Il buio e poi la luce

Cuore
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È la storia più votata dalle lettrici per il n. 30, un racconto crudo ma quanto mai vero

Le foto dell’investigatore privato parlavano chiaro: mio marito mi tradiva e ogni volta con ragazze diverse. Pensai di aver toccato Il fondo ma il peggio doveva arrivare. Chi era davvero l’uomo da cui avevo avuto i miei figli?

storia vera di Martina P. raccolta da Vincenza Cascio

Avevo iniziato a percepire che qualcosa non andava, tra me e Matteo, già da tempo. Eravamo sposati da quasi 20 anni e qualche momento di crisi ovviamente c’era stato, ma stavolta sentivo una distanza abissale, sia affettiva che fisica. Vivevamo sotto lo stesso tetto, mangiavamo seduti allo stesso tavolo, dormivamo nello stesso letto eppure, nonostante i miei innumerevoli tentativi di vicinanza e dialogo, mi sentivo terribilmente sola. Da quanto tempo non facevamo l’amore? Da quanto tempo non ci prendevamo un po’ di tempo solo per noi, lontani dalla routine familiare, dal lavoro e dalle bizze dei nostri tre figli adolescenti? Una sera, seduta sul balcone di casa, con il cuore in tumulto e la mente piena zeppa di pensieri che riguardavano solo me e lui, presi una decisione: avrei contattato un investigatore privato. La professione di Matteo lo portava spesso fuori città e sarebbe stato difficile pedinarlo da sola e, francamente, non me la sarei sentita. La mattina seguente telefonai a Cinzia, la mia migliore amica, e le raccontai tutti i miei dubbi. Lei è separata da qualche anno e, per avere prove certe dei tradimenti del marito, si affidò per l’appunto a un professionista. «Si chiama Paolo D. Chiamalo, è il miglior investigatore privato della zona». Ore dopo mi decisi a comporre quel numero di telefono.

«Buongiorno, ho avuto il suo recapito da un’amica, avrei bisogno di parlare con lei» e in quel momento mi sentii umiliata da tutta questa faccenda e in totale imbarazzo.

Lui fu gentilissimo, probabilmente capì il disagio dalla mi voce. «Certo, possiamo vederci domani pomeriggio: venga in ufficio, la riceverò io». E cosi il giorno seguente mi recai all’indirizzo che mi aveva fornito. Mi fece accomodare nel suo ufficio e con grande tatto mi rivolse le domande necessarie a inquadrare il mio caso. Paolo era un uomo molto attraente, diverso da come me l’ero immaginato e, soprattutto, ascoltava con attenzione ed empatia. Più volte dovetti fermarmi, sopraffatta dall’emotività.

«Non si preoccupi, posso immaginare quanto sia difficile parlare di cose tanto intime con un estraneo». Mi rivolse un sorriso comprensivo, tanto che mi sentii pronta ad affidarmi a lui. Il momento della verità arrivò fin troppo in fretta: meno di un mese dopo il nostro primo incontro, l’investigatore mi chiamò per dirmi che aveva delle novità.

 

Dal tono della sua voce, neutro e professionale, capii che non avrei dovuto aspettarmi nulla di buono. Lo raggiunsi la mattina seguente: sulla sua scrivania campeggiavano diverse buste, gialle e grandi, che avrebbero svelato la destinazione del mio matrimonio. «Martina, prima che lei le apra tutte sento di doverla avvisare: la situazione è molto più grave di quel che pensavo».

Mi sentivo travolta da una slavina che mi stava frantumando le ossa e il cuore, pezzo per pezzo. Nelle fotografie vidi mio marito entrare nell’androne di un elegante palazzo, uscire ore dopo con una donna alta e bionda, bellissima e appariscente. In altre fotografie varcava la soglia di una albergo di lusso, in Svizzera, uscendone poi con una donna giovanissima. In altre fotografie lo vidi con donne sempre diverse, ma l’apice furono le immagini che lo ritraevano in una città vicina alla nostra, sul lungomare, mentre baciava una ragazza giovanissima, spingeva un passeggino, sollevava con tenerezza una neonata e la stringeva a sé. Era la figlia di mio marito, che aveva riconosciuto e a cui aveva dato il suo cognome. Ma non era finita qui, nonostante la faccenda fosse già al di sopra di ogni possibile tolleranza: tutte quelle donne erano escort, di cui lui gestiva gli affari e con cui si intratteneva di diritto, ma la “compagna” ufficiale era la giovane donna con cui aveva avuto una figlia. La ragazza in questione era poco più che ventenne. Mi sentii svenire.

