Storia vera di Luisa D. raccolta da Sabrina Bergamini
«Ma io sposerò te. Parlerò presto ai miei genitori, devi fidarti» mi confortò lui quando gli riferii in lacrime che avevo scoperto tutto.
E io mi fidai, come sempre. Perché di una cosa ero certa: il suo amore era sincero.
Quello che ancora ignoravo era il suo carattere troppo debole per riuscire a imporsi, cambiare le carte già disposte sul tavolo da gioco. Solo che in gioco c’erano le nostre vite e questo è un piccolo dettaglio di cui nessuno si è preoccupato. Così, in un luminoso giorno di maggio, Alessandro convolò a nozze con la sua fidanzata. Avrei dovuto ascoltare i consigli delle amiche più care e restare a casa, invece feci di testa mia e decisi di andare a vedere con i miei stessi occhi l’amore della mia vita che giurava fedeltà eterna a un’altra.
Volevo vedere da vicino quella ragazza così bella, così raffinata, con il sorriso dolce di chi non ha mai avuto bisogno di lottare per ottenere nulla, i capelli biondi raccolti in cima alla testa, il velo a coprirle il volto, lo strascico lungo più di tre metri, i gesti ben misurati di chi ha appreso le buone maniere e le ha fatte sue. Una vera principessa e io una moderna Cenerentola, forse addirittura peggio. Cenerentola almeno era bella, io no. Ero piccola, tozza, sgraziata, non avevo ancora imparato a tenere a bada la massa di ricci neri che mi cadevano a cascate sulle spalle, sbagliavo make up e indossavo abiti dozzinali.
Fu il giorno più brutto della mia vita. Quella sera, davanti allo specchio, giurai a me stessa che non avrei mai più permesso a nessuno di farmi sentire così umiliata, sola, inutile. Poi presi in mano le forbici e diedi un taglio netto ai miei capelli e al mio passato. Un anno più tardi cedetti alla corte serrata di Riccardo, un ragazzo sensibile e dal cuore generoso di cui non mi innamorai mai ma che riuscì, almeno in parte, a farmi dimenticare il dolore lacerante che mi aveva provocato l’abbandono di Alessandro. Ci sposammo una tiepida giornata di aprile. Una cerimonia intima, semplice. Diventammo presto una famiglia. Due figli, un cane, una piccola casa e il mutuo da pagare, la vita che scorre con i suoi alti e bassi. Passarono gli anni. Alessandro non lo rividi più, sapevo che si era trasferito all’estero per seguire gli affari di famiglia. Non pensavo a lui, lo avevo rimosso dalla mia testa, estirpato dal cuore come si fa con l’erba cattiva, avevo distrutto ogni prova del suo passaggio nella mia vita. Fino a quel giorno. Davanti ai cancelli della scuola dei miei figli. Ricordo che pioveva a dirotto.
La sua voce si posò sulle mie spalle inconsapevoli, mentre mentalmente passavo in rassegna le commissioni che mi attendevano nel pomeriggio. Si conficcò tra quei pensieri, tra le scapole come la lama di un coltello, come un lampo che squarcia il cielo.
Quel timbro limpido e inconfondibile. Restai di pietra. Ci misi un’eternità a voltarmi. Come se sapessi, in qualche luogo infinitamente piccolo dentro di me che, dopo nulla sarebbe stato più lo stesso. Mi voltai. E fu la fine, fu l’inizio.
Alessandro era bello come lo ricordavo, anche se visibilmente più magro dentro al suo abito di alta sartoria, gli occhi incorniciati da una sottilissima ma fitta trama di rughe, lo sguardo triste. Una tristezza che non avevo mai visto prima sul suo volto sempre allegro.
«Luisa» disse in un soffio, allungando una mano verso il mio viso, sfiorandomi una guancia con la punta delle dita. Poi fu un vociare di bambini, uno sciame colorato e allegro che correva in tutte le direzioni, e l’incantesimo finì. Mi girai e andai incontro a Simone e Sofia, tornai alla mia vita e alla mia routine.
