Così felice mai

Cuore
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“Davvero c’è sempre speranza di ricominciare daccapo nella vita, anche quando non si è più giovanissimi. Una storia intensa e sullo sfondo la magica Tunisia” scrive la nostra lettrice Angela sulla pagina Facebook, per votare Così felice mai, la storia preferita del n. 26. Ve la riproponiamo sul blog

 

In questa terra straniera dove al tramonto tutto è rosa sono finalmente riuscito a buttarmi alle spalle il passato. Il destino aveva tenuto in serbo per me una sorpresa. Un regalo che mi ripaga delle amarezze del mio matrimonio

STORIA VERA DI RAIMONDO M. RACCOLTA DA BARBARA BENASSI

 

È l’ora del tramonto. Dalla finestra di casa mia il sole a poco a poco scende dietro i palmizi, oltre ai quali si scorge il deserto. L’ombra che cala trattiene ancora la luce. L’aria sembra un fluido luminoso nel quale è immersa ogni cosa. Tutto intorno a me si tinge di rosa: il cielo, le case, le foglie degli alberi. Un paesaggio che emana serenità nel profondo, fin dentro il mio cuore. Sì, ora sono sereno malgrado Marisa, la mia ex moglie, stamattina mi abbia buttato giù il telefono, furiosa, urlante e disperata più che mai.

Non volevo ferirla, non volevo mortificarla, davvero. Ho cercato di essere delicato e fermo al tempo stesso. Nella mia vita ho sempre fatto di tutto per noi e per la nostra famiglia. Non mi sono mai tirato indietro di fronte a niente, ho perfino lasciato l’Italia per venire a vivere da solo in un Paese lontano del quale conoscevo ben poco. Non rimpiango nulla, sia ben chiaro, anzi ringrazio la vita per avermi stupito ancora, e se oggi sono sereno è proprio grazie a quelle scelte del passato che mi hanno portato fin qui.

Ma la storia è lunga ed è meglio andare per ordine. Marisa era una bella ragazza, dal carattere forte e deciso. L’ho conosciuta appena finito il militare, eravamo tutti e due molto giovani. Siamo usciti per un lungo periodo e lei è rimasta incinta all’inizio della primavera.
Al culmine della felicità ci siamo sposati una domenica di maggio in una piccola chiesa di campagna. Abbiamo continuato ad amarci e ad amare le nostre due figlie Caterina e Benedetta, arrivate nel giro di tre anni l’una dall’altra. Le nostre bambine, così belle e così diverse: Caterina tutta studio e lavoro, un “quaderno a quadretti” come la chiamavo io; sua sorella Benedetta invece, un’esplosione di luce, colori, illusioni. Se Caterina era ancorata alla realtà e al bisogno di certezze, Benedetta sembrava vivere nel regno dei sogni, attratta come una falena da tutto ciò che era effimero e precario.

Questo loro modo diverso di approcciare la vita era stato evidente da subito. Io cercavo di amarle per ciò che erano, dando loro la possibilità di crescere nel rispetto della personalità di ognuna, mentre Marisa non riusciva ad accettare la nostra secondogenita. Con Benedetta era una lotta costante per cercare di cambiarla a tutti i costi, per strapparla da quello che mia moglie definiva il suo “mondo degli unicorni”. Perciò a ogni elogio propinato a Caterina, seguiva un rimprovero nemmeno tanto velato a Benedetta. In sostanza un inferno che logorava le ragazze e anche noi come coppia.

Infatti proprio dopo uno di questi scontri tra madre e figlia Marisa mi disse di aver bisogno di respirare, di vedere altre persone oltre la famiglia e i colleghi, gente nuova insomma. Pur di avere un po’ di pace, l’idea mi sembrò buona. Solo che io non ero contemplato nel suo progetto. Gente nuova, diceva lei.

Fu così che insieme a una sua cara amica a settimana usciva la sera per andare a lezione. Devo dire che i primi tempi ne traeva un gran beneficio che si rifletteva anche su di me e sulle ragazze.

