Il braccialetto dell’amore di Roberta Bezzi

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L’autrice si presenta: “Curiosità ed entusiasmo uniti a una buona dialettica, mi hanno permesso di realizzare il sogno di diventare giornalista. Sono nata a Ravenna nel 1973,  da circa vent’anni racconto la mia città, cercando di non dimenticare mai che dietro i fatti e le vicende ci sono prima di tutto le persone. Adoro leggere, sperimentare nuovi piatti in cucina, viaggiare e girovagare per la città. E ovviamente scrivere”. Ecco la sua storia

 

 

Seduta su quel letto sfatto, con le lenzuola spiegazzate ormai sul punto di afflosciarsi sul pavimento, mi guardavo nello specchio di fronte che ricopriva interamente una delle ante dell’ampio armadio. Vedevo i capelli leggermente scomposti, il lieve rossore del viso e soprattutto, quello sguardo attonito di chi non sa se averla fatta davvero troppo grossa o se essere semplicemente protagonista di una commedia surreale. Marco aveva lasciato la stanza, la nostra camera d’albergo, la numero 27, la nostra alcova nei due anni di storia.

Cercavo di ricordarmi com’era potuta scivolare via così in fretta quella che era subito apparsa come una strana relazione. Lui sposato e annoiato, quarantenne, io single e vivace, non ancora trentenne, complice una casuale conversazione in chat e tre serate di chiacchiere telefoniche, ci eravamo incontrati in un’affollata quanto anonima sala bingo in cui, anziché seguire il ritmo vorticoso delle puntate, avevamo preferito lasciar parlare gli occhi intenti a conoscersi, circondati da sei sconosciuti presi dalla febbre di quello stupido gioco. Poi qualcuno ci aveva invitati a lasciare il posto ad altri, eravamo usciti e avevamo fatto una breve passeggiata nella strada adiacente la spiaggia. Faceva freddo, la stagione del mare era ancora lontana. Di queste banalità parlavamo, quando Marco all’improvviso mi aveva attirata a sé per rubarmi un bacio sensuale mentre veloce una sua mano gelata si intrufolava nel maglione a collo alto in grado di provocarmi uno strano brivido.

«Non ho mai avuto una vera amante. Vuoi esserlo?».

Così, sfacciato e deciso, diretto e sincero. Nessuna resistenza da parte mia che ho fatto sì con il capo. Non era la prima volta con un uomo sposato e neppure con uno con così tanti anni in più. Quando Marco mi chiuse la portiera dell’auto dopo avermi salutata, non mi ero chiesta se fosse la cosa giusta o ciò che davvero volevo, ma gli avevo sorriso ed ero filata di corsa a casa per dormire perché il giorno dopo dovevo partecipare a un convegno. La seconda volta con Marco era stato un vortice di sensazioni forti, di fisicità estrema: mani che si cercavano al buio, corpi congiunti, energia liberata. Un erotismo misterioso consumato nella penombra di quella camera.

«Non è mai stato così con nessun’altra» mi disse Marco prima di sciogliermi dall’ultimo abbraccio intimo. Poi aveva acceso la luce e il suo tono era cambiato, sfumato l’incanto di quell’alchimia insolita e aveva ripreso a parlarmi.

«Non lascerò mai mia moglie e mia figlia. Non voglio illuderti».

«Sì, certo», risposi, pensando alle sue ben tre frasi iniziate con un ‘non’. Così, mi risultò normale replicare a tono…

«Non ti devi preoccupare. Rispetterò la tua vita e non ti chiederò mai nulla. Credo però che tu sappia di non poterti aspettare fedeltà da me».

«Non sono geloso e se un giorno incontrerai un ragazzo adatto a te, ne sarò contento».

Dopo quella sorta di informale promessa non eravamo più tornati sull’argomento e nel nostro primo anno l’ingrediente che aveva cementato quella nostra strana unione, la passione, non aveva certo dato segni di cedimento, malgrado la gestione degli appuntamenti fosse da manuale di contabilità. Una volta a settimana, quando andava bene, altrimenti ogni due. Ordinata anche la frequenza delle chiamate sul cellulare, sempre e solo in certi orari.