Qualche giorno più tardi, alzando la cornetta del telefono, fu ancora la sua voce a sorprendermi. «Luisa, non riattaccare, ti prego. Ho bisogno di parlarti. Devo vederti».
La mia risposta restò sospesa sopra le nostre teste per un tempo che parve infinito. Poi pronunciai quel fatidico sì che cambiò tutto. Il posto lo scelsi io, un piccolo caffè al riparo da occhi indiscreti. Quando arrivai, lo trovai già seduto ad aspettarmi.
«Credevo non venissi più» mi disse appena raggiunsi il tavolo. Si alzò di scatto in piedi, mi scostò la sedia per farmi accomodare. Ordinammo due caffè.
«Non ho molto tempo» esordii per rompere l’imbarazzo. Un’ombra attraversò il viso di Alessandro. Se pensava di ritrovarmi dopo tutti questi anni pronta ad accoglierlo a braccia aperte, si sbagliava.
«Ti sei tagliata i capelli, stai bene».
Mi passai istintivamente una mano sulla nuca. Mi uscì una risatina amara. «Li ho tagliati il giorno stesso in cui sei convolato a nozze. Un gesto simbolico per chiudere per sempre con il passato» risposi guardandolo negli occhi.
«Non ho avuto il coraggio di dirti la verità. Perdonami. Io non ho mai smesso di amarti, sono così infelice. Mia moglie è una donna superficiale, frivola, mi rende la vita un vero inferno, ma se anche fosse stata la persona più dolce del mondo non sarebbe cambiato nulla, io amo ancora te, solo te. Non ho mai smesso» disse tutto d’un fiato.
«E adesso cosa vorresti? È tardi, per tutto» risposi, alzandomi. Lui mi raggiunse fuori dal locale, mi cinse la vita da dietro, attirandomi a sé. Sentii il suo viso infilarsi tra il collo e la spalla. Sentii il suo respiro, riconobbi il profumo della sua pelle. Un fremito mi attraversò il corpo e mi sciolsi in quell’abbraccio.
Quanto avrei voluto continuare a fare la sostenuta, rimandarlo da dove era venuto, dargli il benservito. Invece mi voltai e gli presi il volto tra le mani, lo ricoprii di baci, di parole appena sussurrate che si mescolavano alle sue in un esperanto senza fine. Incuranti degli sguardi della gente, del fatto che qualcuno avrebbe potuto riconoscerci, restammo lì, immobili, senza volontà, senza forza. Poi finimmo nella camera di un hotel e se dovessi ricordare come ci arrivammo, nemmeno saprei dirlo. Ricordo solo l’avidità con cui ci riprendemmo i nostri corpi, tornammo a essere l’incastro perfetto di tanti anni prima. Ci amammo con disperazione, rabbia, audacia, la mente completamente svuotata da ogni pensiero, annullati tutti i buoni propositi.
«E adesso?» chiesi, dopo l’ultimo abbraccio, tra quelle lenzuola stropicciate su cui giacevano i nostri corpi stanchi.
«Adesso non ci lasceremo mai più, te lo giuro».
E fu veramente così. Riuscimmo a dare alla nostra storia clandestina una sua routine, ci vedevamo due volte a settimana sempre nello stesso albergo, ci sentivamo ogni volta che ci era possibile, lo squillo del telefono divenne la mia melodia preferita.
Da quando Alessandro era tornato nella mia vita ero più felice, più solare, più positiva. Se ne accorse persino mio marito, ne giovarono i miei figli. Per sopperire ai sensi di colpa mi sforzavo di essere la migliore delle madri, la più devota delle mogli. La cosa andò avanti per molti anni. Non che fossi orgogliosa di me stessa, questo mai. Ma Alessandro era l’amore della mia vita e se mi ero illusa di poter vivere anche senza di lui, il suo ritorno mi aveva confermato che non era vero affatto. Senza di lui mi ero limitata a sopravvivere. Poi tutto crollò.
