I miracoli della vita

Cuore
Ascolta la storia

“Non si pensa mai che anche per un uomo possa essere destabilizzante il mancato arrivo di un figlio”, scrive una nostra lettrice, Alessandra, sulla pagina Facebook.

Vi riproponiamo sul blog una delle storie più apprezzate di questa settimana: “I miracoli della vita” di Mariella Loi, pubblicata sul n. 10 di Confidenze.

 

Storia vera di Alessandro M. raccolta da Mariella Loi

 

Mia madre era una donna speciale, forte, generosa, con una grande fede in Dio e nella vita. Ero legatissimo a lei fin dall’infanzia e, mentre crescevo, il nostro rapporto si era mantenuto inossidabile. Quando a vent’anni mi fidanzai con Elisa avevo le idee chiare circa il mio futuro: volevo fare il medico e formare presto una famiglia. Ero figlio unico: i miei genitori ne avrebbero voluti altri, ma un problema di salute occorso a mia madre, aveva reso impossibile questa eventualità. Il suo desiderio di avere una famiglia numerosa era però talmente forte che in qualche modo me lo aveva trasmesso.

Dopo la laurea e la successiva specializzazione in pediatria, iniziai a lavorare in un piccolo ospedale di provincia. L’anno successivo mi sposai con Elisa e la vita mi appariva più che mai rosea.

Passati tre anni di matrimonio e nessuna gravidanza all’orizzonte, decidemmo di rivolgerci a un centro specialistico per indagare le cause del mancato arrivo di un figlio. La prima a sottoporsi ai quesiti diagnostici fu mia moglie e, quando il risultato dei test escluse l’esistenza di un problema, fu il mio turno di sottopormi agli esami di rito. La diagnosi fu terribile: un varicocele bilaterale asintomatico mi aveva causato un problema di azoospermia. In sintesi: una forma di sterilità alla quale neanche le moderne tecniche di fecondazione assistita avrebbero potuto porre rimedio. Incredulo davanti a quel responso, mi rivolsi a un altro centro di infertilità ma il risultato delle analisi fu lo stesso.

Quella diagnosi rappresentò un brusco punto di arresto nel mare dei progetti, capace di scombinare per intero il senso della vita. Improvvisamente, mi sembrava che nulla avesse più significato per me: il mio lavoro, i primi successi professionali che si profilavano all’orizzonte, la casa che avevamo acquistato in collina e che, nella previsione di un figlio, avevamo voluto con il giardino. Niente aveva più importanza e se cercavo di concentrarmi nel lavoro per rimettere ordine nella vita, il fatto di essere pediatra non faceva che aggiungere sofferenza.

Si parla spesso del dolore delle donne per un figlio che non arriva, meno frequentemente si considera la sofferenza degli uomini, ancora bloccati da una forma di pudore. Ci portiamo dietro convinzioni di un tempo, quando si pensava che certi sentimenti fossero esclusivamente femminili. Io non so come gli altri uomini vivano esperienze simili alla mia, ma per me ogni pancione che si profilava all’orizzonte era una ferita immane e ogni annuncio di una nuova nascita, lungi dall’essere una gioia, era l’occasione per riaccendere il mio dolore.

In breve tempo, arrivai a isolarmi da tutto e tutti. Persi ogni interesse per lo sport che avevo sempre praticato, e anche in ambito lavorativo optai per un cambiamento radicale, abbandonando la mia specializzazione in pediatria. In un contesto personale così viziato, il mio matrimonio andò presto in crisi. A essere obiettivi, Elisa affrontò la situazione molto meglio di me e, soprattutto nei primi tempi, si dimostrò molto comprensiva, dichiarandosi disponibile all’adozione: per lei era una forma di genitorialità completa e non un patetico ripiego, come lo avevo definito io una volta, al culmine di una brutta discussione.

Fu la mia ostilità a logorare lentamente il nostro rapporto: due anni dopo, io e Elisa ci separammo e, dopo un periodo di forte isolamento dal mondo esterno, ripresi ad avere una vita sociale intensa e apparentemente soddisfacente.

Passai un colpo di spugna sui miei trascorsi: via le vecchie amicizie di coppia, via la casa in collina. Mi trasferii in una città più grande dove aprii uno studio professionale che ben presto si rivelò una sfida vinta. Sentimentalmente parlando, era come se fossi diventato un blocco di ghiaccio: frequentavo molte donne con le quali avevo relazioni soddisfacenti, ma di breve durata. L’idea di un rapporto stabile non era più nelle mie corde.

Condussi questa vita un po’ raminga per qualche anno, senza progetti di sorta all’orizzonte se non viaggi strepitosi all’altro capo del mondo, da dividere con la compagna del momento.

Mia madre e mio padre erano sempre stati una coppia molto unita e non fecero mai mistero di essere dispiaciuti per la piega che aveva preso la mia esistenza. La mamma in particolare mi diceva che la cosa più grave era che avevo perso fiducia nella vita che, invece, non smette mai di stupire, facendoci regali inaspettati che lei chiamava «piccoli miracoli».

Rimanevo sempre turbato dalle sue parole, ma per quanto volessi scuotermi di dosso l’inverno emotivo che si era impossessato di me, non riuscivo a rimettermi in gioco più di tanto con i sentimenti.

Poi incontrai Claudia. All’inizio neanche mi piaceva, ma forse in qualche modo stavo cambiando perché la sua profondità d’animo si insinuò in breve tempo tra le pieghe della mia vita arida.