L’unico terreno su cui questa precisione certosina ogni tanto franava era quello degli sms: a volte, perdevamo il controllo e finivamo per cercarci con foga scrivendoci quella voglia intensa che non riuscivamo ad appagare con un immediato incontro fisico. Mi sentivo tutta sdilinquire, fremiti mi percorrevano, nell’avvertire la potenza del desiderio che ero capace di suscitare in quell’uomo, ma al contempo fragile per esserne la prima vittima.

Cosa ci facevo ora tutta sola nella nostra camera? Come era potuto accadere, così all’improvviso, un tale sconvolgimento?

In piedi, davanti allo specchio che questa volta rifletteva il mio corpo nudo, mi facevo domande senza riuscire a darmi risposte. Cominciai così a ripercorrere quanto accaduto negli ultimi tempi con occhi diversi. Forse tutto risaliva ad almeno dieci mesi fa, di certo aveva sottovalutato alcuni segnali importanti. All’improvviso, mi era tornato in mente la sera del mio ventottesimo compleanno. A sorpresa, Marco mi aveva portato a mangiare il pesce: la nostra prima cena in pubblico. Dopo un po’ di tensione iniziale, avevamo preso a parlare amabilmente, prima di lavoro e degli impegni della giornata, poi di questioni via via più private.

«Sento di non amare più mia moglie da troppo tempo, ma quando guardo mia figlia che è così orgogliosa di avere una famiglia a dispetto di tante compagne di scuola con genitori separati, so che per lei sarei disposto a tutto, anche a sacrificare me stesso», mi aveva confidato guardandomi fisso negli occhi con quello sguardo velato di tristezza.

«Non ricordo di aver mai visto i miei genitori insieme. Si sono lasciati quando non avevo ancora compiuto tre anni. Mi hanno reso felice però, forse perché anche loro lo erano con le persone con cui  si sono poi rifatti una vita», avevo replicato, prima di iniziare a giocherellare un po’ nervosa con il tovagliolo e di dire tutto d’un fiato: «Ho conosciuto un ragazzo che mi piace molto. Si chiama Andrea e credo che lo frequenterò».

«Ne sei innamorata?»  chiese deciso.

«Non ancora… Vorrei conoscerlo meglio, è diverso dagli altri con cui sono uscita sino a ora» ammisi.

Marco non aveva commentato, ma quando ero ritornata al tavolo dopo essere andata a rinfrescarmi, avevo notato da lontano che stava riponendo frettolosamente il mio cellulare, appena si era accorto di essere osservato. «Ti era squillato», si era giustificato. Avevo verificato velocemente senza trovare alcuna chiamata non risposta, ma non mi ero soffermata ulteriormente sull’episodio, perché Marco aveva chiesto il conto e poi ce ne eravamo andati.

Quella sera il nostro trasporto fisico era stato perfetto e, per la prima volta, Marco aveva insistito per tenere accesa la luce e mentre facevamo l’amore non mi aveva staccato gli occhi di dosso. Mi aveva fatta sentire spiata e indifesa, ma anche molto apprezzata e coccolata. Non era mai accaduto prima. Dopo quella sera, Marco aveva iniziato a cercarmi più spesso, ma non si era mai mostrato contrariato per le mie rinunce quando non potevo dire di no ad Andrea. Ora anch’io capivo cosa significava tradire, e soprattutto mentire, e non mi era facile districarmi fra due uomini. Ma perché non mi decidevo a lasciare Marco? Perché avevo scelto la strada delle menzogne, dell’ambiguità e della scorrettezza? Perché non riuscivo a capire cosa realmente provavo?

