Gli angeli sono fra noi

Cuore
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Molti non ci credono, ma io so che sulla terra agiscono presenze celesti che ci vengono in aiuto. A me è successo anche nel giorno più tragico della mia vita

Storia vera di Mariantonietta Paduano raccolta da Roberta Giudetti

 

Viviamo in un mondo caotico e pieno di insidie, oggi più che mai. Nuove paure e ansie che ci portano a sospettare di tutto e di tutti. Abbiamo sempre più bisogno di sentirci protetti. Di credere che qualcuno sopra di noi ci guidi attraverso le difficoltà.

La fede mi ha aiutato molto nei momenti più ardui della mia vita.

Ho sempre creduto agli angeli. «Gli angeli vengono a trovarci» mi sussurrava mia madre: «Spesso non ce ne rendiamo conto e li riconosciamo solo quando se ne sono andati».

Ridendo, diceva che il mio angelo custode doveva essere bello grosso perché ero una bambina vivace. Mia madre si chiamava Jolanda ed era una donna allegra e gioviale.

Stavo pensando a lei mentre guidavo con calma. Una giornata come tante, ero appena stata a messa, non c’era molto traffico. Poi quella moto è sbucata dal nulla. Ho frenato di colpo ma non sono riuscita a evitare l’impatto e i due motociclisti sono caduti. Mi è mancato il respiro. Quando sono uscita dalla macchina, mi tremavano le mani, quasi non mi reggevo in piedi. Sono riuscita a malapena a capire che nessuno si era fatto male, eppure mi sentivo svenire. Ed ecco che un ragazzo è venuto in mio soccorso. Non l’ho nemmeno visto bene in faccia ma ricordo che era vestito di nero. «Tranquilla, non è successo niente», mi ha detto sorridendo.  Mi ha fatta calmare, mi ha aiutata a respirare, ho socchiuso gli occhi e la testa ha smesso di girare. Poi sono arrivati i soccorsi. Non ho nemmeno fatto in tempo a ringraziare il mio giovane soccorritore, quando mi sono girata non c’era più. Ancora una volta il mio angelo era passato ad aiutarmi. Ho sorriso fra me e ho ricordato la prima volta che l’ho incontrato.

Ero una giovane sposina, piena di sogni, speranze e voglia di vivere. Io ed Egidio eravamo giovani e innamorati. Ero al quinto mese di gravidanza, aspettavo il mio Alessio, quando abbiamo deciso di trasferirci a vivere da Napoli a Milano. Eravamo tutti e due insegnanti. L’idea di lasciare mia madre, però, mi riempiva di tristezza. Lei invece, ancora una volta, era stata ottimista. Mi aveva mostrato immediatamente il lato positivo della scelta. Era sicurissima che questo cambiamento ci avrebbe portato fortuna. «Tesoro mio, devi stare tranquilla. Vedrai che andrà tutto bene».

Egidio partì per Milano da solo, per poter trovare un’abitazione adeguata e poco dopo partii anch’io per raggiungerlo. Cercai di mostrarmi serena con mia madre, ma quel viaggio, che allora durava otto ore, da sola, incinta, mi preoccupava moltissimo. Appena il treno aveva lasciato la stazione, mi ero seduta ed ero scoppiata in lacrime. È stato in quel momento che un ragazzo si è seduto di fronte a me. Una persona discreta e molto educata che per tutta la durata del viaggio mi ha aiutata facendomi parlare di me, di mio marito, delle mie aspettative e delle mie paure. «Non si deve preoccupare, penserò io a lei in queste ore».

Quell’uomo di cui non sapevo nulla, mi regalò un gran senso di pace e protezione e mi consegnò nelle mani di Egidio, alla stazione Centrale di Milano. Nel gran trambusto degli arrivi e delle partenze, non feci nemmeno in tempo a ringraziarlo come avrei dovuto, perché quando mi voltai, lui non c’era più. Lì per lì mi dispiacque un po’ ma ero talmente presa dall’idea di andare a casa che non ci pensai più dopo pochi istanti.