Ci frequentavamo da un anno quando mio padre morì all’improvviso per un infarto. Fu un dolore indicibile che mi portò a legarmi ancora di più a mia madre.

Ma il destino non aveva smesso di infierire e un anno dopo, a seguito di una breve malattia, se ne andò anche lei lasciandomi disperato e solo. Mi sentii allora come un albero sradicato, senza più radici, una pianta che non aveva mai neanche prodotto un frutto.

Il gelo si impossessò nuovamente di me e la prima a fare le spese di quanto era accaduto fu Claudia. La lasciai frettolosamente senza nessuna spiegazione, dicendole che non volevo legami e desideravo solo stare per conto mio. Lei all’inizio, pensando che la mia fosse una reazione al lutto recente, mi lasciò andare senza fare nulla per trattenermi. Soltanto dopo, quando vide che non l’avevo più cercata, fece dei tentativi per recuperare il nostro rapporto. Cercò in tutti i modi di capire quali fossero le vere ragioni di una chiusura così repentina.

Per tentare un riavvicinamento, mi invitò per qualche giorno nella sua casa in montagna, dove già in passato avevamo trascorso qualche fine settimana. Sia pure con una certa titubanza, accettai il suo invito e, nei pochi giorni che passammo insieme, non mancammo di dividere il letto.

Un mese e mezzo dopo, mentre mi trovavo a Colonia per un convegno, ricevetti una chiamata da Claudia: mi diceva che aveva bisogno di parlarmi. Pensando che volesse ancora propormi di ritornare insieme, reagii alla sua richiesta con fare seccato. Ma percepii anche un tono di voce un po’ strano, insolito e accettai di andare a cena da lei la settimana seguente.

Quella sera, a casa di Claudia non arrivai nemmeno a finire l’antipasto: in preda all’impazienza, volli sapere subito che cosa avesse di tanto importante da dirmi. Lei rimase in silenzio e, anziché rispondermi, mi consegnò un pacchetto al cui interno c’erano due babbucce di lana bianca. Io la guardai interdetto mentre lei tutto d’un fiato mi disse che era incinta.

Non oso pensare a come ci rimase Claudia in quel momento visto che ebbi una reazione davvero sgradevole. Le urlai che non era possibile perché ero sterile e quel figlio non poteva essere mio. Arrivai a insinuare che mi stesse volutamente attribuendo la paternità del figlio di un altro. Lei rimase paralizzata. Mi lasciò sfogare tutta la mia rabbia e, solo quando terminai di parlare, mi disse che non aveva spiegazione alcuna per quello che era successo: era certa che il figlio fosse mio e, se non volevo fare il padre, lo avrebbe comunque tenuto, anche a costo di crescerlo da sola. Mi invitò ad andarmene e io lo feci.

Non so quale demone si fosse impossessato di me in quel periodo ma certo doveva essere molto potente: non solo non credetti alle parole di Claudia, ma per qualche tempo mi dissi che l’avevo scampata bella con una donna che aveva cercato di attribuirmi la paternità di un altro. Nei mesi successivi, la sentii solo poche volte al telefono e non la incontrai mai. Ebbi anche una brutta discussione con i suoi genitori: andò a peggiorare ulteriormente la situazione che si era creata tra noi.

Convinto com’ero di essere stato ingannato, non pensai mai in quei mesi di chiedere il test del DNA che avrebbe potuto fugare ogni dubbio. Preferii continuare a crogiolarmi nel ruolo di vittima: mi sentivo un uomo incompreso da tutti, inclusi gli amici più stretti.

Claudia mi contattò solo a parto avvenuto. Lo fece con un sms con cui mi diceva che era nata nostra figlia e che l’aveva chiamata Maria, il nome di mia madre. Aggiungeva che se volevo vedere la bambina, potevo andare a conoscerla quando fosse ritornata a casa dalla clinica.

Difficile descrivere cosa ho provato quando ho visto Maria la prima volta: incredulità, emozione, una grande confusione in testa. Il timore di essere stato ingannato lasciava lentamente il posto alla voglia di credere a quella paternità inaspettata. Claudia sollevò il problema poco tempo dopo. Mi disse che in situazioni come la nostra non si poteva rimanere in mezzo al guado e che, se volevo fare il padre, dovevo farlo a tutto tondo. Si rendeva disponibile a fare il test del DNA: scegliessi pure io dove farlo. Il test non lasciò alcun dubbio sul fatto che Maria fosse mia figlia.

Ancora incredulo e alla ricerca di una spiegazione scientifica, tornai all’ospedale dove molti anni prima avevo ricevuto la diagnosi che aveva mutato le sorti della mia vita. Il medico che mi ricevette, dopo aver ascoltato tutta la mia storia, mi disse: «Un caso come il suo è molto raro. In trent’anni che faccio questa professione mi è capitato solo una volta, sempre a seguito di un lutto. Caro collega, ci sono cose che la scienza non è in grado di spiegare. Io amo credere che siano i miracoli della vita. Smetta di interrogarsi su quanto accaduto e si goda questo regalo inaspettato».

I miracoli della vita: le stesse parole di mia madre. Quel giorno era il 15 gennaio: se fosse stata ancora viva, sarebbe stato il suo settantesimo compleanno. Amo credere che quel piccolo miracolo fu il suo ultimo regalo per me.

Confidenze