Sono dal ginecologo con la mia ragazza che teme di essere incinta. Il medico che mi compare davanti è la persona che più mi ha fatto male nella vita. Non l’ho perdonato ora e non lo farò mai
Storia vera di Luigi P. raccolta da Jessica Ravera
«Il dottore arriverà subito, potete attenderlo lì su quel divanetto» ci dice l’infermiera sorridente. Accompagno la mia ragazza in lacrime nella sala d’attesa dell’ospedale. Teme di essere incinta. Siamo sempre stati attenti, ma evidentemente non abbastanza. Non so nemmeno io cosa pensare. Certo, la amo, e un giorno vorrei spo-sarla, avere dei figli con lei. Ma non so se sono pronto. Comunque, per quanto i miei pensieri possano essere tragici, non sono nulla rispetto allo spavento e soprattutto alla rabbia che mi assalgono non appena compare il medico.
«Salve, potete seguirmi in ambulatorio… Luigi! Ma buongiorno».
«Buongiorno Alessandro».
Lei per un attimo smette di singhiozzare. Guarda lui e poi me. «Vi conoscete?».
«Sì». Rispondo laconico, e vorrei aggiungere “purtroppo”.
Credo sia la persona che più mi ha fatto del male nella vita. E sono stato proprio io a permetterglielo. Ma non è stato sempre così, anzi, lui è, cioè, era… il mio migliore amico. Siamo cresciuti insieme perché vivevamo nello stesso palazzo di un paesino del Veneto. Io sempre stato timidissimo, lui sfrontato e coraggioso fin da piccolo. Mi coinvolgeva in tutte le avventure possibili e per me era come il fratello che non avevo mai avuto.
Siamo addirittura andati a scuola insieme. Lui è più giovane di me di un anno, ma aveva iniziato la scuola prima perché era davvero intelligente e così siamo finiti in classe insieme, alle elementari, alle medie e poi al liceo scientifico. Alessandro eccelleva in tutto ciò che faceva. Oltre a essere esteticamente attraente: alto, con il fisico forgiato dallo sport, capelli corti e ricci selvaggi che gli ricadevano sulla fronte. Occhi verdi, labbra carnose e sorriso perfetto, aveva una faccia da schiaffi che faceva impazzire tutte le ragazze con cui uscivamo. Mio malgrado.
Se in letteratura c’è sempre l’amico che fa da spalla, ecco, io ero la spalla perfetta. Non sono brutto, ma nemmeno qualcuno di cui ci si può ricordare. Praticavo sport, ma i risultati erano talmente scarsi da limitarmi alla corsetta mattutina tre volte la settimana ed educazione fisica a scuola. Non sapevo mai cosa dire, e quando mi usciva qualche parola di bocca, mi sembrava sempre qualcosa di sbagliato o stupido. Però mi andava benissimo così.Al momento di scegliere l’università, avevamo entrambi lo stesso sogno: Medicina. Per motivi diversi, io amavo l’idea di aiutare gli altri, lui voleva sentirsi come una divinità. Se mai ce ne fosse stato bisogno, dato che già lo era.
Ci siamo iscritti insieme, ma ben presto le cose hanno iniziato ad andare male. Per me. Lui andava alle feste tutte le sere, per il suo letto sono passate non so quante ragazze, fumava e beveva, ma aveva una capacità di studiare e di sostenere gli esami in modo così carismatico da sembrare uno studente modello. Io, che rinunciavo alle uscite e trascorrevo le giornate intere chino sui libri, li passavo con il minimo, quando li passavo.
Poi, finalmente, qualcosa di bello anche per me. Sarah. Studiava con noi, mi aveva colpito subito per la sua delicatezza ed eleganza. Mi faceva sentire speciale, io che di speciale non avevo mai avuto niente. Era sinceramente innamorata di me. E io, ovviamente, di lei. Aveva anche provato ad aiutarmi nello studio. Dopo aver fatto l’amore se ne stava lì con me sotto le lenzuola a farmi ripetere i passaggi più difficili per gli esami. E io ero migliorato tantissimo. Non avevo i voti di Alessandro, ma stavo riuscendo piano piano a creare il mio percorso. Finalmente, ero protagonista nella mia vita. In tanti mi chiedevano se non avessi paura del confronto o del fatto che Sarah potesse rimanere, come tutte, ammaliata dal mio amico. Ma io mi fidavo, di lei, di lui e per la prima volta, confidavo in me.
Gran bello sbaglio!
