Nonna, com’era il ’68?

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Cinquant'anni fa iniziava uno dei movimenti politici e di costume destinati a cambiare profondamente la società: il 68. Ne parliamo in un dialogo tra nonna e nipote

 Eh cara nipote, siamo stati gli ultimi giovani che hanno avuto il diritto di essere giovani. Eravamo liberi, soprattutto perché la vita costava poco, non c’erano i gadget moderni, non c’erano i genitori che ti controllavano col cellulare. Una volta uscito di casa giravi l’angolo, e chi ti acchiappava più? Era come stare a Londra o a Benares. I genitori erano repressivi, davano schiaffoni- che bellezza, un nemico netto, definito, un intero sistema educativo da abbattere. Quante piccole immense rivoluzioni si facevano ogni giorno. La conquista delle parolacce, per nobilitare il linguaggio, perché luna e culo avessero la stessa dignità poetica.  Adesso che un ragazzino conosce 30 parole di cui 20 parolacce, non si può immaginare l’ebbrezza di allora nel dire «Cazzo!». Ci sembrava di buttare giù con cinque lettere l’ipocrisia dei padri, la sottomissione delle madri, e ogni bigotteria. Era un’operazione letteraria, introdurre le parole proibite nel discorso. Tutto era una conquista. La parola, la musica- Il sesso, non ancora un obbligo sociale, come oggi – la piaga dei sessuologi che fanno passare la voglia, era lontana – i viaggi, un’internazionale di giovani che senza social ti garantiva di essere ospitato a Londra o a Parigi e di ospitare a tua volta degli sconosciuti giramondo. Ci ribellavamo a un mondo che stava su una bruttissima china – razzismo, idolatria del guadagno, guerre- l’invasione americana del Vietnam, il consumismo – eppure tutto era speranza. C’era l’idea proterva e meravigliosa di poter fermare la follìa materialistica, reinventandosi tutto. Non avevamo paura del futuro, il futuro eravamo noi, creavamo e quindi abitavamo un mondo ideale che grazie a noi sarebbe diventato migliore. Ci sentivamo responsabili di ogni gesto. Senza esser buddhisti, buddhisticamente convinti che le conseguenze di ogni azione fossero eterne. Le ragazze erano fantasiose,  in minigonna o con le vesti rotanti da zingare. I ragazzi bellissimi, come mai più sono stati: coi pelliccioni sul torso nudo, in jeans coi capelli lunghi da Ultimo dei Mohicani- e se gli saltava anche truccati, con l’ombretto blù, nero, viola… Disprezzavamo il danaro, un disprezzo un po’ retorico, ma molto liberatorio. E poi era facile guadagnarlo, alle peggio facevamo per due mesi i camerieri o gli sguatteri, e poi via, col sacco a pelo. E tutto vedevamo come cosa nuova, mai accaduta- anche fare l’amore. Si sognava la giustizia sociale, si sognava la pace. Ci si poteva permettere il sogno, che è un diritto della gioventù, e ci rendeva forti. E io, nonna? Noi che siamo giovani adesso? Ci hanno tolto il sogno. Riprendetevelo! Basta con le lagne. Sì è vero, la situazione è orrenda, il mondo molto meno abitabile di allora- ma ogni generazione deve combattere con ciò che trova – e guai se invece è passiva. Inventatevi qualcosa.

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