Il padre della sposa

Cuore
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Da sempre sognavo di essere io a condurre mia figlia all'altare e ora che sta per succedere dovrei essere felice. Invece, da quando mi hanno presentato la mamma dello sposo, ho un peso sul cuore: una parte del mio passato è tornata a galla e non posso ignorarla

Storia vera di Massimo F. raccolta da Annalisa Porru
Alice mi guarda perplessa coi suoi occhi grandi e stupiti, così espressivi da farmi sentire in colpa. «Papà non sei contento di accompagnarmi all’altare? Ci tenevi tanto e con Alessio abbiamo deciso di seguire la tradizione, la sposa entra in chiesa al braccio del padre, lo sposo a quello della madre».«Certo che sono contento, mi sorprende solamente il fatto che voi due, giovani moderni, indipendenti e liberi non abbiate scelto diversamente. Magari di entrare in chiesa mano nella mano o dandovi voi il braccio».

Se mia figlia era sbigottita, io lo ero più di lei nell’ascoltarmi mentre parlavo. Bugiardo, ripetevo a me stesso. Dicevo cose che non avrei mai detto e neppure pensato fino a poco tempo prima.

Da sempre sognavo, qualora fosse arrivato quel momento, di essere io a condurre un giorno mia figlia all’altare, di condividere la sua stessa emozione, di sentire il suo braccio posato sul mio, sotto lo sguardo commosso di mia moglie, dei parenti e degli amici nell’attraversare la navata della chiesa fino ad arrivare accanto allo sposo. Per me significava dare forza e solennità a questo momento di passaggio, felice ma malinconico, in cui io, il padre e Alice, la sposa, davamo l’addio ad un periodo della nostra vita bello e felice per iniziarne uno nuovo. Curavo perfino nel pensiero i particolari di questo momento esaltante, ne assaporavo le sensazioni di orgoglio, compiacimento, felicità.

Era una gioia immensa accompagnarla in questo momento speciale, dopo averla accompagnata in tutti i momenti della sua vita con tanto amore. «Troppo amore» mi ripeteva Elena, mia moglie, che mi rimproverava di viziare troppo la nostra unica figlia, di ammirarla oltre misura, di essere troppo arrendevole nei suoi confronti.

Mi rimproverava col sorriso, consapevole di non rimanere neppure lei del tutto immune dal potere seduttivo che Alice sapeva esercitare su di noi. Elena aveva ragione, mi impegnavo a essere un padre presente e discreto, a seguire nostra figlia con fiducia e tranquillità, mai domande insistenti, prediche o rimproveri, ma il mio sguardo era costantemente teso, vigile, trepidante, ansioso e a volte perfino geloso.

È grazie soprattutto al suo carattere volitivo e combattivo se Alice è cresciuta in modo maturo e libero, capace di fare le sue scelte, senza subire condizionamenti.

È stato un pomeriggio d’estate che è arrivata a casa, mano nella mano con un ragazzo e senza timidezze e lungaggini ce lo ha presentato. «Mamma, papà vi presento Alessio, il mio ragazzo».

Avrei voluto fare subito a entrambi tante domande, mentre ce la mettevo tutta per nascondere curiosità e trepidazione: “Da quando siete innamorati?”. “Come è successo?”. “Dove vi siete conosciuti?” avrei voluto chiedere. In fondo non c’era niente di male a voler sapere. Alessio doveva rendere felice mia figlia, quindi dovevo necessariamente cercare di conoscere tutto di lui, particolari, minuzie, possibilmente segreti. La difficoltà stava nel non essere precipitoso, nel non fare trapelare le mie intenzioni e il mio stato d’animo ad Alice. Sapevo che si sarebbe irritata, chiusa a riccio, negandomi perfino quelle poche informazioni che mi avrebbero potuto rassicurare.

 

 

 

«Siete colleghi di facoltà?» ho osato chiedere timidamente almeno questo, preparandomi ad accogliere qualche occhiataccia da parte di mia figlia.

Invece lei stava in silenzio, limitandosi a stringere la mano del suo ragazzo con uno sguardo estatico, di spudorato abbandono e di gioia incontenibile.

«Piacere di conoscervi» ha detto lui semplicemente con disinvoltura e un sorriso contagioso. Devo dire che mi è piaciuto subito. Il ragazzo di mia figlia aveva modi educati, gentili, affettuosi e un bel sorriso e poi, se Alice se ne era innamorata, un motivo doveva pur esserci e forse più motivi.

Un buon inizio pensavo, cercando di nascondere il mio sollievo.

«Frequentiamo la stessa facoltà e lo stesso anno di corso» ha precisato.

«Tra due anni conseguiremo la laurea in Archittetura e sarà lo stesso giorno, vero Alice?».