Mi ero stesa sul letto questa volta, dopo essermi sciacquata ripetutamente il viso nel tentativo di acquistare maggiore lucidità. Avevo preso il cellulare per comporre il numero di Marco. Dov’era? Lo avevo perso per sempre? Nulla da fare, non era raggiungibile. Non lo aveva riacceso ancora. Lui faceva sempre così, lo spegneva educatamente quando stava con me.

Con la memoria ripercorsi ancora un altro momento solo apparentemente banale: il nostro primo litigio. Sei mesi fa. Era inverno, faceva molto freddo ma i baci roventi che ci scambiavamo in auto erano sufficienti a scaldarci. Interrotti invece dallo squillo del mio portatile, malgrado fossero le due di notte. Non avevo accennato a rispondere, troppo presa dalle effusioni, ma lui mi aveva staccata da sé.

«Se qualcuno ti cerca, devi rispondere», disse glaciale, staccandomi da sé. Non mi ero mossa. Allora lui aveva fatto qualcosa di totalmente inaspettato: mi aveva preso la borsa e aveva cominciato a svuotarne il contenuto alla ricerca del telefono.

Era caduto di tutto fino alle chiavi… solo in ultimo il cellulare che Marco mi porse non senza stizza. Ma nel momento in cui stavo per rispondere, gli squilli erano finiti. Ero stupefatta, non lo avevo mai visto perdere la calma. Lo stavo ancora guardando, mentre il display del telefono poco dopo era tornato a illuminarsi per l’arrivo di un sms. Lui si era mosso veloce, me lo aveva sfilato dalle dita e lo aveva letto ad alta voce: “Amore, dove sei? Non riesco a dormire senza la tua buonanotte. Andrea”.

«Tu sei geloso!» mi lasciai scappare.

«Non dire sciocchezze. Ma tu sei irritante, dovresti spegnerlo questo maledetto intruso quando sei con me, esattamente come faccio io», aveva replicato furente Marco.

«Chiamalo se devi rassicurarlo…» aggiunse poi ironico ma più calmo, iniziando a raccogliere gli oggetti.

«No, ora non mi pare il caso» risposi io decisa.

«Se vuoi finire questa storia, non hai che da dirmelo», concluse freddamente.

Non aveva risposto e la nostra relazione era continuata come se nulla fosse. Per quanto mi riguarda, continuavo a dividermi fra Marco e Andrea, piena di sensi di colpa, ma incapace di prendere qualsiasi altra decisione.

Sapevo bene di avere sempre seguito il mio istinto e il mio ‘sentire’, ma non riuscivo a fare quadrare  tutto questo con il mio pensiero. Marco era tutto mio, una relazione totalmente privata che mai avevo confidato a nessuno, neppure alla mia migliore amica che invece sapeva tutto della storia ufficiale con Andrea. Sì, Andrea… l’uomo con tutte le carte in regola per essere quello ‘giusto’, almeno a sentire i commenti di chi mi conosceva: 32 anni, simpatico e di buon cuore, intelligente, con una carriera ormai avviata. Stare con lui, era come tornare all’infanzia, alle tenere scaramucce con i coetanei, era sicurezza, calma, anzi pace… troppa pace.

Ma dov’era Marco? Perché continuava a non rispondere?

Ecco con Marco tutto era tensione, esaltazione, quasi furore…era vita. Era sempre staccato e rinunciai per un po’, dopo aver perso il conto dei tentativi. Cercai di rilassarmi per fare scorrere meglio i pensieri, a cui dovevo ora assolutamente mettere ordine.

Volevo capire la portata di quanto era appena successo.

