Disastri d’amore in cucina

Cuore
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Ecco la storia più votata dalle lettrici per il n. 9 di Confidenze. Una storia d 'amore tra aspiranti chef, nata tra i fornelli

Mi sono candidata per un lavoro che richiede ottime capacità culinarie. E chi meglio di mia sorella e del suo fidanzato potrebbero insegnarmi? Sono entrambi chef. Ma appena incontro lui, sento che qualcosa non va: mi piace troppo, devo farmi da parte!

Storia vera di Sabrina P. raccolta da Simona Maria Corvese

Mi metto le mani ai fianchi e guardo l’ultimo sacco di castagne sullo scaffale in metallo, verniciato color crema, del supermercato. Poso la mano sopra, ma un’altra mano lo fa nello stesso istante. Mi volto verso il ragazzo di fianco a me, incredula e alzo il tono della voce. «Ero qui prima di te».Lui mi sorride: «Devi fare le caldarroste?».Non allento la presa: non vedo altre castagne in giro. «No, la zuppa di castagne, rape e porri».Neanche lui solleva la mano. «Ma allora questo sacco è sprecato, non te ne servono così tante. Perché non prendi quelle sciolte nella cesta laggiù? Non costano di più». E mi accompagna alla cesta.

Guardo frastornata quel cumulo marrone di castagne. «Non le avevo notate prima, eppure l’illuminazione è bella forte in questa area. Grazie!».

I nostri acquisti sono finiti e ci andiamo a mettere in coda alla cassa. Non so cosa dire e tra noi cade un momentaneo silenzio. Una cassiera parla all’interfono per chiedere il controllo del prezzo di un prodotto del cliente davanti a me.

Sbuffo: l’attesa si prolungherà.

Lui però mi tocca la spalla con un dito, per attirare la mia attenzione. «Lo conosci il trucco dell’alloro? Quando le cuoci aggiungine qualche foglia, così la buccia si ammorbidisce».

Mi volto, illuminata dal suo consiglio. «Grazie davvero: non lo conoscevo». Perfezionati gli acquisti ci salutiamo e andiamo ognuno per la sua strada. Quella sera a casa mi metto subito a cucinare e sbuccio le castagne cotte con più facilità, grazie al suggerimento di quel ragazzo. Volto la pagina del calendario appeso al frigorifero: era rimasto fermo a dicembre, ma febbraio è ormai inoltrato. Con lo sguardo fisso sulla data di oggi, mi sorprendo a ripensare al nostro incontro e alla sua gentilezza, ma non voglio indulgere in questi pensieri. Meglio rimanere soli che rischiare ancora di soffrire e poi non ho abbastanza talenti per essere amata. Il cigolio della porta che si apre mi fa fermare e alzare lo sguardo verso mia sorella. Mi ero accovacciata a mettere le posate nel cestello della lavastoviglie, ma ora mi alzo a prendere i piatti sporchi che Elena ha in mano. Lei mi sorride, ma non me li da. «Carico io la lavastoviglie, Sabrina».

Si avvicina al lavandino, apre il rubinetto e comincia a sciacquarli con la spugna abrasiva. «Sei stata brava stasera a cucinare ma ti devi esercitare di più se vuoi trovare un posto in un ristorante. Permettimi di aiutarti» dice.

Le tolgo i piatti dalle mani e mi chino verso la lavastoviglie. «No, grazie, faccio io. Tanto so che sbaglierò ancora e proverò una volta di più che non sono brava come te».

Elena chiude il rubinetto, alza gli occhi al cielo e sbuffa. «Non dire sciocchezze, tu puoi essere brava quanto me, ma non credi in te stessa».

Io non riuscirò mai a distinguermi da Elena e penso che i miei genitori amino di più lei, la mia brillante sorella maggiore. Forse confondo la sua gentilezza con la pietà ma nel dubbio rifiuto il suo aiuto.

Lei si asciuga le mani con lo strofinaccio e mi guarda dritta negli occhi. «Senti, venerdì sera viene Max a mangiare da noi. Stiamo insieme da due anni e voglio presentarlo a mamma e papà. Mi cucineresti tu il pranzo?».

