Di nuovo tutti insieme

Cuore
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Le note di John Lennon cadono a pioggia, sono auguri gioiosi. E mentre le intono penso a quanto sarebbe contento il nonno di vedere la sua famiglia riunita e sorridente. Come piaceva a lui. Leggi la storia di oggi, 6 dicembre, del nostro Calendario dell'Avvento

Storia vera di Silvia F. raccolta da Giovanna Fumagalli  

 

Di certezze nella vita ne ho accumulate poche sino a ora. D’altra parte a 16 anni non è che possa considerarmi un’esperta dello stare al mondo. Diciamo che mentre cerco di cimentarmi nel difficile mestiere di crescere, ogni tanto mi imbatto in qualche brutta delusione, o in qualche buona notizia e, a seconda della situazione, cerco di uscirne il più dignitosamente possibile.
Comunque, dicevo, certezze molto poche.
La prima è la musica, compagna di vita, rifugio quando la strada si impregna di so­litudine e malumori. Quando mi immergo nell’ascolto di una canzone, entro in sintonia con l’intero universo e non esiste niente che possa ferirmi. Non so come si possa vivere senza, io l’ascolto ogni volta in cui ne ho l’occasione e canto a squarciagola, quando sento che il cuore sta per scoppiare.
Da piccola utilizzavo una bottiglietta di plastica come microfono, poi me ne sono fatta regalare uno serio e appena posso faccio partire la base e canto. Oppure mi siedo al pianoforte, fedele compagno da sempre e suono e canto quello che compongo.
Poi c’è l’altra certezza, che sta da sempre in cima alla classifica ed è la mia famiglia, la migliore che abbia mai potuto sperare di avere.
E per famiglia non intendo solo i miei genitori e i miei fratelli, ma l’estesa folla di persone con la quale sono cresciuta.
Ultima di 11 nipoti, mi sono ritrovata in questa me­ravigliosa tribù: il nonno e la nonna, quattro zii con moglie, mariti e una buona quantità di cugini. Più di una volta mi sono chiesta come avessero fatto i miei nonni a formare una così bella e solida famiglia.
C’erano sempre tutti gli uni per gli altri, ricordo che quando si presentava un problema in casa nostra, anche il più banale, la mamma diceva: «Sentiamo lo zio che ne pensa, chiediamo alla zia lei di sicuro ci può aiutare».
Ma c’è sempre stato un momento speciale durante l’anno in cui ci si ritrovava per esprimere profonda gratitudine per tanta generosità di affetti ed era la sera della Vigilia di Natale.
Fino a quando c’è stata la nonna, ci si ritrovava a casa sua, poi quando lei è mancata, la mamma ha raccolto il testimone e l’appuntamento si è spostato nella no­stra taverna: una spaghettata, una fetta di panettone, una preghiera e infine l’apertura dei regali.
Piccoli pensieri, ma nessuno rimaneva senza.
E poiché quella era considerata un’occasione di de­butto e presentazioni ufficiali di nuovi amori, negli anni ho visto avvicendarsi volti nuovi di fidanzati e fidanzate dei quali ho conservato solo uno sbiadito ricordo.
Io non vedevo l’ora di godermi quel momento ancora più del giorno di Natale.
Possono togliermi tutto, pensavo, ma la festa della Vigilia non si tocca.
E così è stato per i primi 15 anni della mia vita.
Finché un giorno d’estate di quest’anno è mancato anche il nonno, e allora il cielo per me si è abbassato di un altro palmo.
Dopo la perdita della nonna, lui ci aveva tenuto compagnia per sei lunghi anni, un regalo immenso considerato che ne aveva già 82.
All’inizio l’impressione era quella che l’intera fami­glia si fosse stretta intorno a lui per proteggerlo da quel grande dispiacere, in realtà è bastato poco per renderci conto che era lui a elargire forza ed energia a piene mani senza risparmiarsi.