Purtroppo durò poco. Dopo tre mesi di corso, la tranquillità fu spazzata via dall’improvviso cambiamento di umore di mia moglie.

Marisa era sempre più nervosa, insofferente, smaniosa. Le figlie, malgrado i vari tentativi, non riuscivano a capire cosa avesse. Caterina, spaesata, aveva finito per buttarsi sul lavoro, mentre Benedetta si era chiusa a riccio in se stessa.

Io avevo provato in tutti i modi a parlare con la loro madre. Più volte, con dolcezza, l’avevo rassicurata che qualsiasi cosa stesse passando poteva contare su di me e che ne saremmo usciti insieme. Altre volte invece con fermezza avevo tentato di scuoterla, volevo farle capire quanto mi ferissero il suo atteggiamento aggressivo e il mutismo. Per molto tempo a nulla valsero i miei sforzi fino alla sera in cui lei crollò.

All’improvviso iniziò a piangere e tra i singhiozzi mi raccontò stremata quale fosse l’origine della sua sofferenza: l’amore. Non potevo crederci. Seduta sul divano del nostro salone, mia moglie cercava in me consolazione alle sue pene e ai tormenti del cuore. Si scusava versando calde lacrime, ma si era innamorata. All’inizio, giuro, le sue parole mi sembravano arrivare da un luogo lontano, irreale. Invece erano vere. Come era vero Paolo, l’uomo che aveva conosciuto a lezione di tango e per il quale aveva perso la testa, l’uomo che in un primo momento l’aveva riempita di parole dolci, regali, attenzioni. L’uomo che dopo averla conquistata, una volta sicuro di sé, alternava bastone e carota, aspre critiche e tenerezza, distacco e coinvolgimento, aggressività e calma. Logorata da questo amore tossico, Marisa mi scaricava addosso i suoi problemi senza capire che in quel modo andavo a fondo anch’io. Io che non ero riuscito ad accorgermi di nulla fin dal primo momento per strapparla dalle mani di quel farabutto, mentre lei, talmente avviluppata nella rete di quell’uomo, non mi vedeva più e nemmeno sentiva la mia voce.

Da quella sera provai di tutto per recuperare, non mi vergogno a dirlo. Feci appostamenti, presi di petto Paolo e feci altrettanto con Marisa: come poteva non vedere che quello era un poco di buono? Proposi la terapia di coppia, diversi viaggi riparatori, molte attività in comune, ma a nulla valsero i miei sforzi. Anzi, non sapendo più cosa inventare, Marisa arrivò a dire che la causa della sua infelicità con Paolo era il nostro matrimonio, la nostra unione. Se fosse stata libera, allora sì che lui sarebbe cambiato. Chiese la separazione e poi il divorzio, anche se niente mutò mai nel burrascoso rapporto tra lei e quell’uomo negli anni che seguirono. A cambiare invece furono le nostre figlie. Fidanzata da anni, Caterina decise di lasciare la barca che affondava per convolare a nozze con il suo ragazzo storico. Benedetta invece, rimasta sola e sempre più persa nei suoi sogni fantastici, decise di andare a vivere da un’amica: scoprii che in realtà era un amico, o meglio il suo compagno e il padre della bambina che dopo due mesi di convivenza lei portava in grembo. Una scelta che si rivelò precaria: Benedetta non aveva lavoro, non aveva soldi e, dopo poco, non aveva nemmeno più il compagno. Appena saputo della gravidanza, il ragazzo aveva fatto un passo indietro volatilizzandosi.

Me la ritrovai sulla porta di casa con la valigia in mano e gli occhi pieni di lacrime. Giorno dopo giorno, iniziammo a prenderci cura l’uno dell’altra e ci impegnammo a rimettere insieme i pezzi per accogliere, nel miglior modo possibile, la nuova vita che sarebbe venuta al mondo.

