Una giornata a Ostia

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Negli anni 70 i romani si riversavano sui lidi, carichi di cibarie. Mangiare sembrava l'unico scopo del viaggio. E oggi? in spiaggia tutti vegani

Approfittando di un sabato di sole sono andata al mare a Ostia. L’ultima volta era stato molti anni fa. Il mio ricordo di allora si è dissolto nel presente: bella gioventù, corpi armoniosi e slanciati, bene alimentati, nessuna cibaria in spiaggia, solo bottigliette di acqua minerale, bambini che nuotavano come delfini fin da piccolissimi. Che cambiamento!

E ho ripensato con affetto in bianco e nero a una domenica di Ostia negli anni 70, quando i romani correvano a frotte alle sue rive. Fra loro e l’acqua c’era una barriera insormontabile. Il cibo sembrava lo scopo del viaggio, l’unico. Non era ancora il tempo dello snack, dove il mangiare è sempre in funzione di qualcos’altro, il sesso, il business, l’incurabile solitudine- e i gitanti spalancavano sulla spiaggia i loro tesori. Forzieri abbaglianti di melanzane, scrigni di spaghetti, lussuriose fettine impanate nella rosetta, frittate al lardo, arroganti salami. Che festa dell’unto, che allegria di cartocci! In questa civiltà divoratrice dove si parla solo di diete – bel paradosso: metà mondo muore di fame, e nella metà dove si mangia, la moda impone la magrezza forzata.

E rivedo con simpatia quella grande bouffe alla luce del sole. Crepi Tantalo! Una città di tegami era la spiaggia libera alle 8.30. Una popolazione mezzo svestita si buttava sul cibo con un’impazienza che faceva bene al cuore e un po’ di sgomento. Che c’è laggiù? Fanno a botte per una donna? No, per l’uomo delle ciambelle, assalito da più parti. Dopo gli eccessi, lo stomaco ammirevole del romano prendeva per digestivo un bombolone alla crema, incrostato di zucchero. L’unto colava dalle dita. Ahi. Adesso si appiccicherà la sabbia- bisognerà- dunque- andare in acqua?

  • Ma che sei matta? Ma che vòi morì, vòi?

La salvezza: il rubinetto. Si sciacquano le mani con cautela (in piena digestione non si sa mai). Il caldo aumenta. Mezzogiorno. Facce rosse che resistono alla lusinga del mare. Ma loro niente, eroici in una guerra segreta, di cui non è dato sapere. Un urlo di donna scuote i dormienti: il figlio s’è buttato in acqua. Catturato, il piccolo temerario è imprigionato sotto la sdraio, mentre urla invano Aiuto! Me sto a fa’ arosto! 

Dopo tali banchetti, chiunque morirebbe sotto il sole. Loro no. In un fiume di sudore, non la danno vinta al mare. Uno fra ì più deboli di questo popolo fortissimo si getta sotto la doccia- sfrigolìo di stufa bagnata- e si asciuga in fretta, tante volte un colpo d’aria alla pancia. Poi chiude gli occhi, solenne. Qualcosa di terrificante ed eterno è nel romano di ieri, qualcosa di divino. Sulla spiaggia, carbonizzato dal sole, egli dorme.

Mi scuoto dalla visione del passato. Una ragazza dalle lunghe gambe rosicchia una carota. I miei vicini sono tutti vegani. Nel cambio ci guadagna la salute, ma ci perde la letteratura.

Confidenze