Con fili invisibili ha tessuto una ragnatela di affetti, ricordi, e saggezza che ci hanno permesso di vivere con serenità fino a quando, arrivato anche il suo giorno, ci ha lasciato per torna­re dalla sua amata Maria.
Lui è sempre sta­to fiero di me, mi ascoltava cantare e mi diceva: «Ma che brava Silvia, diventerai famo­sa, vedrai» .
Il dispiacere si è mescolato con la delusione quando mi sono resa conto che quel cerchio di vi­cinanza e affetto che ci teneva insieme e che pareva indistruttibile, a poco a poco si è dischiuso come in una danza triste e desolata.
Per la prima volta, la mia certezza, la mia famiglia, il porto sicuro dal quale chiunque avrebbe diritto di partire e fare ritorno ogni momento in cui ne sente il bisogno, è vacillata.
Quando mi sono resa conto che l’appuntamento della Vigilia di Natale rischiava di saltare, il mondo mi è letteralmente crollato addosso, perché noi adolescenti siamo fatti così, sembra che non ci importi di niente e di nessuno, ma se si incrinano delle certezze, an­diamo in crisi.
Questo malumore mi ha tenuto compagnia diverse settimane, stampato sul volto in maniera indelebile e senza rendermene conto, l’ho trasmesso in famiglia.
Poi una sera a cena, è scattato il soccorso fratelli, organizzato probabilmente da mia madre.
«Silvia ti ho iscritta a un concorso canoro natalizio» ha esordito con finta noncuranza mia sorella Stefania.
«Non se ne parla proprio, non ne ho affatto voglia».
«Dài Silvia sei così brava perché non provi?».
«Ho detto no, vacci tu».
«Su, su ti farà bene, almeno cancelli dal viso quell’om­bra di malumore che hai da troppo tempo» ha concluso la mamma.
Nei giorni a seguire ci ho pensato e ripensato e mentre un giorno dicevo no, quello seguente un po’ mi veniva voglia. Alla fine ho ceduto, mia sorella mi ha accompagnato alla prima selezione e quando l’ho superata, un po’ ho cominciato a crederci.
La finale è prevista cinque giorni prima di Natale. Mi presento con l’ansia che parte dalla punta dei piedi e arriva fino alla radice dei capelli, ma ormai non posso più tirarmi indietro.
Ho preparato la canzone Happy Christmas di John Lennon che amo moltissimo.
Le ragazze prima di me mi sembrano perfette, e mentre mi domando come sono arrivata lì, ormai non c’è più tempo per la risposta, perché arriva il mio turno.
Salgo sul palco ed è a quel punto che li vedo, seduti tutti vicini, gli zii, i cugini, la mamma e il papà, che applaudono con entusiasmo e mi sale un nodo in gola.
Poi parte la base e io mi lascio condurre dove soltanto una canzone ti può portare, in un mondo parallelo fatto di magia, di momenti belli e ricordi sereni, e tutto diventa semplice.
Mentre canto penso ai miei nonni, al bene che mi hanno voluto, all’amore che hanno seminato lungo il corso della loro vita e che non dovrebbe anda­re sprecato. Penso ai loro consigli, alle raccomandazioni, a tutto il patrimonio che hanno saputo elargire con gratu­ità e amore.
Penso alla famiglia che hanno costruito e di cui andavano così fieri, perché in fondo, questo è l’unico valore per il quale vale la pena rischiare tutto quanto.
La parole di John Lennon cadono a pioggia sul pubblico come una benedizione, come il più gioioso degli auguri natalizi e mi tornano in mente le parole di una frase che la mamma ha appeso in cucina e che ormai ho imparato a memoria: “Avere un posto dove andare è una casa. Avere qualcuno da amare è una famiglia. Avere entrambi è una benedizione”.
All’improvviso non mi importa sapere come andrà a finire questo concorso. Io ho già la mia vittoria, che è la certezza che qualunque cosa accada, non sarò mai sola. Sarà una felice Vigilia di Natale anche quest’anno, nonno, non preoccuparti. ●
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