«Chi era quell’uomo?», mi aveva chiesto Egidio. «Non ne ho idea. È stato un vero angelo con me», mi venne istintivo rispondere.

 

Dopo due settimane che ero a Milano, avevo già iniziato a lavorare. Avevamo una bella stanza in un residence dove ero coccolata da tutti perché ero incinta. Anche a scuola da subito si era creato un bel gruppo con le colleghe, le cose si stavano avviando al meglio, quando mia madre all’improvviso, durante una telefonata, disse che era preoccupata per me. Sentiva l’urgente necessità di vedere come mi fossi sistemata. Mio marito l’adorava per cui le trovò subito una stanza nel nostro stesso residence, così lei ci raggiunse. Era il 4 ottobre del 1977 quando arrivò.

Erano giorni che mi sentivo strana, malinconica, saperla accanto a me mi dava molta forza ma non riuscivo a comprendere quella mia inquietudine. Dopo un paio di giorni però arrivò una bella notizia: grazie a un caro cugino, avevamo finalmente trovato casa. Una vera casa tutta per noi. Era un cambiamento importante. Il 7 ottobre io e mia madre uscimmo per raggiungere mio marito e mio cugino nella nuova casa, in viale Monza. Mia madre voleva assolutamente vedere l’appartamento prima di ritornare a Napoli.

Camminammo un po’ insieme, eravamo serene. Volle fermarsi in un negozio e regalarmi un abito premaman. Quando arrivammo, la moglie di mio cugino venne ad accoglierci. Prendemmo l’ascensore. Eravamo felici. Mia madre mi guardò, aveva una lacrima di gioia fra le ciglia. Allungò la mano come per accarezzarmi e fece solo in tempo a dire: «Non mi sento molto bene». Chiuse gli occhi e cadde per terra. Sola, con il pancione, mia madre accasciata sul pavimento, mi sentivo inerme, terrorizzata. Iniziai a gridare. La moglie di mio cugino aprì la porta dell’ascensore, non riusciva a capire cosa fosse successo. Mia madre sembrava svenuta, io non riuscivo a muovermi. Continuavo a chiamarla ma lei non si svegliava. Non rispondeva. A un tratto, dalla tromba delle scale, apparve un uomo, vestito di nero. Si fece largo fra noi, sollevò mia madre come una piuma, la prese in braccio e si diresse sicuro verso casa nostra. Coricò il corpo di mia madre sul divano, mentre io continuavo a piangere e a urlare. Poi sparì.

 

Per giorni non pensai a quell’uomo che mi aveva aiutata in un momento così tragico. Dovevo risolvere le pratiche burocratiche che si avviano quando muore un genitore. Mia madre era mancata da un minuto all’altro. La persona più importante della mia vita non c’era più. Un batter di ciglia e tutto il mio mondo era crollato in quell’ascensore. Nemmeno il tempo di dirle addio. Di capire. Stroncata a cinquantasei anni da un aneurisma all’aorta. Neanche se lo sentisse, era venuta a Milano apposta per trascorrere gli ultimi istanti della sua vita insieme a me.

Era cominciata così la mia vita da sposina a Milano. A parte quel dolore lacerante, quella perdita che ancora oggi mi dilania, è stato un tempo meraviglioso quello trascorso  in quella  città piena di luci e nebbie. Lì sono nati i nostri figli, Alessio e Jacopo, la nostra vera gioia, lì abbiamo lavorato e costruito le solide basi della nostra esistenza insieme. Nel 1990, dopo aver chiesto il trasferimento, io ed Egidio siamo tornati a casa. Entrambi in pensione da qualche anno, siamo sempre una coppia molto affiatata.

Ho incontrato ancora qualche angelo che mi ha aiutata in questi anni ma il più importante, quello che quel 7 ottobre del ‘77 ha sollevato mia madre, è scolpito nel mio cuore. So bene che non tutti sono portati a credere ma io sono convinta che siano moltissime le creature che non viste si aggirano sulla Terra per venire in nostro soccorso. Capita che non ci facciamo caso. Quasi sempre, però, non possiamo più fare a meno di pensare a loro.

 

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