Marisa intanto portava avanti disperatamente la relazione con Paolo: colse al volo l’opportunità di distogliere la propria attenzione da quel rapporto malato per concentrarsi sulle esigenze della figlia e della futura nipote. Fu spinta anche dall’entusiasmo irrefrenabile di Caterina per il lieto evento.

Il lieto evento ci riunì di nuovo come una vera famiglia e ci mise di fronte all’esigenza di trovare una sistemazione per Benedetta dove potesse vivere e far crescere la bambina.

Dal canto mio ero disposto a tutto pur di aiutare la mia piccola sognatrice a rimettersi in sesto e ad avere una nuova chance per ripartire. Elaborai una proposta. Dopo il divorzio Marisa era rimasta ad abitare nel nostro appartamento che si sviluppava su due piani, mentre io avevo trovato una sistemazione in affitto. Visto che la casa poteva essere divisa in due unità separate, Benedetta avrebbe potuto abitare a un piano e la madre nell’altro.

Alle ragazze l’idea piacque e anche a Marisa. Pose una sola condizione: mi sarei fatto carico io delle spese per i lavori di ristrutturazione, costi che sarebbero stati di certo inferiori rispetto all’acquisto di una casa nuova.

Non ci pensai troppo e accettai senza ribattere. Sentivo che fare quadrato intorno a Benedetta ci stava riavvicinando molto tutti. Ma tra il dire e il fare c’era di mezzo… Un mare di conti. Ai tempi, dopo aver insegnato tutta la vita, ero appena andato in pensione. In più, dopo il divorzio non disponevo certo di grandi capitali.

Dopo aver dato il primo acconto per iniziare i lavori, mi sarei dovuto inventare qualcosa per saldare i conti. Chiesi in giro e quel qualcosa arrivò. Fu un mio amico, anche lui in pensione, a darmi un suggerimento che all’inizio considerai con qualche diffidenza, ma che poi accese la mia determinazione: la possibilità di trasferirmi in Tunisia. Non avrei mai pensato di prendere anche solo in considerazione una simile possibilità.

Che dire, un gioco del destino? Non lo so, ma oggi mi piace pensare che fosse scritto nelle stelle, che dietro quella scelta ci fosse un disegno.

A ogni modo, nel giro di tre mesi mi ritrovai a vivere a Tunisi. Come altri pensionati italiani, mi ero fatto coraggio, avevo preparato la valigia ed ero emigrato in un Paese dove, con le mie entrate, potevo dare una mano alla mia famiglia e vivere agiatamente.

Un paradiso? All’inizio non fu proprio così. Se Benedetta non avesse avuto bisogno di aiuto e se Marisa non fosse venuta a trovarmi periodicamente, non credo che ce l’avrei mai fatta a resistere.

Mi trasferii alla fine di giugno e attraverso un’agenzia riuscii a sistemare subito la mia situazione dal punto di vista fiscale e abitativo. Mi trovarono un appartamento delizioso in una cittadina a una decina di chilometri da Tunisi chiamata La Goletta. Grazie a un barbiere simpaticissimo, che parlava anche un po’ di italiano, iniziai a scoprire la città: la Medina e il suq, il Museo Nazionale del Bardo, piazza della Kasbah, il ristorantino buonissimo sulla piazzetta dove mangiavo spesso da solo e dove portavo Marisa quando veniva a trovarmi. Mentre gustavamo i brik, gli involtini saporiti, le kefta, le polpettine di carne speziata, e l’insalata tunisina, lei mi mostrava le foto delle ragazze e dei lavori in corso. Dopo aver cenato, passeggiavamo a lungo tra le viuzze strette.

In quei momenti la sentivo vicina, ma era solo un’illusione: bastava un messaggio di Paolo e lei volava via di nuovo tra le sue braccia. Ogni volta per me era una sofferenza perché la presenza di quell’uomo mi metteva di fronte a una realtà: ero diventato solo un riempitivo per Marisa e dovevo farmene una ragione; tutta la sua vita girava ormai intorno a lui.