«Subito dopo ci sposeremo» aveva aggiunto lei assentendo, mentre il tutto si concludeva con un loro bacio e uno sguardo ricco di orgoglio e di soddisfazione da parte di noi genitori. Io tuttavia avevo sentito un moto improvviso di malinconia, una vaga sensazione di tristezza che non riuscivo a definire, che si impossessava di me con sempre maggiore intensità. Ho dovuto arrendermi e riconoscerne la causa, che ben conoscevo. Questa loro promessa e l’entusiasmo che l’aveva accompagnata mi aveva richiamato alla mente qualcosa del mio passato, quello che avevo fatto di tutto per dimenticare, forse cancellare, ma che evidentemente continuava a rimanere incollato nel mio profondo, nonostante il passare del tempo.

Anche io alla mia ragazza di allora, che frequentava la mia stessa facoltà di Lettere antiche e lo stesso anno di corso, avevo fatto la stessa promessa.

Ci saremmo laureati lo stesso giorno e poi ci saremmo sposati in chiesa. Ci soffermavamo a raccontarci i nostri progetti, i nostri sogni nei particolari, vivendoli in anticipo, inframmezzati ai baci e agli abbracci, che non ci bastavano mai.

«Massimo, prometti. Staremo sempre insieme, noi due, non ci separeremo mai, nel momento della laurea e neppure dopo la laurea. Cercheremo un lavoro dove ci sia posto per me e per te e poi ci sposeremo. In chiesa, naturalmente».

«Naturalmente» dicevamo e ridevamo e ci abbracciavamo, sognavamo quello sguardo e quel bacio che ci saremo scambiati davanti all’altare, non appena fosse giunta fino a me, al braccio di suo padre.

La voce alta e contrariata di Alice mi richiama dai miei pensieri. «Pensa che combinazione, papà. Anche Alessio ha dovuto insistere per convincere la madre. Ha avuto anche lei delle resistenze. Non voglio sapere il perché, ma preparatevi, sia tu che lei, perché si farà come decidono gli sposi». Sempre decisa e persuasiva mia figlia, la mia unica meravigliosa figlia, che ha sempre ragione, anche questa volta, soprattutto questa volta. Lei non può conoscere il perché e non lo saprà mai, ma io lo conosco e anche Anna, la mamma di Alessio. Tutti e due lo conosciamo.

Il destino beffardo aveva voluto che in questi due anni di fidanzamento di mia figlia, precedenti la laurea, fossi venuto a conoscenza di diverse cose su Alessio e i suoi genitori, che fosse figlio unico, che il padre avesse uno studio di architettura in città e la madre lavorasse presso i Beni culturali, ma mi fosse rimasta nascosta l’unica cosa veramente importante e significativa per me.

Questa si era rivelata senza preavviso, inaspettatamente come un colpo di fulmine, proprio il giorno della festa di laurea. I nostri ragazzi avevano scelto questo giorno per fare incontrare noi genitori perché ci potessimo conoscere poco prima delle nozze. E così mi sono ritrovato Anna di fronte. È difficile analizzare ciò che ho provato in questo attimo in cui i nostri occhi si sono guardati e le nostre mani si sono strette in un saluto, senza trovare la voce. Penso di essere impallidito e pure lei, non riuscendo entrambi a nascondere un moto di agitazione, di disagio.

Lei era la mamma di Alessio, io il padre di Alice, ma in questo momento improvviso eravamo gli innamorati del passato, che per quattro anni sono stati insieme, hanno condiviso tempo, emozioni, sentimenti e progetti, perfino le stessa passione per l’archeologia, i viaggi, le avventure, inoltrandoci con trepidazione e impazienza in quel futuro roseo, ricco di promesse che, eravamo sicuri, ci aspettava. Speravo che nessuno dei presenti si fosse accorto dei nostri stati d’animo. Li volevo tenere per me come pure volevo tenere stretta e nascosta la nostra storia. E lei sicuramente aveva le stesse mie intenzioni. Non sarebbe potuto essere diversamente.

Il tempo non avrebbe potuto cancellare quel nostro comune sentire, quella nostra intesa silenziosa e profonda su tutto, senza neppure bisogno di parole.

Ci piaceva sognare, allora, ma non eravamo pronti a vivere la realtà, ad affrontarla nella sua completezza, ad accogliere l’imprevisto, quello doloroso, drammatico che può farsi strada inaspettatamente tra i sogni disperdendoli e portando via lontano un amore bello e spensierato, come il nostro, ma non forte abbastanza.

L’attesa imprevista di un figlio e la sua perdita dopo pochi mesi per un aborto spontaneo hanno avuto un effetto devastante su Anna, sia sulla sua salute per via di complicanze da accertare e curare, sia sul suo stato d’animo, cancellando il sorriso dal suo viso e la stretta delle nostre mani. Anna ha deciso di fuggire da me, dalla nostra città, dal nostro amore, forse da se stessa. Ci siamo laureati, ognuno per conto proprio, in giorni diversi e sento al pensarci il dolore e la solitudine vissuti in quella circostanza che doveva essere particolarmente festosa per tutti e due. Lei, dopo la laurea mi ha comunicato di volere partire per il Marocco aderendo a un progetto di ricerca universitaria. «Non insistere a volermi trattenere e non cercarmi. Mi farò viva io».

