Il segreto delle città felici

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Siviglia è la città dove si sta meglio. Ma qual è la ricetta dei Comuni dove si vive più sereni?

Il sito Time Out incorona Siviglia centro urbano più vivibile e sereno. Qual è la ricetta dei Comuni in cui si sta meglio? Gli elementi sono diversi e non hanno solo a che fare con servizi e infrastrutture

di Maria Rita Parsi

Mi domando spesso quali requisiti debba avere una città per consentire agli abitanti di vivere felici e sereni. A mio avviso, non si tratta solo di avere strade pulite, servizi efficienti e spazi verdi ben curati. Significa, prima di tutto, che i cittadini si sentano riconosciuti. Una città in cui si sta bene accoglie, educa e restituisce dignità alle relazioni umane, rendendo possibile ciò che troppo spesso dimentichiamo: la reciprocità tra persona e ambiente. Ogni luogo, infatti, esercita un’influenza profonda sulla psiche di chi lo abita. La città che cura non è solo un insieme di edifici e infrastrutture, ma un organismo vivente, fatto di persone, emozioni e legami. È un “contenitore affettivo” (dico, da psicologa) in cui ciascuno possa sentirsi parte di una rete di significati condivisi. Il primo requisito di una città sana è l’ascolto. Una comunità che sa ascoltare i suoi cittadini, che dà voce ai bambini, ai giovani, agli anziani, ai fragili, costruisce benessere collettivo. L’ascolto genera appartenenza, riduce la solitudine e rafforza la fiducia sociale. Una città che non ascolta, invece, diventa un luogo muto e ostile, dove si sopravvive ma non si vive. Il secondo requisito è la bellezza. Non quella effimera o di facciata, ma la bellezza che educa, che apre all’armonia, che insegna a rispettare. Spazi puliti, colori, arte pubblica, luce: tutto ciò incide in maniera significativa sul nostro equilibrio emotivo. La psiche umana reagisce ai luoghi, ecco perché l’ordine, la cura e la luce naturale diventano importanti alleati di salute mentale. Terzo requisito: la relazione. La città del benessere è quella che favorisce gli incontri, che crea luoghi di scambio, di gioco, di partecipazione. Dove i bambini possono correre e giocare, dove gli adulti possono parlare e confrontarsi, dove gli anziani possono raccontare. Dove la diversità non spaventa, ma al contrario arricchisce. Perché ogni volta che due persone s’incontrano davvero, la città respira a fondo.Infine, una città che fa vivere bene è quella che educa alla responsabilità. Dove i cittadini si sentono coautori del bene comune, custodi del territorio e della memoria. È una città che coltiva la coscienza civica come parte integrante della salute psicologica collettiva. Riassumendo, possiamo dunque sostenere che una città non è solo un luogo fisico e concreto, ma è anche la rappresentazione dell’anima dei suoi abitanti. Se gli uomini e le donne che la abitano imparano ad averne cura come di se stessi, se s’impegnano a illuminarla, a rispettarla, a renderla più giusta e più umana, allora quella stessa città diventa un luogo del cuore, una città in cui, finalmente, vivere coincide con amare. Vi invito a riflettere su questo tema, forse un po’ trascurato.

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