Sulla neve vestiti vintage

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All'inizio della stagione sulla neve in tanti ci domandiamo come saranno vestiti gli altri. Io e Giorgino, con (i soliti) giacca nera e pantaloni arancioni

Pronta per la prima neve? Quando settimana scorsa in redazione sentivo la domanda, pensavo fosse rivolta a me. Invece, era il titolo di un servizio che trovate su Confidenze in edicola adesso,  dedicato alle stazioni sciistiche più papabili per il vostro inverno.

Detto questo, la risposta la do lo stesso: sì, sono prontissima! Anzi, non vedo l’ora di lanciarmi nella prima discesa della stagione. Tant’è che con gli amici della montagna è un continuo aggiornarsi sulla situazione delle piste e un rimbalzare di conferme e smentite del tipo: «Aprono gli impianti all’inizio di dicembre» seguito da un «Mi sa che fino a gennaio non se ne parla».

Il tutto perché se in questo mondo bislacco non ci sono più le mezze stagioni (siamo passati da 16 a 6 gradi nello spazio di poche ore), non esistono neanche più le certezze sul giorno in cui ci metteremo (finalmente) in coda alla funivia. Ma il dettaglio, seppur non da poco, non ci scoraggia.

Nell’attesa, infatti, non solo siamo pronti noi, ma anche l’occorrente. Cioè l’abbonamento e l’abbigliamento, protagonisti di questo post.

Parto dall’abbonamento, croce e delizia sin dal primo giorno in cui ho messo gli sci ai piedi. Ai tempi (erano i primi anni Settanta), già a settembre la mia mamma e le sue amiche spendevano ore al telefono per capire se conveniva comprare lo stagionale per noi figli. Così, mentre loro disquisivano con il piglio dei ragionieri Fantozzi e Filini, noi incrociavamo le dita perché decidessero per il sì. E se è vero che alla fine ce l’hanno sempre regalato, tanta ansia ha lasciato il segno: ancora oggi molti di noi contano i giorni in cui sciano e li dividono per il costo dell’abbonamento per sapere se hanno fatto l’affarone (io appartengo al nutrito gruppetto).

Un discorso attento al risparmio riguarda anche il look. Se non ci credete, venite per qualche anno di seguito in montagna dove vado io e vi accorgerete che ognuno di noi veste allo stesso modo fino a quando la sua divisa non è a brandelli.

I primi segni dell’usura di solito si cominciano a notarsi sul lato destro (sinistro per i mancini) all’altezza dell’anca. Nel punto, cioè, in cui le lamine strofinano il tessuto mentre porti gli sci a mano. A seguire, poi, ci sono le dita dei guanti che si sfilacciano. La lana del berretto che cede fino a farlo volare via appena prendi una minima di velocità. L’imbottitura del casco che si smolla, trasformandolo in una specie di cappello da cowboy che al galoppo finisce dietro le spalle. E gli scarponi moribondi, con l’aspetto ormai da pantofole, ma tenuti in vita finché non perdono i pezzi.

Esagero? Vi assicuro di no. Tant’è che quando qualcuno con l’attrezzatura allo stremo è obbligato a cambiarla, deve rassegnarsi a sciare solo come un cane perché nessuno lo riconosce. E per rientrare nel gruppo ce ne vuole, visto che non è facile per gli altri abituarsi all’idea che Tizio non ha più la giacca a vento arancione o che Caio indossa le muffole al posto dei guanti.

Dal punto di vista social tutto questo è talmente umiliante che, se ci si incontra in estate, il poraccio costretto a cambiare look inizia ad anticiparlo. Quindi non stupitevi se un giorno, sotto il sole a palla e con il termometro a 45 gradi, in spiaggia sentirete dire: «L’inverno prossimo metterò i pantavento turchesi». Fidatevi di me: è una frase che ha un suo senso. Molto profondo.

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