Io e Leda

Cuore
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Una storia a tema maternità è la più votata per il n. 43. Due sorelle si sostengono nel momento più difficile

Siamo state bambine serene, poi ragazze piene di vita, con i cuori legati. Oggi mi aspetta il compito più difficile. Starle vicino mentre sfuma il suo sogno di diventare mamma per la prima volta

Storia vera di Marianna G. raccolta da Francesca Stucchi

 

Avrebbe avuto bisogno di tempo mia sorella per elaborare quanto era accaduto. Aveva tanto desiderato un figlio, averne due in una volta sola le era sembrato un regalo da vertigini. «Due gemelli» le aveva detto il ginecologo e lei aveva pianto di gioia, stringendo la mano al marito. Una felicità troppo grande, di quelle che non ti sembra di meritare, ma che valgono tutta una vita.Un pomeriggio di maggio Leda mi diede appuntamento al parco di Bellagio, dove ci piaceva passeggiare tra gli alberi maestosi, attraversando i giardini fioriti e chiacchierando liberamente tra noi. «Sono due!» mi disse accarezzandosi la pancia sulla panchina di pietra circondata d’alloro. Una fossetta le si formò sulla guancia mentre arrossì. Le brillavano gli occhi.Io non sapevo cosa dire, stupita e un po’ timorosa l’abbracciai sull’onda del suo entusiasmo. Quanti battiti di cuore in quell’abbraccio! I raggi del sole ci avvolgevano bonari, promessa di grandi emozioni.Ci incamminammo per il viale alberato tra prati punteggiati da fiorellini di mille colori, uno scoiattolo scese guardingo dal tronco di un pino, incrociò lo sguardo di mia sorella, s’immobilizzò, per poi sparire in un lampo dentro un cespuglio. Leda sorrise indicandomi il piccolo roditore. «Starà correndo dai suoi piccoli» ipotizzò. La maternità è qualcosa di immenso, senza confini, che un giorno ti nasce dentro, parecchio prima che nasca il bambino. Mia sorella, notavo, era già una mamma a tutti gli effetti, dalle forme morbide, radiosa, amorevole, sognante. Più volte la sentii dire: «Noi faremo, andremo, giocheremo…». Trovavo quella prima persona plurale riferita a sé e ai suoi bambini significativa e dolcissima.Amo mia sorella da quando me l’hanno messa in braccio. Avevo solo quattro anni, mi ha stretto il pollice con la sua manina e mi sono sentita molto fortunata ad avere una sorellina così tenera e profumata. Leda era bionda e paffutella, col nasino a patata come me. Da quel giorno la nostra famiglia era più forte e più grande e io, piccina com’ero, mi sentivo già in qualche modo la responsabilità di prendermi cura di lei.

Siamo sempre andate d’accordo noi due, bimbe vivaci e curiose in giro per il mondo, mano nella mano. I nostri genitori viaggiavano molto e raccontavano i nostri “family travels” in un blog, per dare consigli ad altri genitori desiderosi di scoprire il mondo con tutta la famiglia.

Abbiamo percorso migliaia di chilometri in camper, cantando tutto il repertorio di Jovanotti, Morandi, tappezzando le pareti del camper con i disegni dei luoghi che visitavamo, assaggiando cibi dai sapori assurdi in ogni parte d’Europa. Adoravo svegliarmi all’alba e scoprire dall’odore di salsedine che eravamo arrivati al mare. A poco a poco, però, per via della scuola, per il fatto che papà aveva dovuto cercare un lavoro più stabile e noioso che lo impegnava molto, per i costi della vita sempre più elevati, quei viaggi spensierati diventarono sempre più rari e noi una famiglia sempre meno allegra.

Io e Leda comunque eravamo serene, bambine, adolescenti e ragazze piene di vita con i cuori legati. La sera prima della mia partenza per l’università di Pisa piangemmo a singhiozzi, come se fossi stata chiamata alle armi, ma poi ogni 15 giorni prendevamo il treno e c’incontravamo a Milano o a Bologna per una giornata insieme. Nessun ragazzo era mai riuscito ad allontanarci. Leda a 25 anni conobbe Fabio, un giovane poliziotto di Roma, in servizio a Bellagio. Fu un colpo di fulmine, lo intuii immediatamente.

«Ti piace Fabio?» mi domandò una sera di luci tremule sul lago.

«Siete fatti l’uno per l’altra» confermai. Dopo un anno si sposarono e sono una coppia allegra e affiatata. L’arrivo dei bimbi avrebbe arricchito il loro amore di nuove emozioni.

