Uscire dalla solitudine di Olga Chiaia

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Non siamo i soli a sentirci soli. Le persone che camminano veloci e non guardano nessuno, chi non sorride mai, sono persone sole. Agli occhi degli altri però, anche noi siamo così. Questo saggio ci aiuta a cambiare

“Il vuoto relazionale è correlato a molte patologie, che possono essere lette come tentativi errati di trovare amore, di essere colmati: l’alcool e il cibo in eccesso, le droghe, le dipendenze affettive, il superlavoro. Il desiderio più grande, per tutti, è sentirsi dire ‘non farti del male, siamo tutti qui’. Di ritrovare la pace e l’armonia del senso di comunità. Nel buddhismo theravada si usa, all’inizio della seduta di meditazione, prendere rifugio nei tre gioielli: il Buddha (che rappresenta la possibilità dell’illuminazione in questa vita), il dharma (il cammino), e il sangha (la comunità dei praticanti). Il sangha è un rifugio e un gioiello, anche se spesso non tutti ci sono simpatici. È questo, che si è andato perdendo nella società occidentale, il senso di appartenenza a una comunità. Che ci valorizzi, e ci ridimensioni, ci contenga e ci accolga comunque. Con la nostra vera faccia, senza maschera, sia essa vecchia o sbagliata, in un vitale atto di verità. In un sondaggio, il Ghana è risultato essere uno dei paesi con il maggior livello di felicità, eppure è molto povero. Ma ha una dimensione comunitaria forte. Non sarà Internet a restituircela. In Usa una persona su quattro non ha nemmeno un amico. Secondo Marco D’Avenia, dovente di filosofia morale, ‘siamo il terzo mondo delle relazioni’. È un problema di mancanza di tempo, grande alibi per eliminare ciò che non si ritiene abbastanza importante. Ma non solo, è anche un profondo negare fiducia, a quel mondo di fuori così minaccioso. Molti dei miei pazienti ammettono di non aver parlato con nessuno nell’ultimo periodo, nemmeno con il partner, i figli, le amiche, pur avendoli incontrati ogni giorno. Non c’era il tempo, non avrebbero capito, ecc. e non hanno nemmeno ascoltato nessuno, al di là delle consegne concrete. Eppure, in che altro modo farsi coraggio, cercare significati, se non nella condivisione?”.

La prima cosa che mi ha incuriosita di questo libro, ero in una libreria in Corso Buenos Aires a Milano, è stato il cognome dell’autrice. È stato un attimo e il mio cielo si è riempito di colori. Chiaia. Napoli. Uno dei miei quartieri del cuore in una delle mie città-vita. In pochi secondi le mie orecchie si sono riempite di suoni e il mio naso di profumi. Il nostro cervello, la nostra propensione al benessere, è incredibile: basta un nulla per evocare, emozionarci. Ma torniamo al libro, che subito ho preso e sfogliato e poi acquistato. Dietro le nuvole, l’amicizia e l’amore, questo il sottotitolo del saggio, indaga in modo delicato qualcosa che riguarda tutti noi, la nostra fragilità, qualcosa che facciamo fatica a dire, ad ammettere, perché ha un sapore di sconfitta: la solitudine. Non quella scelta, non quella fisica (si può essere soli, tremendamente, anche quando si è circondati da decine di persone), ma quella che ci copre il cielo, quella che lo colora di toni lontani dall’azzurro, quella che lo annebbia. I nostri muscoli relazionali sono poco elastici, si sono un po’ atrofizzati, e ogni movimento verso l’altro, verso noi stessi (la comunicazione sincera, non la maschera dei ruoli, è liberazione del nostro io), provoca paura, dolore. Restiamo fermi, paralizzati. Ci facciamo mille domande: chi vorrà dividere del tempo con me? Chi saprà accettare il fatto che dietro il mio fare brillante c’è una forte timidezza? Chi saprà capire che sono fragile ma non debole? Ci facciamo mille domande sbagliate. La domanda giusta è un’altra: perché non sappiamo noi stessi capire che sentirsi non perfetti non va nascosto? Che recitare perfezioni non serve? Che volersi male e non accettarsi porta a non volere bene, a sviluppare invidie, a calarsi in competizioni feroci, a impigrire la nostra anima?

La Chiaia scrive in modo carezzevole, soffice. La solitudine può farci male, se patita e non gestita. Un cielo grigio può avere il suo fascino, è anche romantico. Ma se non si apre mai ai raggi del sole, all’altezza dei piani infiniti di cielo, deprime, copre, soffoca, ‘abbassa’ la visuale.

Non siamo i soli a sentirci soli. Le persone che camminano veloci e non guardano nessuno, chi ci risponde male, chi non sorride mai, ecco, sono persone sole. Piene di paura. Agli occhi degli altri, però, appariamo anche noi così. Proviamo a scacciare qualche nuvola? Basta agitare una mano. Come quando da bambini facevamo ‘ciao’. Cominciamo con il dire un bel ciao. Anche a noi stessi.

Olga Chiaia, Uscire dalla solitudine, Feltrinelli

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