Ci penso un istante: è una bella responsabilità, ma questa è un’occasione per dimostrare che anch’io riesco a combinare qualcosa di buono. Accetto.

È arrivato il venerdì sera, suona il campanello di casa. «Vieni anche tu, Sabrina. Te lo presento e torni subito ai tuoi fornelli».

Aggiungo un mestolo di brodo caldo al mio risotto alla milanese, do una rimestata e seguo fiduciosa Elena. La mia charlotte alla milanese è in forno. Mi convinco che sarà un veloce saluto e sarò indietro prima che il riso asciughi troppo. Elena apre la porta e davanti a me c’è il ragazzo del supermercato. Il mio sorriso incerto cresce man mano che la sorpresa si fa strada.

 

Lui è Max e mi ha riconosciuta, perché ha sgranato gli occhi. «Così sei tu la sorella di Elena».

Mi rivolge un sorriso che mi fa sentire uno sfarfallio nello stomaco.

Elena ci guarda e fa un passo indietro per lasciar entrare Max. «Vi conoscete già?».

«Sì. Lui è il ragazzo delle foglie d’alloro, ricordi?».

Elena, incredula, ride. «Il mondo è piccolo!».

Negli occhi di Max si accende ora uno scintillio divertito: «Sabrina, temo che qualcosa in cucina stia bruciando».

Adesso gli occhi li sgrano io: tiro un bel respiro e l’odore mi dice che sui fornelli e in forno accade qualcosa di spiacevole. «Santo cielo: il mio risotto e la mia charlotte!». Il timer di cottura suona e non ho tempo di stare lì a gingillarmi: mi volto di scatto e corro in cucina.

Apro il forno e tiro subito fuori la charlotte.

Max mi si affianca. «È un po’ bruciacchiata ma può andare, dai». Mi sorride incoraggiante, prende un cucchiaio di legno che sporge da un vaso in ceramica con decorazioni di melograni e disinvolto prova a rimestare il risotto. «Il fondo del risotto è la mia parte preferita, si è attaccato un po’ ma è salvo!».

Max è un ottimista. Io, desolata, non riesco a staccare gli occhi dal pastone colloso nella pentola. Mi guardo intorno: briciole di pane tostato, bruciato, punteggiano il ripiano di lavoro sotto la rastrelliera dalla quale pendono pentole e padelle. Mi vengono le lacrime agli occhi. «Il coniglio mi è venuto troppo secco, la gratinatura dei cavolfiori è… un po’ troppo gratinata. Non c’è una cosa che vada bene» dico, demoralizzata.

Lui abbassa lo sguardo su di me: «Anche Elena e io eravamo maldestri in cucina agli inizi».

Scuoto la testa. «Non è vero, vi siete diplomati con il massimo dei voti alla scuola alberghiera e io sono uscita a giugno con il minimo. Lavorate da tre anni nello stesso ristorante stellato e siete i pupilli dello chef».

Mi posa una mano sulla spalla: «Rilassati, migliorerai».

A testa bassa sputo il rospo. «Non ho molto tempo per farlo. Mi sono candidata per il mio lavoro dei sogni in una start up gastronomica, ma ho un colloquio pratico dove devo dimostrare di saper cucinare. Puoi darmi qualche dritta?».

Max si china verso di me e mi guarda negli occhi, sorridente. «Posso aiutarti, certo».

Sbatto le palpebre e i battiti del cuore mi accelerano. Non posso crederci: ha accettato d’insegnarmi i suoi trucchi del mestiere. «Troviamoci sabato alla mensa per i poveri dove faccio volontariato».

Ho accolto l’idea di Max, naturalmente, e adesso sono qui, alla mensa: sul grande tavolo della cucina ho disposto parte della frutta consegnata dal banco alimentare.

Max mi passa un coltello. «Sono i frutti più maturi dei supermercati. Dobbiamo togliere le parti tocche».

Afferro una pera e inizio. «Facciamo la macedonia con le parti buone?».

Lui invece sbuccia un’arancia ma non risponde. Il profumo frizzante e dolce di quella rilassante meraviglia arancione si sprigiona nell’aria e io me ne lascio inebriare.