Intanto le cose per Benedetta andavano avanti: proprio prima del parto era riuscita a finire un master in design per gioielli che le avevo pagato io. In più mia nipote era nata bella e sana quando si erano conclusi i lavori nell’appartamento. Anch’io potevo rilassarmi, visto che a quel punto le spese si erano notevolmente ridotte. O almeno così credevo.

Ero rientrato da tre giorni qui a Tunisi dall’Italia, dov’ero stato per il battesimo della piccola, quando Marisa mi telefonò per chiedermi dei soldi che, a suo dire, non le avevo inviato. Mi parlò di ricevute, di fatture sospese.

La richiesta mi sembrava strana, ma la tranquillizzai comunque dicendole che avrei provveduto l’indomani stesso. Mi fece un’ulteriore richiesta guardandomi negli occhi quando venne a trovarmi una nuova volta. In effetti era stata particolarmente affettuosa per tutti e due i giorni della sua permanenza e io mi ero davvero illuso che tornasse a sentire qualcosa per me. In realtà, da un momento all’altro se ne uscì con la richiesta di un assegno con un importo importante, giustificandolo ancora una volta con spese non meglio precisate che non le avevo corrisposto in passato. Ci rimasi malissimo, ma le diedi quello che voleva senza opporre la minima resistenza.

Dopo che fu partita, però, decisi di chiedere alle ragazze se sapevano qualcosa al riguardo: avevo un forte presentimento.

Purtroppo furono confermati i miei sospetti. I lavori erano finiti da tempo, l’appartamento era stato arredato. Caterina lavorava come sempre presso

il Tribunale dei minori della nostra città, e Benedetta era stata assunta da una grande azienda danese: il master aveva fatto emergere il suo talento, e si era anche fidanzata. Dunque tutti i tasselli erano andati al loro posto e rimaneva una sola valida eventualità: Marisa chiedeva quei soldi per passarli a Paolo.

Le mie figlie mi confermarono che lo foraggiava da tempo, ma non immaginavano che potesse arrivare a chiedere il denaro anche a me. Mi sentii raggelare e qualcosa dentro di me si ruppe. Capii che era giunta l’ora di cominciare davvero una nuova vita.

Per distrarmi, mi costrinsi a cercare qualcosa che potesse interessarmi, così decisi di iniziare un corso di lingua e cultura araba.
Proprio quando il mio cuore lasciò andare definitivamente Marisa, si realizzò quel disegno che evidentemente il destino aveva in serbo per me. O almeno a me piace pensarla così perché, appena entrai nella scuola, la prima persona che incontrai fu Karima, una donna colta, una fine insegnante. Mentre mi spiegava i rudimenti della lingua, alternando l’italiano all’arabo, mi innamoravo della sua dolcezza. Provavo a sillabare Chahiyya tayyiba, cioè “Buon appetito”, e dentro di me dicevo invece: “Vorrei potertelo dire seduti davanti a un buon piatto”; pronunciavo As salamu alaikum, cioè “Buona giornata” e ardivo pensare: “Vorrei uscire con te”. Un giorno finalmente le chiesi di uscire insieme.

Karima e io ci piacemmo subito e ancora oggi ci piacciamo tanto. Guardando negli occhi di quella donna ho provato nuove sensazioni che, a poco a poco, hanno risvegliato parti di me che pensavo assopite e che invece avevano mantenuto misteriosamente una giovanile freschezza. Stamattina Marisa mi ha chiamato per chiedermi un altro bonifico extra per le ragazze e per l’appartamento: questa volta gliel’ho rifiutato cercando di non mortificarla. L’ha presa male e io le ho augurato di trovare un uomo che la ami davvero.

Quanto a me, vada come vada perché ho imparato che la vita è evoluzione e cambiamento. Io ne ho iniziata una nuova qui, in questa terra straniera, dove al tramonto tutto è rosa e dove mai mi sono sentito così a casa come accanto a Karima.

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