per chi vive da solo e non ha contatti con il mondo esterno, la situazione può diventare insostenibile. La lettera a una donna in difficoltà

Lettera aperta di Maria Rita Parsi

Cara Giulia, mi scrivi che per te è terribile vivere queste giornate chiusa in casa, da sola e terrorizzata dal coronavirus. Non puoi incontrare in parrocchia, al bar né al ristorante le tue più care amiche. Non puoi passeggiare al parco né organizzare una serata al cinema con loro. In più, non puoi fare affidamento sul conforto della Messa domenicale o sullo svago del classico giro di shopping che ti concedi il sabato pomeriggio.  Insomma, devi rinunciare alle quotidiane abitudini che rendevano più piacevoli le tue giornate di vedova in pensione. Dopo la morte di tuo marito, avvenuta quando avevi soltanto 55 anni, sei rimasta davvero sola, perché non hai figli, i tuoi genitori non ci sono più, tuo fratello è in America e non hai parenti prossimi che vivono nella tua città. Così, le amiche che hai scelto con cura e con affetto sono diventate, per te, un punto di riferimento. Presenze capaci di dare un senso alla tua vita. È vero che anche adesso puoi telefonare e passare un po’ di tempo in loro compagnia grazie a Skype. Ma per te non è lo stesso. Hai bisogno della loro presenza fisica e del calore dei loro abbracci.

ACCOGLI IL DOLORE 

CHE PROVI  

Mi scrivi che, soltanto adesso, riesci a comprendere pienamente la condizione umana dei carcerati. Ti ritrovi spesso, infatti, a pensare alle persone chiuse in galera, che non possono mai uscire e magari condividono la cella con altri detenuti con cui non hanno nulla da spartire. Non a caso, recentemente alcuni carcerati, impossibilitati a vedere i loro cari a causa del virus, sono impazziti e si sono ribellati. Mi dici che i detenuti soffrono come te. Voglio allora fare una riflessione: tu, cara Giulia, non subisci una punizione, perché il coronavirus è una calamità collettiva, che riguarda e coinvolge tutti, in ogni parte del mondo. Non stai scontando una pena per un delitto o per un illecito commesso. E puoi trarre da questo momento delicato qualcosa di utile e fruttuoso. Infatti, se riesci ad ascoltare e accogliere il dolore e la malinconia che provi, puoi riuscire, per esempio, a elaborare il lutto che hai subìto dieci anni fa, quando hai perso il tuo amato compagno di vita. E poi, puoi evolvere, in modo da trovare, alla fine di questa obbligatoria reclusione, nuove energie e nuove alleanze per vivere non come, ma meglio di prima. Mi chiedo, poi, perché tu non ti prenda cura di un animale domestico: un gatto o un cane potrebbero tenerti compagnia. La loro presenza potrebbe alleviare la tua sofferenza. E ti faccio una proposta: perché non provi ad addomesticare la solitudine che provi con il “colore del grano”? Come la volpe di Il Piccolo Principe, il capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry, che si scalda al fuoco dei ricordi. Goditi lettere, diari, fotografie e messaggi del passato che certamente conservi a casa. Leggendo potrai rendere proficuo il tempo che hai a disposizione, che diventerà l’occasione per scoprire le radici della solitudine che tormenta te e tutti gli esseri umani. Una solitudine che può diventare la tua migliore compagnia, se impari a conoscerti a fondo.  In questo modo, puoi riuscire a non provare più paure ingovernabili, rabbie disperate né vuoti d’amore. Ti abbraccio con tanto affetto.                                    

 

 

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