Max mi sorride e mi studia. «Per me questi sono i frutti migliori, sai? Le cose imperfette spesso riservano belle sorprese».

Sgrano gli occhi e faccio un passo indietro. Non mi aspettavo una simile affermazione da un fuoriclasse come lui.

«Io sono la versione imperfetta di mia sorella e non ho mai pensato di poter riservare belle sorprese. Non sono brava in niente e non posso competere con lei. È persino inutile tentare». Max guarda soddisfatto la sua buccia, una spirale perfetta e la butta nel cestino.

Ecco, sono talmente insignificante che non mi ha dato neppure retta. Ora separa gli spicchi dell’arancia con gesti lenti. È pensieroso. «Ho passato la mia infanzia nelle mense come questa. I miei genitori facevano fatica ad arrivare a fine mese e accettavano anche pacchi alimentari. È stato qui che ho capito che volevo diventare chef». Taglia gli spicchi a pezzi e toglie i noccioli. «Ho pensato a lungo che non sarei mai stato in grado di distinguermi nella vita, che non avevo nulla da offrire. Ero demoralizzato e mi sbagliavo».

Rimango a bocca aperta, rapita dalla sua confidenza. «Che cosa è scattato che ti ha dato fiducia?».

Max raccoglie i noccioli, li butta e mi rivolge un ampio sorriso. «Un anziano cuoco, che mi ha insegnato molto e mi ha fatto vedere le qualità che non vedevo in me».

Io torno a scuotere la testa, sfiduciata. «Guarda, non importa quello che farò nella vita: non sarò mai abbastanza brava. I miei genitori stravedono per il talento di Elena in cucina. Punivano me con più durezza se non prendevo buoni voti a scuola».

Max sgrana gli occhi sorpreso. «Forse sapevano che potevi dare molto di più?».

«No, dedicavano tutta la loro attenzione a Elena e incolpavano sempre me di qualche disastro, anche quando la colpa era sua».

Max posa deciso la sua mano sulla mia e mi guarda dritto negli occhi. «E lei permetteva che tu ti prendessi la colpa? Sabrina, non devi pensare che per farti amare dalle persone tu debba emergere».

Lo ascolto parlare e realizzo qualcosa che mi turba: sono attratta dal ragazzo di mia sorella. Non riesco a staccare gli occhi da lui. «Cosa vuoi dire?».

«A me piace la passione che metti in quello che fai» dice.

Lo interrompo, incredula. «Anche se non ho lo stesso talento di Elena?».

Max nega. «No, tu hai il suo stesso talento, ma non credi in te stessa. Io vedo la gioia che ti da cucinare per gli altri: devi perseguirla, al di là dei risultati che ottieni. Tu sei una bella persona e sei molto più sensibile di tua sorella». Si china verso di me e mi bacia, ma la porta della cucina si apre ed entra una dei cuochi della brigata.

«Ragazzi, avete bisogno di un altro paio di mani per preparare tutta quella macedonia?».

Quella ragazza è amica di Elena e, di fronte all’evidenza dei fatti, ammutolisce. Io arrossisco e mi sento in colpa. Non perché ora mia sorella verrà a saperlo, ma per l’attrazione che anch’io provo per Max.

Lui si stacca da me, mi abbozza un sorriso con gli occhi che ancora gli luccicano e mi parla con un filo di voce. «Scusami, non so cosa mi è preso».

A casa Elena mi si avvicina sul divano del salotto. «Non volevo crederci… Se penso che sono stata proprio io a farvi conoscere e a chiedere a Max di darti una mano!».

«Ti ho deluso e ho rovinato il rapporto che c’era tra noi. Perdonami» dico.

Elena è calma ma triste. «Provi dei sentimenti per lui?».

«Lo conosco attraverso le tue parole, ma quello che ho intravisto in lui in questi giorni, alla mensa, mi piace molto. Sei fortunata ad avere accanto una persona così».

Elena mi ascolta ma non parla.

