Cuore di mamma

Cuore
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Da oggi postiamo le storie più votate dalle nostre lettrici su Facebook. Cominciamo con "Cuore di mamma" raccolta da Antonella Tomaselli e pubblicata su Confidenze n. 22. Una madre adottiva lancia un appello struggente

Storia vera di Evelyn F. raccolta da Antonella Tomaselli

 

Lei è nella nebbia. Annaspa, inciampa, si perde. Lo vuole un cielo azzurro e rosa, ma non riesce a vederlo, ad afferrarlo.

Con occhiali che distorcono cerca sentieri d’amore.

Ma al mio tesoro caro basterà l’amore? Non lo so. So solo che il mio per lei è grande, più del mio cuore. Molto di più. Non ha confini. Non li avrà mai.

 

“Cara Mamma, non mi trovo molto bene a parlare, e non ne ho nemmeno il tempo, o forse, per orgoglio, non ne ho voglia. Sai, non voglio sembrare troppo attaccata a te… fin da quando sono nata tu ti sei preoccupata per me, non mi hai mai abbandonata. Mi sei stata sempre vicina e mi hai voluto tanto bene, e me ne vuoi ancora, spero.” Ho trovato questa lettera di mia figlia. La leggo e la rileggo.

La lettera continua, ma io mi fermo un attimo sulle prime parole. Sorrido: ha scritto “Mamma” con la emme maiuscola. Che dolcezza…

Chiudo gli occhi mentre mi ritrovo a sussurrare: «Fiorellino mio, ti vorrò sempre bene». Riprendo a leggere tra lacrime silenziose che mi scivolano sul viso.

“Stai facendo molti sacrifici mamma, e io lo so, anche se da fuori sembra che non te ne sia riconoscente, in cuor mio ti ringrazio.

…Non meriti una figlia come me, io sono una”.

La lettera si interrompe qui. Me la stringo al cuore. È una storia difficile quella che vi sto per narrare… Nel racconto mia figlia la chiamerò Esmeralda. Non è il suo vero nome, ma le si addice, perché lei è bella come una pietra preziosa. E dello smeraldo ha le luci. Gli smeraldi hanno spesso inclusioni e fessure – non sempre visibili a occhio nudo, come le ombre sul cuore di mia figlia – eppure sono gemme meravigliose.

Esmeralda. Come la gitana dello spettacolo musicale di Cocciante che ha fatto vibrare il suo cuore e il mio.

 

Esmeralda ha diciannove anni. Capelli scuri, sguardo di velluto. Quando sorride si illumina. E accende il mondo. Ma da troppo tempo non ha voglia di sorridere.

La prima volta che l’ho avuta tra le braccia ho provato un’emozione indicibile. Credevo di morire per la troppa felicità: non riuscivo a contenerla tutta. Ero lì lì per scoppiare.

Lei non aveva nemmeno due mesi. Mi guardava. I suoi occhi nei miei. Un momento che non dimenticherò mai.

L’assistente sociale che me la mise in braccio mi disse stupita: «Signora, lei somiglia in modo impressionante alla mamma di Esmeralda!». E ritornò ancora poco dopo per aggiungere: «Incredibile, lei e la mamma biologica avete pure la stessa età. Siete nate nello stesso anno». Già, io sono la mamma adottiva di Esmeralda. Mi ricordo che stringevo al petto quello splendore di bambina e sussurravo: «Mia figlia. È mia figlia» e già l’amavo tanto. E la mia vita era un concerto di campane a festa.