Nonostante le prove fossero evidenti, ci avevo messo quasi un anno a realizzare che quei due andavano a letto insieme. Ma, incredibilmente, non era la cosa peggiore. Alessandro era stato il vero obiettivo di Sarah fin dall’inizio, io ero stato solo il mezzo più subdolo per arrivare a lui, dato che era irraggiungibile.
Era stato davvero troppo e quindi avevo deciso di mollare tutto. Studi, nuova città, amici. Me ne sono tornato al paesello dove mi sono trovato un lavoro anonimo e banale. Come me. Certo, perdere Sarah era stato un colpo terribile, ma dovevo ammettere che il tradimento del mio amico mi aveva letteralmente steso. Lui non si era mai fatto riguardi nell’andare a letto con fidanzate e mogli altrui, ma credevo che almeno per me avesse un po’ di rispetto! Che mi volesse bene, come gliene volevo io. E, invece, no. Ovviamente poi la storia con Sarah terminò quasi subito. Lui se l’era solo spupazzata un po’ giusto il tempo di divertirsi e poi via, verso ciò che gli interessava di più, ovvero se stesso e la sua soddisfazione personale. Sapevo che era stato uno dei pochissimi a laurearsi con il massimo dei voti e poi a prendere la specializzazione in Ginecologia. Ironia della sorte, lui che voleva aiutare a creare la vita, aveva distrutto la mia. Quello che non sapevo era che fosse tornato a casa. Lo immaginavo a svolgere la sua prestigiosa professione in una grande città o addirittura all’estero. E invece, purtroppo, il mio incubo era tornato qui, e l’avevo scoperto nel modo peggiore di tutti: mettendogli ancora una volta la mia compagna tra le mani.
Lo seguiamo in ambulatorio. Ci sediamo. Adesso sono io a voler piangere: lui è rimasto identico, sempre splendido, sicuro e stretto nel camice che gli delinea il fisico scolpito e asciutto, lancia a Marta un’occhiata rassicurante e le sorride: «Allora, cosa vi porta qui da me, che succede?».
Lei alza lo sguardo e gli sorride di rimando. Non so se è suggestione o paura, ma sono già convinto di averla persa. La mia ragazza gli racconta che teme di essere incinta e gli sbobina in cinque minuti tutti i dettagli della nostra vita sessua-le degli ultimi mesi: sinceramente, avrei preferito evitare. Però, in fondo, siamo dal medico per quello, e soprattutto a lei non ho mai raccontato nulla di lui. Ho persino eliminato tutte le fotografie che ci ritra-evano insieme. Quindi non può nemmeno lontanamente immaginare chi sia.
«Va bene, per prima cosa io farei un test di gravidanza, quindi potreste tornare…». Marta apre la borsetta e prende il test.
«Ce l’ho da una settimana, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo, potrei ora». Rimango per un attimo interdetto, non lo sapevo. Però, adesso sotto il suo sguardo rassicurante non ha più paura di nulla. Devo stare calmo. Siamo dal medico, è per quello che è tranquilla. Forse.
«Se se la sente può andare ai servizi, in fondo a destra. Poi, però, indipendentemente dall’esito, dovrò comunque visitarla». Mi lancia un’occhiata. Io rimango impassibile.
Marta esce dall’ambulatorio. Rimaniamo io e lui, soli, faccia a faccia. Lo odio.
«Non ci siamo più visti da quell’anno a Padova» mi dice con quella sua aria sicura e strafottente. Dietro di lui, appese, la pergamena di laurea e mille altri attestati che mi urlano quanto sia stato bravo. «Non certo per scelta mia».
Scuote la testa. Poi mi fissa.
«Non sono certo io ad aver mollato tutto».
«E quando mai. Tu non sbagli, tu usi le persone e poi le asfalti».
Ridacchia. «E così ti avrei usato? Io? Sentiamo, a cosa mi saresti servito? Sei tu che hai usato me, in- vece» incalza.
«Piantala e fai il tuo lavoro. Sii serio e corretto, per una volta» mi limito a rispondere. Ma lui non intende fermarsi.
«Ti facevo comodo, Gigi, ti spianavo la strada, da solo non saresti nemmeno arrivato in fondo al cortile. Ricordi come te la facevi sotto quando il pallone, lanciato male da te per altro, finiva nel campetto dei grandi? Dovevo andare io, a recuperartelo! E in compagnia, alle feste, non spiccicavi una parola, senza di me non saresti mai uscito di casa, non avresti vissuto, dovresti ringraziarmi».
«Devo ringraziarti? Soprattutto per esserti fatto la mia ragazza?».