Piego le ginocchia al petto e abbraccio un cuscino. «Comunque non ti preoccupare. Non mi metterò tra voi due e non incontrerò più Max» concludo poi, decisa.

Per lealtà verso mia sorella rinuncio a vivere i sentimenti che provo, anche se questo mi rende infelice. Suonano alla porta ed Elena va ad aprire. È Max. «Elena, permettimi di spiegarti tutto».

Li guardo e capisco di aver fatto la cosa giusta, per quanto dolorosa possa essere. Mi allontano di lì per andare a chiudermi nella mia camera.

Max però mi rincorre nel corridoio. «Sabrina, ti vedrò ancora?».

Mi volto a guardarlo. «Ci sarò domani alla mensa perché ho già dato la mia disponibilità, ma sarà l’ultima volta».

Lui ha gli occhi umidi. «Voglio aiutarti per il tuo lavoro. Quello che è accaduto non deve rovinare tutto».

«Grazie, Max ma questo triangolo che si è sviluppato tra noi non mi piace e io sono di troppo. A domani».

Mi chiudo in camera e mi butto sul letto ad ascoltare musica per elaborare le mie emozioni.

Sabato mattina entro nella grande cucina della mensa, afferro uno dei grembiuli appesi a un gancio della parete piastrellata e me lo infilo, sopra pensiero. Non ho ancora trovato le parole per ringraziare Max del suo aiuto e uscire dalla sua vita. È difficile per me lasciarlo andare e dirgli addio.

Con le mani dietro la schiena traffico per annodarmi il grembiule. Delle mani maschili incontrano le mie e trasalisco. «Permettimi di aiutarti».

È Max. Il suo alito caldo che sa di arancia e cannella soffia lieve sul mio collo. Il calore del suo corpo mi fa correre un brivido lungo la schiena e le sue mani sfiorano e accarezzano le mie con movimenti delicati.

Mi volto a guardarlo. «Max, io…». Ma lui mi toglie la parola. «Ho lasciato tua sorella. Siamo perfetti insieme al lavoro ma siamo cresciuti in modo differente in questi anni. Ci meritiamo qualcosa di più, perché la nostra è stata una grande intesa ma non è più amore».

Sgrano gli occhi: «Per colpa mia?».

«No, Sabrina. Mi è dispiaciuto far soffrire Elena, ma la nostra storia era finita da prima di conoscerti. L’ho capito solo quando ho iniziato a frequentarti».

Fissa il pavimento. «È stato difficile ammetterlo, ma Elena trasforma tutto in una competizione, per primeggiare: ogni altra cosa viene dopo per lei. Tu metti la passione per la vita al primo posto, come me».

Emetto un profondo sospiro di sollievo e gli rivolgo un sorriso che nasce dal cuore. «Ora non mi sento più in colpa per quello che provo per te. Volevo essere leale con mia sorella ma avevo un peso al cuore da portare. Cercavo di essere come lei per piacere agli altri, anche a te… ma tu mi hai fatto capire che devo essere me stessa e che posso piacere per quello che sono».

Max mi accarezza una guancia e sorride. «E soprattutto che anche tu hai uno splendido talento da coltivare». Si volta ad accendere il mini stereo sul ripiano di lavoro e mi canta il suo amore sulle note della romanza Mattinata di Leoncavallo. Sono sopraffatta dalla felicità: se questo è sogno, non voglio svegliarmi.

Un anno dopo, davanti al tavolo della cucina di casa taglio una fetta di sciarlòtt a la milanesa appena dorata, la adagio sul piattino e con la forchetta ne prendo un boccone. Sorrido. «Questa volta mi è riuscita a regola d’arte, Max». Lui scoppia a ridere. «Non c’è niente da ridere! Se ho trovato il lavoro dei miei sogni è grazie al tuo aiuto».

«Lo hai trovato perché hai imparato a credere in te».

Gli sorrido intenerita. «Ti voglio bene».

Max si china a baciarmi: «Abbiamo camminato insieme per un piccolo tratto della nostra vita, ma mi auguro che il nostro possa essere un lungo viaggio. Buon primo anniversario, Sabrina!».

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Articolo pubblicato su Confidenze n. 9 2024

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