Maritè non morde di Veronica Tranfaglia

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La splendida e coraggiosa testimonianza di una madre che a quarant'anni ha messo al mondo una bimba down

“La prima festa di compleanno per Maritè, il suo ingresso in società da invitata, fu il nostro primo giorno di discriminazione. Più mi guardavo intorno e più mi sentivo interdetta dal clima ostile nei nostri confronti. Avrei voluto urlare «Non è contagiosa mia figlia, potete starle accanto, potete far giocare i vostri bimbi con lei. Non è un animale. Non morde»”.

La mia recensione di questa settimana si discosta dal registro usuale. Ho letto il libro che la compagnia editoriale Aliberti mi ha inviato e poi ho incontrato Veronica a Napoli. Volevo raccontare la sua storia per il nostro giornale come faccio ormai da anni: sarebbe stata una testimonianza preziosa, ricca, giusta.

Poi mi sono detta che no, non era giusto farlo. Veronica ha già detto, ha già scritto, ha narrato la sua storia, quella di donna e madre di due bambine che a quarant’anni si ritrova con una gravidanza inaspettata ma che accetta con felicità. Fin dal primo momento le difficoltà sono grandi: Veronica deve passare a letto sei mesi, ascolta il consiglio del suo ginecologo di fiducia che, nonostante i risultati positivi di un test poco invasivo la rassicura dicendole di stare serena e di non stressare l’utero con una amniocentesi. Quando Maritè nasce, affetta da sindrome di Down, lo shock è grande per lei e per il marito Roberto. Sono entrambi professionisti di scienza, lei farmacista e lui psichiatra, sanno cosa vuol dire, conoscono le sofferenze che quel cromosoma in più comporta.

Eppure Maritè conquista il loro cuore e soprattutto, in modo diretto, immediato, simbiotico, quello delle sue due sorelline maggiori, Vittoria e Brigida.

Eppure Maritè insegna la forza, il coraggio: a soli due anni la piccola si ammala di leucemia. Lunghi ricoveri (e Veronica sottolinea l’eccellenza di una parte di sanità italiana che viene taciuta e non fa rumore – perché in effetti è musica – come quella che fallisce e tradisce), terapie dolorose, terrore. Eppure, il sorriso di Maritè. Che vince. Abbraccia, “un affetto mai provato prima, soltanto lei è riuscita a tirarlo fuori dalla mia anima inquieta”.

Ho avuto, e lo dico con forza, la fortuna di crescere con una zia affetta da una gravissima forma di poliomelite, Elisabetta. Ho imparato a giocare con Mariuccia, la cugina down (ma questa etichetta io l’ho scoperta solo anni e anni dopo, lei per me era solo la migliore delle amiche) di mio padre. Ho vissuto il primo grande lutto quando, a soli dodici anni, è morto mio cugino Fabio, colpito da ittero da madre rh negativa alla nascita e non trasfuso immediatamente: ha vissuto la sua breve vita sdraiato sul tappeto della sala a regalare sorrisi e amore puro a chiunque si avvicinasse. Se ho, e ogni giorno mi rendo conto che non è mai abbastanza, un minimo di sensibilità verso il prossimo lo devo a loro, alla loro bellezza innocente e perfetta.

Vi consiglio di cuore la lettura della splendida e coraggiosa testimonianza di Veronica, donna elegantissima e madre deliziosa. Io non avrei saputo o potuto aggiungere una parola di più.

I proventi della vendita del libro, così come tutte le attività di Veronica, sono a favore della Ricerca.

A Veronica, a Maritè, alla loro famiglia, il mio abbraccio più sincero, la mia riconoscenza, la mia disponibilità assoluta – e l’amicizia – da oggi in poi.

“Il valore di un essere umano, la caducità della vita, l’effimero approccio che io avevo alla quotidianità, confondendo sciocchezza e serietà, cominciavano a vacillare di fronte ai suoi occhi a mandorla che mi penetravano nell’animo ogni qualvolta il suo sguardo incrociava il mio. I suoi sorrisi, così dolci e così teneri, curiosi, diretti mi rendevano impacciata nei movimenti.

Maritè era arrivata nella mia vita per rendermi una madre migliore, una persona migliore. Cominciavo a comprenderlo. Lo avrei capito solo più tardi, con la fatica e l’impegno di chi mette in discussione se stessa innanzitutto. Ne avrei avuto la certezza con il tempo, ma mi aspettava un percorso di consapevolezza lungo e doloroso”.

 

Veronica Tranfaglia, Maritè non morde, Aliberti

 

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