 

Fino a quando… fino a quando, piano piano, strisciando, insinuandosi come malerbe, affiorarono i primi problemi. Erano subdoli, sembravano piccoli. E io e mio marito, pur essendo due insegnanti di sostegno e dunque ogni giorno a contatto con le difficoltà di tanti ragazzi, non riuscimmo a leggerli subito obiettivamente. Per esempio: Esmeralda partecipava alle festicciole dei suoi compagni, ma, ogni volta, a metà festa la dovevamo andare a riprendere. La trovavamo in lacrime perché lei non si sentiva accettata dagli amichetti. E noi non la capimmo subito tutta la fragilità della nostra piccolina. E lo stesso quando l’aiutavamo a raggiungere così faticosamente gli obiettivi scolastici: sottovalutavamo le sue difficoltà. In seguito le fu diagnosticata anche una forma di epilessia, che però riuscimmo – e riusciamo tuttora – a controllare con terapie adeguate. Quando entrò nella scuola media i momenti difficili presero il sopravvento. Probabilmente giocò un ruolo importante il fatto che Esmeralda fosse stata presentata ai compagni come una bimba adottata, perché lei si sentì trattata come un fenomeno da baraccone.

Eppure non avevamo ancora toccato il fondo: aveva pressappoco quattordici anni quando da ubbidiente e carina e dolce, divenne, in un lampo, aggressiva. Non rispettava e non riconosceva nessuna autorità. Non accettava alcuna regola. Non voleva più nemmeno lavarsi.

 

Le incomprensioni e le tensioni lievitavano esponenzialmente col passare delle settimane. Ma la sua non era la consueta crisi adolescenziale. C’era di più. Scappò di casa la mia bambina. E i servizi sociali entrarono a far parte della nostra vita. Non con un intervento positivo, purtroppo. Scelsero per Esmeralda un centro diurno per ragazzi difficili. Lì, nostra figlia conobbe alcuni rom.

Non ho pregiudizi, assolutamente. E non voglio discriminare nessuno. Ma quegli incontri produssero altre angosce. «Mamma, i rom non hanno regole, accettano tutti per come sono, non devono render conto a nessuno. Non hanno orari. Non devono andare a scuola. E la loro musica mi fa sognare» mi diceva Esmeralda, innamorata del loro modo di vivere. Scappò di casa ancora, la mia bambina. Una, due, tre… quarantacinque volte. Sì, quarantacinque, avete letto bene. E non solo per andare in campi rom.

In ogni fuga le situazioni pericolose vissute le ferirono il corpo e l’anima.

Ogni sua fuga era un dolore enorme per me.

E le preoccupazioni erano pesanti come macigni.

Intanto io e mio marito venivamo crocifissi. Esmeralda affermò che noi la maltrattavamo e che per questo fuggiva di casa. Poi ritrattò. Ma il meccanismo era avviato e sfociò in un processo. La sentenza fu a nostro favore, però non cancellò la nostra disperazione, né la alleviò. Eravamo ancora nell’identica situazione: Esmeralda continuava a fuggire e noi a cercarla. Coinvolgevamo polizia, carabinieri, amici. Afferravamo ogni appiglio che ci potesse portare a lei.

Utilizzavamo anche Facebook per ritrovarla. Mia figlia invece i social network li usava per chiedere ospitalità a sconosciuti dai profili inquietanti.

Quel che succedeva alla mia bambina ce lo spiegarono i medici: Esmeralda ha delle difficoltà e non sa controllare l’impulso di fuga che è spesso tipico dei ragazzi adottati. Normalmente un ragazzo riesce a elaborarlo, anche attraverso la capacità immaginativa, invece lei lo traduce subito in azione, senza valutarne le conseguenze. La mia Esmeralda è una fogliolina sbattuta in una tempesta. Le sue fughe sono una ricerca d’amore. Lei si è sentita rifiutata dalla madre biologica. E vive trascinandosi appresso questa negazione.

Io e mia figlia vogliamo completare quel puzzle a cui manca un tassello: conoscere questa sua mamma. Mia figlia è nata nell’aprile del 1997. All’ospedale Umberto 1° di Roma. Se stai leggendo, mamma biologica di Esmeralda, ti prego, fatti sentire. Vorremmo solo conoscerti. E abbracciarti. E forse così mettere fine a certe inquietudini. Intanto preparo per mia figlia un progetto di vita. Non mollo mica. Vorrei riuscire a cancellare le ombre dal suo cuore e a dissolvere la nebbia che la avvolge… Vorrei vederla con indosso un sorriso.

 

 

 

 

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