Non l’ho mai cercata e lei non ha mai cercato me. Non si è fatta più viva.

Ci siamo persi, anzi ci siamo voluti perdere, rinnegando in un certo senso l’esistenza e la bellezza della nostra storia, quasi fosse stato un rapporto insignificante, irrilevante e fossimo stati irrilevanti anche noi e il nostro figlio mai nato.

Durante la festa di laurea dei nostri figli siamo restati silenziosi e lontani, cogliendo i nostri reciproci sguardi furtivi con il cuore a mille quasi fossimo dei timidi ragazzi, intenti a nascondere il loro amore agli occhi degli altri e non fossimo genitori di due giovani laureati prossimi alle nozze. Era stata troppo intensa e incontenibile la nostra emozione e troppo vivo il ricordo di noi due, di quello che non era stato, dei nostri sensi di colpa. Siamo riusciti, non so come, ad avvicinarci, il tempo di darci appuntamento in un giardino pochi giorni dopo.

«Massimo, I nostri figli si sposeranno tra breve e quello che non abbiamo potuto fare per noi lo dobbiamo fare per loro». Anna parlava con le lacrime agli occhi.

«Che cosa faremo?».

«Li accompagneremo nei loro sogni e nei loro progetti, gioiremo con loro e per loro. È un miracolo quello che ci sta capitando. Ancora una volta insieme a condividere la bellezza di un amore, di un sogno che è in parte anche nostro e che, questa volta, sta diventando realtà».

Anna mi prende tutte e due le mani e le stringe. Ora mi sorride mentre piange.

«I nostri figli inconsapevolmente ci hanno fatto incontrare di nuovo. È un invito a smettere di fuggire da noi due, dai nostri ricordi, da tutto ciò di bello e di triste è stato nella nostra storia». Mi guarda negli occhi e mi si avvicina tanto da respirare il suo profumo e il suo respiro. «Faremo pace con noi e col passato, ci perdoneremo. Solo in questo modo potremo con spontaneità e serenamente incontrarci e godere di ciò che la vita ancora vorrà regalarci».

Mi abbraccia. Io non trovo le parole, sono stordito, commosso, in uno stato di sospensione e di appagamento. Mi lascio andare a un gesto spontaneo. Le sfioro con un bacio il viso, quello che ho baciato infinite volte e lei mi lascia fare, guardandomi con dolcezza. È bella come allora, è lei come allora.

«Perdonami, Massimo. Sappi che ti amavo e non ti ho dimenticato».

«Anch’io ti chiedo perdono, Anna, per avere scelto di non chiarire, di non cercarti, di avere avuto paura».

Sento una sensazione di pace, di serenità che non conoscevo. Lei non distoglie lo sguardo da me. Prova la mia stessa emozione.

«E grazie per il nostro figlio mai nato» aggiungo mentre la mia mano azzarda una carezza e un magone incontrollabile pare soffocarmi. Non posso e non voglio frenare la mia commozione. Le sto dicendo quello che desideravo dirle allora e in tutto questo mio tempo senza di lei e non le ho mai detto, sto buttando via dal mio cuore quel peso, quel rimorso, che pure nascosto e apparentemente silenzioso non è mai andato via da me, non mi ha mai dato pace.

Anna mi abbraccia senza parole. Ora non piange più.

«Prometti, Massimo. Ci impegneremo a essere sereni, a vincere i nostri stati d’animo e le nostre resistenze per amore dei nostri figli e per amore del nostro passato».

«Lo prometto se mi prometti che non piangi più per noi».

Il suo viso si illumina subito di un sorriso accanto alle ultime lacrime, che asciugo con le mie mani. Lei me le bacia mentre sorrido anche io.

Pochi giorni dopo a casa, mentre aiuto Elena a confezionare le bomboniere viene verso di noi Alice.

«Papà, oggi ti vedo più sereno e sorridente. Passata la paura del mio matrimonio? Ricorda che ti vorrò sempre bene. Possono cambiare le situazioni, può passare il tempo, ma l’affetto non se ne va, rimane sempre in noi a tenerci uniti e complici».

«Sì, è vero, cara. L’affetto sincero e profondo non si perde mai e io sono tanto contento e orgoglioso di accompagnarti all’altare. Grazie per avere voluto farmi questo bel regalo».

Alice mi abbraccia entusiasta. «Sai, papà, anche Anna ha accettato con gioia di accompagnare Alessio all’altare. Siamo molto felici».

Anche io lo sono, figlia mia. Sono tanto tanto felice.

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