«Martina, le porto un bicchiere d’acqua, è molto pallida. L’aiuto a sdraiarsi sul divano».

Sollevai lo sguardo: l’espressione di Paolo era partecipe, comprensiva e preoccupata, il che accentuò il mio bisogno di dare libero sfogo alle lacrime. Gli dissi di non preoccuparsi, che avrei compilato subito l’assegno, che era già sufficiente così e l’unica cosa che avrei voluto accadesse in quel momento era uscire da lì, non tornare mai più.

«Martina, non la faccio uscire cosi. Lei adesso cerchi di riposare un po’, per quanto possibile. Io rimango qui con lei e poi usciremo a fare quattro passi all’aria aperta. Si fidi di me, in questo momento è meglio cosi. Poi con calma ritorneremo sull’argomento».

Dopo queste parole credo che il mio corpo si spense, forse per non morire, e mi addormentai quasi all’istante. Qualche ora dopo mi risvegliai e lui era ancora li, seduto alla scrivania. Andai in panico: controllai il telefono e c’erano decine di chiamate dei miei figli, di mio padre, persino di Matteo. Chiamai uno dei miei ragazzi dicendo che sarei rientrata tardi per un’urgenza sul lavoro. Poi chiesi a mio padre di raggiungerli, in modo da preparare loro la cena, E infine chiamai Matteo, che sembrò persino preoccupato, quasi sospettoso. «Dobbiamo parlare, fatti trovare al parco di fronte al mio ufficio tra un’ora».

 

Paolo mi osservava intensamente e provò a convincermi a restare, ma io dovevo vedere mio marito, guardarlo negli occhi e vomitargli addosso tutto quello che ormai sapevo. Fu un incontro dolorosissimo, per me, penoso. In quel momento mi resi conto di quanto mi fosse sconosciuto l’uomo a cui avevo dedicato tutta me stessa, i miei anni migliori, le mie prospettive future. Quella sera stessa lo costrinsi a uscire di casa. I mesi seguenti furono devastanti per me, in ogni senso possibile. Ai nostri figli non raccontai tutto, adoravano il padre e non avrei voluto essere io a frantumare i loro sentimenti. Non era una mia responsabilità: io avevo il dovere di proteggerli, non di assumermi le colpe di un essere spregevole come il mio ex marito. E cosi dissi loro che l’amore era finito, che ce l’avremmo fatta e saremmo stati bene. In fondo erano grandicelli, ormai, ma lo shock fu forte anche per loro, nonostante non fossero a conoscenza degli eventi aberranti di cui ero al corrente io. Passai otto mesi terribili, il periodo più brutto della mia vita, un tunnel nero di cui non vedevo l’uscita, nemmeno uno spiraglio di luce. Poi, pian piano, tornai alla vita. Ripresi a pieno ritmo il lavoro, accettai qualche invito a cena da parte delle amiche più care che non mi avevano mai abbandonata e in una di queste serate, in un ristorante del centro, rividi Paolo. Non l’avevo più visto né sentito in questi mesi, nonostante lui mi avesse scritto e chiamata più volte, senza mai ricevere risposta da parte mia. «Ciao Paolo, che bello rivederti. Scusa se sono scomparsa e, maleducatamente, non ti ho mai risposto, ma non ero in grado. Avrei potuto almeno comunicartelo, ma il dolore ha scelto per me».

«Martina, comprendo benissimo, non preoccuparti. È solo che la voglia di sentirti e sapere come stavi era tanta». Era visibilmente emozionato e lo ero anche io. Dopo la separazione nessun uomo aveva destato il mio interesse, nemmeno minimamente. E invece in quel momento mi sentii emozionata come una ragazzina. Mi chiese di uscire la sera seguente e accettai. La scintilla scoccò subito. Il nostro primo bacio ci sorprese seduti su una panchina, in una calda sera d’estate. Sono passati quasi cinque anni da allora: ho divorziato e l’anno scorso Paolo e io ci siamo sposati. È iniziata la mia seconda vita accanto a un uomo che amo e che mi ama follemente. Mai avrei potuto immaginare un risvolto tanto inaspettato, alla mia età. Eppure l’amore non smette mai di stupire: cuore, mente e corpo sono pieni di lui, di noi. Mi sento risanata, sono una donna nuova. Che crede nell’amore e che si fida ancora.

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