Un giorno, mio marito ricevette una busta anonima. All’interno c’erano le prove inequivocabili del mio tradimento. Venne fuori che Jolanda, la moglie di Alessandro, assediata dal tarlo della gelosia, aveva assunto un investigatore privato. Prove alla mano minacciò di far scoppiare uno scandalo, ma Alessandro non si fece intimorire, anzi, indicò la separazione come unica soluzione. Di fronte alla reazione risoluta del marito, Jolanda reagì malissimo dichiarando che mai e poi mai gli avrebbe permesso di umiliarla in questo modo, si chiuse in casa per mesi cercando di attirare su di sé l’attenzione ma quando vide che tutto era inutile, riprese la vita di prima con la sola variante che iniziò a farsi accompagnare a feste e ricevimenti con amanti che cambiavano di mese in mese. Continuò a rifiutare l’idea di una separazione, non per amore nei confronti del coniuge ma molto più semplicemente perché non riusciva ad ammettere la sconfitta.
Io, invece, mi separai subito. A prenderla davvero male non fu tanto mio marito che mi confidò di aver sempre sospettato che il mio cuore appartenesse ancora al mio ex, ma mio figlio che smise di parlarmi e se ne andò a stare con il padre.
Dopo qualche tempo, io e Alessandro iniziammo a farci vedere alla luce del sole, a essere una coppia a tutti gli effetti. Del resto, eravamo già sulla bocca di tutti, tanto valeva cavalcare l’onda del grande scandalo. In quella piccola città di provincia non si parlò d’altro per svariati mesi, dovetti persino smettere di lavorare. Il dispiacere costò caro al padre di Alessandro a cui venne un infarto, la madre invece si limitò ad abbassare gli occhi di fronte alla verità e ammise che era stato un grave errore obbligarlo a sposare una donna che non amava. Poi le chiacchiere si assopirono, la gente iniziò a interessarsi ad altro fino a dimenticarsi di noi.
Noi che per la prima volta potevamo vivere pienamente il nostro amore, metterlo alla prova. Noi che ci stringevamo come ragazzini sotto lo stesso ombrello per le vie del centro nei giorni di pioggia, noi che ci emozionavamo alla visione della Traviata alla prima della Scala, noi che organizzavamo minuziosamente la nostra prima vacanza insieme. Noi che imparavamo a conoscerci un giorno dopo l’altro scoprendo pregi, difetti, differenze. Noi che riscoprivamo quanto piacere possono regalare i corpi, quando nelle vene pulsa l’amore, quello vero.
E così, passarono molti anni.
Jolanda morì una notte di fine estate.
Per una fatale coincidenza il decesso avvenne esattamente come per Lady D a causa di un incidente d’auto. La sua fine decretò un momento di crisi tra me e Alessandro. Inevitabili i sensi di colpa. Era una donna infelice e lo era a causa nostra.
«Lo era solo per causa sua. Lei non mi ha mai amato veramente, né prima del matrimonio né dopo. Quando ha scoperto il tradimento era ancora giovane e bella, poteva rifarsi una vita ma ha preferito avvelenare la nostra solo perché lei è incapace di amare, è sempre stata abituata ad avere tutto e non ha retto al fatto di non riuscire ad avere il mio cuore» mi disse Alessandro tra le lacrime dopo giorni che rifiutavo le sue visite.
Ci sposammo qualche tempo dopo. Al ricevimento invitai anche il mio ex marito e la sua nuova compagna. All’altare mi accompagnò mio figlio. La strada che portò alla nostra riconciliazione fu lunga e tortuosa ma poi ci pensò la vita a sistemare ogni cosa: Simone finì per innamorarsi di una ragazza già impegnata e solo allora riuscì a comprendere che al cuore non si comanda.
Oggi siamo una di quelle vecchie coppie che non fa altro che brontolare ma ci addormentiamo ancora abbracciati e senza mai dimenticare di ringraziare il destino per la seconda occasione che ci ha regalato.●
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