Alza lo sguardo e fissa qualcosa dietro di me. Marta è tornata. Non so quanto abbia sentito.
Mentre attendiamo il risultato del test, lui inizia a visitarla. Credo che una situazione peggiore di questa non possa capitare a un uomo: a due metri da te, il tuo ex amico traditore sta visitando le parti intime della tua compagna. Non riesco a immaginare un girone infernale più torturante. Cerco di distrarmi fissando quella finestrella dove dovrebbe comparire la fatidica linea rossa e, sinceramente, non so cosa augurarmi.
Passa il tempo. Da quanto ne capisco il test sembra negativo, così come la visita. Non aspettiamo un bambino. Marta è felice, serena e rilassata. Ma quando usciamo ha una strana adrenalina e uno sguardo luminoso che non mi piace per niente.
Il mio telefono suona. È un numero che non conosco. Rispondo,
«Possiamo vederci?».
«Alessandro, sei tu? Come hai avuto .il mio contatto?».
«Ti prego…».
Acconsento e così il giorno dopo ci troviamo seduti in un bar. Sono in imbarazzo, non so cosa dire. Però mi ha chiesto lui di vederci.
«Vuoi parlarmi di qualche malattia?».
«No. Non ha nulla a che fare con la visita, volevo parlarti di… noi, della nostra amicizia». Adesso sfodera quello sguardo di finta autocommiserazione che gli ho visto usare un sacco di volte con le ragazze, con i professori, con tutti. Scusa bella se non ti ho più richiamata, sai gli esami. Ed era a una festa con altre due. Scusi professore se sono arrivato in ritardo, non sono stato bene ieri notte. Credo sia lo stress. Ed era ubriaco a cantare per le strade.
«Quale amicizia, se non c’è più? E forse non c’è mai stata».
«Non dire così, tu eri il mio migliore amico».
«Da tanto non lo sono più».
«Guarda che Sarah non ti voleva, ti aveva usato».
«Lo so, vorresti dire che l’hai fatto per farmi un favore? Per salvarmi da lei? Non voglio più sentirne parlare. Basta».
«No, è solo che… Sì, è vero, mi sono comportato male ma…».
«Ma cosa? Guarda che con me questo giochetto non funziona. Io ti conosco bene, non sei altro che un manipolatore, lo sei stato anche con me. Sai perfettamente cosa le persone vogliono sentirsi dire. Forte del tuo aspetto e del tuo carisma fai fare agli altri quello che vuoi. Ma con me non funziona più». «E allora, perché sei qui?».
Questa frase mi urta come un pugno nello stomaco. Già, perché sono qui?
Perché lui è stata la persona più importante della mia vita, il fratello che non ho mai avuto. Perché quello che ha detto è vero, lui mi spronava, con delicatezza, con l’esempio a diventare ogni giorno la versione migliore di me stesso, senza mai giudicarmi e accettandomi per quello che sono. Solo con lui potevo essere me stesso, con i miei silenzi, le mie scelte. Anche sbagliate. E c’è sempre stato, ogni vol-ta che ne avevo bisogno. Però, dopo quello che mi aveva fatto non potevo restare indifferente.
«Voglio chiederti scusa per allora, mi dispiace tanto, non so nemmeno io cosa avessi in testa in quel periodo. Forse è stato il mio modo stupido di proteggerti, ma suona ridicolo anche a me. Quindi scusami». Mi fa piacere sentirlo.
«Non ho capito che cosa vuoi? Il mio perdono? Va bene, prenditelo».
«No, rivoglio il mio amico nella mia vita».
«Ma se hai già tutto. Successo, carriera, lavoro e sicuramente una donna innamorata che ti aspetta. Brillante come sei, di certo avrai anche una cerchia di amici ricchi e vincenti come te, quindi torno a chiederti: perché io? Cosa vuoi da me?».
«Voglio il migliore».
Sorrido. Non è la prima volta che sento questa frase. Quando si facevano le squadre a scuola e i capitani sceglievano le proprie, io non venivo mai preso tra i primi. Se il capitano, invece, era lui mi sceglieva sempre per primo, anche sapendo che ero scarso. E quando gli altri della squadra protestavano chiedendogli il perché, lui rispondeva sorridendomi: «Perché voglio il migliore».
Mi alzo. Lo abbraccio e rimaniamo in silenzio per un po’. Poi ci accordiamo per vederci nel fine settimana.
«Sono felice, Luigi, adesso sono davvero felice». «Sì, ma preferirei che Marta cambiasse ginecologo. Non si sa mai…».
Annuisce ridendo. «Come vuoi tu, amico mio». ●
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