Amnesia d’amore

Cuore
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La storia più apprezzata del n. 13 di Confidenze è “Amnesia d’amore” di Annalucia Lomunno. Ve la riproponiamo sul blog

 

Storia vera di Veronica L. raccolta da Annalucia Lomunno

 

È stato un vero miracolo». Sorrido davvero, e non è il solito sorriso finto, forzato, disperato. No: dopo tanto tempo, sorrido di gusto. Tanto, troppo tempo, un’era geologica. La donna che è qui con me e che mi parla, mi pare simpatica. Ha il camice bianco e un profumo molto intenso addosso. Ed è anche questo un miracolo che una bellissima donna con il camice bianco non mi sembri ostile e nemica. Proprio no. Continua melodiosa in questa cantilena, dicendomi che la mia automobile era un rottame e che, quando m’hanno estratta dalle lamiere, sembrava impossibile che io potessi farcela e invece ero tutta intera, incredibile. E adesso ho anche recuperato la memoria e possiamo scendere nell’abisso, scavare in fondo, sminuzzare e poi ricostruire anche i dettagli più sgradevoli. Sono stata brava, sono viva e ho vinto pure quella maledetta amnesia che mi stava mandando al manicomio. Ora ho un orizzonte nitido e sono appagata. Mi dice che dobbiamo lavorare ancora tanto: però stamattina ho ottenuto un ottimo risultato. Per la prima volta ho riportato un frammento recente, esatto, e non una cosa del passato remoto o peggio, una fantasticheria, una cosa mai accaduta. In questo giorno piovoso ho stupito la donna col camice bianco parlando di qualcosa di concreto, vivo nella mia memoria, rintracciabile. Mi dice: «Temevo che non ne saremmo mai venuti fuori. Era un po’ come giocare a Monopoli: poche probabilità, innumerevoli imprevisti». Come se volesse sostenere il mio buon umore. Wow, è pure spiritosa, irresistibile. Di sicuro è una che ha tutto, che ha avuto tutto, niente rogne, bisogni, tormenti. Questa donna è ok, e adesso è qui con me e vuole conquistarmi e prendermi. Ma io sono già sua, ai suoi piedi, al suo cospetto; non potrei desiderare altro che la pace e la serenità di questo preciso, indimenticabile momento. Indimenticabile, senz’ombra di dubbio. Stringendomi la mano, mi dice che la giornata va festeggiata e segnata sul calendario perché casi come il mio sono rari, perché rara è la guarigione e rarissime le possibilità di una riabilitazione assoluta e totale. Faccio di sì con la testa e la lascio continuare: sto così bene, con questo profumo suo che mi dà alla testa e mi alleggerisce i pensieri. Sembra una cosa di lusso, mi inebria. Mi racconta del mio incidente: mi dice che è stato gravissimo, ma che ce l’ho fatta e che dovrei reinterpretare questa tragedia come un’occasione di riscatto. Un’altra possibilità, un’altra chance, un’altra vita. Il mio passato deve esserle sembrato qualcosa di fortemente angosciante. Quello che ha colto è che non ero felice. La mia amnesia post-traumatica ha riportato a galla delle paure, delle speranze, delle situazioni sospese, che sicuramente mi stavano logorando, e che rischiavano di schiacciarmi.«È strano a dirsi» afferma con convinzione, «ma ogni cosa, ogni storia passionale che si rispetti, ha almeno due punti di vista». Sorrido di nuovo. Due punti di vista, sì: è come dire che fare del male e farsi del male è una peculiarità degli esseri umani. Questa donna, si chiama dottoressa Bacs, ha un nome straniero attaccato al petto, ma parla un italiano impeccabile: è medico psichiatra e mi piace. La sua voce è proprio una melodia, una coccola. l’ascolterei per ore. Fascinosa dottoressa Bacs con quest’accento strepitoso che mi fa venire in mente sperdute città francesi e lettere d’amore mai spedite. Fascinosa, già detto, piena zeppa di profumo, con una bellissima scrivania e otto librerie debordanti di volumi e foto; la invidio. Anche questo mi piace. Nel suo studio mi sento a casa in un mirabile benessere, tra pareti viola, col parquet sotto i piedi e un sottofondo di cornamuse nelle orecchie.

 

Mi informa che durante tutte le nostre sedute le ho raccontato la mia vita a spezzoni, mescolandola alle mie fantasie, sensazioni, percezioni e ad avvenimenti che avevo programmato, o in cui ero coinvolta, ma che non si erano mai realizzati. Accidenti, chissà che le avrò detto. Le avrò spifferato i fatti miei, tutti, e adesso mi vergogno da morire. Speriamo che la cosa rimanga quieta e segreta e che la dottoressa Bacs non vada in giro a parlarne. Magari con suo marito, con i colleghi, a cena, tra un grissino e l’altro, giusto per ammazzare la noia, per condire un consommé senza sale, per mandar giù l’ennesimo bicchiere che sa di tappo. Ma no, non lo farà: mi fido di lei, come mi fido di questa guarigione. «Il suo fidanzato l’ha lasciata proprio il giorno del suo compleanno. Questo lo ricorda esattamente perché me ne ha appena parlato». Ecco la realtà che cercava, finalmente. Lo ricordo eccome quel bastardo smargiasso, ma preferisco che sia lei a disquisirne con successo, la mia meravigliosa interlocutrice. Io ho la testa leggera e non posso, non voglio affaticarmi.

Sono una donna nuova senza dolore, stupori e rimpianti. Sono una specie di ameba, di foglia, di babà asciutto. Ma la cosa mi va bene, benissimo. Il mio cervello non funzionava e la mia vita era piena di troppe porcherie, di sentimenti guasti, di potenzialità infide. Mi ero schiantata contro un palo a duecento all’ora e avevo questo glorioso passato contrassegnato da microfratture e lesioni e distorsioni e contusioni multiple. Ma ero guarita lentamente, lentissimamente guarita.

So soltanto adesso di aver raccontato di scene confuse, nebulose, di tutte le mie ossessioni, le mie angosce. Ho confidato i segreti e le bassezze di chi mi girava intorno. Le cattiverie, i tradimenti fatti o paventati delle persone che mi stavano più a cuore. Mi svuotavo, mi lanciavo nel vuoto, rinascevo. In fondo si trattava di un’altra estrazione. Mi avevano estratta dai rottami e poi dalla mia vita stessa, mi avevano salvata due volte forse.

Continuo a tacere in questo studio dove non trovo nulla su cui fissare lo sguardo. La musica finisce ma poi ricomincia, le cornamuse muoiono a favore di un filo di pianoforte. Ogni cosa ha una sua logica e non mi interessa più chiedere altro, sapere, approfondire, rinnovare l’archivio. Forse dovrei fingere una lacrima, almeno una, ma non mi viene. L’unica cosa che ho in testa è frivola e banale: questo profumo fortissimo, una roba da capogiro. Devo assolutamente chiederle come si chiama, dove l’ha comprato perché lo voglio.

Quando il mio ragazzo mi ha lasciata, mi sono scolata una bottiglia di chissà cosa e ho provato a morire.

Ma adesso non sono più una professionista del dolore, anche se quest’atroce lucentezza è ancora molto lontana dalla felicità pura.

 

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