La gravidanza per Leda fu un periodo abbastanza tranquillo, faceva molte ecografie e i piccoli crescevano bene. Al sesto mese aveva già un gran pancione, che si muoveva su e giù alle mie carezze. Lei e Fabio avevano deciso di scegliere i nomi dopo la nascita, quando avrebbero guardato per la prima volta i loro bimbi. Io intanto li chiamavo teneramente “topini della zia”.

A differenza di mia sorella non avevo ancora trovato l’uomo giusto. Già trentenne, mi aggiravo single con gli occhiali da sole e l‘aria indifferente, sperando in cuor mio di non restare zitella a vita. Storie importanti si erano accavallate l’una sull’altra, un fidanzato era andato via proprio mentre ne arrivava un altro, altrettanto innamorato. Eppure nessuno, ero sicura, mi aveva mai amata veramente, come Fabio amava Leda fin dal primo giorno. Così alla fine avevo dato un taglio a queste relazioni, optando per stare da sola. Ogni giovedì andavo a cena da Leda e Fabio, un’abitudine che ci piaceva mantenere nonostante il passare del tempo e i nostri impegni. Mamma e papà erano orgogliosi di diventare nonni, si sarebbe aperto un nuovo capitolo della loro vita, che stava già risvegliando desideri e gioie dimenticate.

 

Quel freddo 7 ottobre del 2024, però, tutto questo finì bruscamente. Una corsa in ospedale, un cesareo d’urgenza, una confusa, disperata follia. Quando arrivai in Pronto soccorso c’era il gelo nella sala d’attesa, sui volti dei dottori, nello sguardo terrorizzato di Fabio. Mi disse che la stavano operando, che non sapeva, che avrebbero fatto il possibile. Io mi sentivo malissimo.

Una dottoressa uscì dalla sala operatoria e venne verso di noi a passo lento, con gli occhi lucidi e le guance rosse. Mi si spezzò il cuore. Per un attimo sperai di sbagliarmi. «Leda sta bene» ci rassicurò, ma il suo sguardo tradiva quello che non osava dirci: «I piccoli non ce l’hanno fatta».

Fabio gridò così forte da svegliare tutto il reparto, scaraventando pugni contro il muro. Io rimasi impietrita. Da quel giorno non c’è più pace, non ci sono discorsi, né voglia di fare, solo un gigantesco terribile vuoto, da caderci dentro con le nostre stesse vite. Leda è rimasta in ospedale qualche giorno, non si riprende, vaga nel buio profondo di un dolore senza senso. Poi l’abbiamo accompagnata a casa senza dire una parola. Parlo con i miei e con Fabio: «Ho pensato di non lasciare mai sola Leda; quando non puoi esserci tu, ci sarò io» propongo.

«Come farai con il lavoro?» mi domanda.

«Ho già preso un’aspettativa», rispondo senza esitare.

«È una buona idea, perché Leda è veramente distrutta».

Mamma e papà vengono a trovarla quasi ogni giorno, provano a dire qualcosa, ma finiscono per piangere. Io cerco di essere forte, ma quale consolazione ci può essere per una mamma che perde i propri figli? L’unica cosa che mi sento di fare è aiutarla nelle faccende, in modo che, quando si alzerà dal letto, troverà una casa più accogliente e meno ostile. Cucino con cura e lascio un piatto in frigo per Fabio, così che abbia la cena pronta al rientro. Leda non vuole quasi niente, ma assaggia tutto e per ora credo che basti. Starle vicina fa bene a lei e anche a me. Non ricordo quanti giorni abbiamo passato così, lei sotto le coperte e io con lo straccio in mano.

Un mattino, mentre esco a fare alcune commissioni, passo davanti a un fioraio e scelgo un mazzo di narcisi bianchi. Mentre sto cucinando il nostro piatto preferito, il risotto allo zafferano, Leda, che forse ne ha sentito il profumo, si alza e mi raggiunge in cucina. Guardando la delicatezza dei fiori sistemati in un vaso, accenna un sorriso, o almeno mi sembra. Impiatto il risotto decorandolo con alcune violette e ce lo gustiamo come non succedeva da tanto tempo.

«Dimmi che non è vero» mi sussurra Leda.

«Non sai quanto vorrei dirtelo» le rispondo «tu e Fabio ora dovete camminare mano nella mano, uniti come siete e ancora di più».

«Non saprei dove potremmo andare», mi dice Leda spaesata.

«Dove vi porterà il vostro amore. Io ti sarò sempre vicina». Leda mi abbraccia e la stringo forte a me. La vita riprenderà.

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Articolo pubblicato su Confidenze n. 43 2025

 

 

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