Quella sera, ci eravamo dati appuntamento direttamente in albergo, dove avevamo cenato in camera. Marco era arrivato in ritardo di un’ora a causa di un appuntamento di lavoro che si era prolungato, ma mi aveva avvisata, puntuale come sempre. Mi aveva salutato con un bacio subito appena entrato e poi si era fatto una doccia. Pensavo a quanto fosse diventato dolce negli ultimi mesi, premuroso… a tratti tenero, malgrado quella forte attrazione che da sempre faceva propendere il nostro rapporto verso tonalità più incandescenti. Ci eravamo fatti servire il branzino e il sorbetto al limone sul terrazzo per godere del panorama e della temperatura piacevole. Il vino rendeva la conversazione ancora più fluida con quel tocco di carezzevole ilarità. Lo avevamo persino bevuto dalla rispettive bocche quando il nostro languore era diventato più erotico. Lo avevo spogliato per prima con una certa voracità, Marco invece era stato volutamente lento, estenuante mentre giocavo a farmi rincorrere per la stanza e poi sul letto, dove mi divertivo a divincolarmi creando scompiglio ovunque. Cuscini spostati, coperte gettate sulla poltrona vicino alla finestra, lenzuola sollevate alla rinfusa. Qualche minuto dopo, Marco mi aveva bloccata con il suo corpo nudo sopra al mio, aveva iniziato a soffiarmi sul viso come faceva spesso prima di prendermi, impedendomi inoltre di muovere le braccia stese in alto con le mani di lui fra le mie. Ero tutta concentrata sul suo corpo virile che aumentava la pressione su di me e sulle sue mani che si erano sganciate per percorrermi le braccia ma… arrivato ai gomiti, Marco aveva ripreso a salire nuovamente e inaspettatamente. Lo avevo invitato a proseguire più velocemente, ma si era fermato su quel braccialetto che portavo sul polso destro. Era l’unica cosa che ancora indossavo. Avevo visto il suo volto accigliarsi mentre lo afferrava. «Cos’è questo?» urlò quasi.

«Un braccialetto».

«Sì.Questo lo vedo anch’io, ma chi te l’ha regalato?».
«Che importanza ha?»  chiesi stupita.

«È un suo regalo, vero?».

«Non ti capisco, Marco. Non credo che cambi nulla sapere che me lo ha dato Andrea».

«Cambia tutto!», peggio che se lo avessi colpito con un violento schiaffo, Marco completamente adombrato si mise le mani fra i capelli e parlando più che altro con se stesso, quasi sconvolto e sorpreso, ripetendo: «Oh, mio Dio! Cosa sto facendo, sono arrivato a questo! Amor vuol dir gelosia… amor vuol dir gelosia!». Mi guardava come folgorato, improvvisamente certo di ciò che covava dentro da troppo tempo. Allora, si era alzato da letto e aveva iniziato a rivestirsi. Avevo cercato di bloccarlo, ma senza riuscirci.

«Non posso più vederti ora che so… Sono certo che Andrea ti renderà felice…» le sue ultime parole prima di scappare e lasciarmi sola in quella stanza diventata troppo grande e vuota.

Lui mi amava, dunque. Ed era fuggito. Ma mi aveva lasciata in quanto temeva di soffrire perché io non lo ricambiavo o perché doveva rinunciare a me sia pure con sofferenza? Un bel dilemma per me… Riprovai ancora a richiamarlo ma nulla, lui era irraggiungibile. E io come mi sentivo? Ero felice e triste al contempo: bello scoprire di essere amata, ma brutto sentirsi abbandonata proprio ora. Stavo per alzarmi e rivestirmi, quando avevo sentito bussare alla porta. Avevo indossato l’accappatoio trovato in bagno e avevo aperto. Era Marco, visibilmente distrutto ma dai tratti più distesi.

«Mentre ero chiuso in auto nel parcheggio, senza riuscire a partire, ho pensato che non si può lasciare una signora così… senza almeno chiederle cosa ne pensa» – abbozzò con fare sornione.

Il tuffo al cuore che provai, aveva cancellato qualsiasi dubbio e mi era sentita finalmente leggera come una libellula nell’abbracciarlo, per sussurrargli: «Ti amo, anch’io». Poi mi ero sfilata il braccialetto che si era rivelato più prezioso del previsto.

«Questo non mi serve più», dissi sorridendo.

«Anche questa stanza non ci serve più. È tempo di uscirne», concluse Marco stampandomi un casto bacio a fior di labbra.

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