Beatrice Arnera: «Mi chiedo sempre se mi merito quello che ho»

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In tivù accanto a Raoul Bova nella fiction “Buongiorno mamma!”, l’attrice ci parla del suo personaggio (Agata) e di come la maternità le ha cambiato la vita

Dal 17 settembre è tornata su Canale 5, Buongiorno, mamma!, fiction giunta alla sua terza stagione. Con qualche cambiamento: dopo l’uscita di scena Anna (interpretata da Maria Chiara Giannetta), la protagonista accanto a Raoul Bova è Beatrice Arnera, nel ruolo di Agata L’abbiamo intervistata e qui ci racconta tutto di lei.

Interpreti Agata dalla prima stagione, che effetto fa vedere il proprio personaggio diventare determinante?

«Agata e io siamo un po’ cresciute insieme, è affascinante vedere come si evolve».

La senti simile a te?

«Mi assomiglia molto. Come me è impulsiva, entrambe non rincorriamo la perfezione e un po’ ci svalutiamo. Io mi chiedo sempre se mi merito quello che ho. È un errore lo so, l’ho capito grazie alla psicoterapia».

La fiction ha una trama intricatissima. Il segreto del suo successo sta nel susseguirsi di colpi di scena?

«Sicuramente. Stupirsi mantiene alta l’attenzione. È un po’ così anche nella vita».

Che compagno di lavoro è Raoul Bova?

«Eccezionale, ci conosciamo ormai da anni. Sul set è una figura di riferimento, è paterno nella fiction, ma anche nella vita. Siamo amici, il cast è come una famiglia, ci vediamo anche fuori dal lavoro. Anche perché la regista, Laura Chiossone, è una grande aggregatrice, organizza spesso cene, così ha creato un bel gruppo coeso».

È difficile per te conciliare il lavoro di una serie tivù con il ruolo di mamma?

«Mia madre e mia sorella mi danno una mano, anche se mamma è impegnatissima con il suo lavoro (ma è super attiva e giovane). Poi, ho una tata quando serve. In fondo recitare non è diverso dagli altri lavori, abbiamo orari stabiliti. Ora sono sul set di un film molto importante, ma top secret. In più dal 27 novembre al 27 febbraio sarò in tour nei teatri con Intanto ti calmi, un “one woman show” scritto da me».

Che tipo è tua figlia Matilde (nata da Andrea Pisani, del duo PanPers)?

«Meravigliosa, adesso ha un anno e mezzo. È vivace e sveglissima, precoce. Da quando è arrivata mi sveglio ogni mattina con il desiderio di essere migliore per lei. È proprio vero che quando nasce un figlio cambia tutto».

Deve il nome a qualcuno?

«A un personaggio di Leon di Luc Besson, il film che amo di più. Ne abbiamo discusso con il papà, io avrei preferito Matilda, ma ha vinto il compromesso».

So che tra te e Andrea è un momento critico. Pensi che tutto si risolverà?

«Per me è un momento molto delicato, preferisco non parlarne».

Matilde ti assomiglia?

«Sì, è testarda come me e in lei vedo una versione 2.0 di me, con cui poter litigare per tutta la vita! Ma a me piace che dica no. Voglio che impari le regole per poterle trasgredire».

Cos’ha portato nella tua vita?

«La maternità non è tutta rose e fiori, ma per ora mi sta insegnando cose straordinarie. Per esempio il valore del tempo, io prima non ci pensavo, sono sempre stata un po’ gitana. Ma mi ha insegnato anche la lentezza o ad apprezzare quei momenti quando spengo il telefono e sto con lei».

Quando la guardi cosa pensi?

«Che è un enorme dono di Dio. Ogni parola nuova che impara a dire è felicità».

Hai dovuto sacrificare qualcosa della vita che facevi prima?

«Ho riflettuto sul fatto che “sacrificare” in latino, significa “rendere sacro” (reminiscenze del liceo classico), insomma rinunci ma per qualcosa di più importante e per me è così. Oltretutto, non sono mai stata un’amante delle uscite serali o della discoteca, né della palestra, quindi non devo rinunciare a molto».

Hai iniziato a recitare a cinque anni, come sei arrivata su un set, partendo da Acqui Terme, dove sei nata?

«Quando avevo tre anni ci siamo trasferiti a Roma e già avevo esperienza del mondo dello spettacolo. Mamma è un soprano e con lei avevo girato l’Europa da un teatro all’altro. Poi lei ha iniziato a scrivere dialoghi per il cinema e ha conosciuto Rossella Izzo che mi ha voluta in una serie tivù (Una donna per amico). Ho cominciato così a fare doppiaggio. Ero una bambina egocentrica e spigliata, mi divertivo. Poi ho capito che era anche remunerativo. La scuola non ne ha mai sofferto».

Ti sentivi una bambina prodigio?

«Per niente. C’erano miei coetanei, che sapevano ballare benissimo il tip tap o fare altre cose, io mi stranivo sempre quando venivo scelta. Ho capito che quella era la mia strada solo all’ultimo anno di liceo. Mi sono ritirata per partecipare a un musical evento: Karol Wojtyla, la vera storia. La scuola mi mandava i programmi e io studiavo da sola (sono sempre stata una gran secchiona). Poi ho dato gli esami e mi sono diplomata».

Oltre il lavoro che passioni hai?

«Suono la chitarra e il pianoforte, scrivo spettacoli che porto in scena, mi piace aprire il rubinetto della creatività. Amo anche cantare e lo faccio spesso in scena. Ultimamente sono diventata fan della bicicletta, ne affitto una e giro tutta Roma».

Anche a Matilde piace cantare? Cosa fai con lei?

«Per ora preferisce ballare, poi vedremo. Con lei mi piace stare in mezzo alla natura, nel verde, in spiaggia anche d’inverno. Facciamo collezione di foglie, divise per colore, ogni rametto diventa una bacchetta magica. Giocare con lei mi fa tornare bambina».

Ti ricordi la prima volta che ti ha chiamato mamma?

«Lo ricordo benissimo, aveva otto mesi e io ho pianto per 40 minuti!».

Le leggi le favole?

«Le invento, a partire da cose che ci sono successe durante il giorno».

A chi dici grazie?

«A mia figlia, alla mia famiglia, a chi mi ha dato belle opportunità di lavoro».

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Intervista di M.G. Sozzi pubblicata su Confidenze n 39/2025

Foto: Franco Origlia/Getty Images

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