La mia seconda possibilità

Cuore
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“La mia seconda possibilità” è la storia più apprezzata sulla pagina Facebook questa settimana. Pubblicata sul n. 9 di Confidenze, ve la riproponiamo sul blog

 

Sono qui, dopo 15 ore di volo, nell’ospedale sconosciuto di un Paese lontanissimo. Mio marito è in coma, potrebbe riprendersi ma non è detto. E io, che l’ho cacciato di casa dicendogli che non l’avrei mai perdonato, non so più cosa provo. Lo odio ancora? O lo amo?

Storia vera di Marina V. raccolta da Carmelita Fioretto

 

Un violento temporale tropicale rovescia cascate di pioggia sulla città e un vento irruente scrolla le chiome degli alberi, piega gli snelli tronchi delle palme. Sono arrivata a Kuala Lumpur, in Malesia, stamattina dopo un viaggio di più di 15 ore, comprese cinque ore di scalo a Dubai. Ore vibranti di impazienza, ansia, tensione.

Ed è così strano essere qui ora, ma non è un sogno: è un incubo.

Sono dieci mesi che non so più nulla di mio marito. La sua decisione di accettare un incarico di lavoro in questa città, così lontana e sconosciuta, mi è apparsa come una chiara volontà a staccarsi il più possibile da me.

Adesso lo ritrovo in un letto d’ospedale, circondato dalle flebo e dal pulsare dei monitor, con il viso terreo, le labbra violacee e gli occhi ostinatamente chiusi.

È in coma da tre giorni.

Ugo, un suo collega italiano venuto a prendermi in aeroporto, mi ha raccontato che Eugenio è stato investito da un taxi, mentre tentava sconsideratamente di attraversare un viale molto trafficato, lontano dalle strisce pedonali. Ha fatto un volo di metri, prima di ricadere sull’asfalto. È già un miracolo che non sia morto sul colpo. È stato operato d’urgenza, per fermare l’emorragia interna. Ora bisogna solo aspettare che si svegli, sperando che il coma non diventi irreversibile.

«Non ti perdonerò mai, io ti odio! Ti odio con tutta me stessa».

Sono state le ultime parole che gli ho urlato, attraverso il baratro che la sua colpa aveva creato tra noi.

Lui non ha replicato. Aveva lo sguardo pensoso, ma il viso privo d’espressione, come se non gli importasse nulla. Poi mi ha voltato le spalle e se n’è andato. Anch’io ho girato le spalle, per non guardarlo andare via. In quel momento lo odiavo davvero con tutta me stessa. E ho continuato a detestarlo per tanto tempo ancora, con una rabbia così forte da sommergermi, da togliermi il respiro.

Ci siamo sposati appena ventenni. Un colpo di testa, per genitori e amici. Innamoratissimi, volevamo vivere sempre insieme, quasi l’uno del respiro dell’altra. Nella nostra incoscienza, non abbiamo tenuto conto dei tanti sacrifici, delle difficoltà e delle rinunce che avremmo dovuto affrontare. Anche perché Eugenio ha voluto completare gli studi d’ingegneria e poi è nato il nostro Marco. Per anni abbiamo tirato avanti con il mio solo stipendio che non era un granché.

Poi Eugenio ha fatto carriera, Marco è cresciuto ed è andato via di casa.

A 48 anni ci siamo ritrovati di nuovo solo noi due, con le nostre abitudini, la nostra quotidianità. Forse era una vita un po’ monotona, povera di emozioni e fantasia ma a me andava bene lo stesso.

E poi all’improvviso una tempesta, furiosa come quella che imperversa fuori, si è scatenata su quella vita così tranquilla e l’ha sconvolta.

È cominciato tutto con la morte improvvisa di Tullio, il migliore amico di mio marito, stroncato da un infarto. Una tragedia che ci ha sconvolti tutti. Soprattutto Eugenio ne è rimasto traumatizzato. Non se ne dava pace.

Dato la grande amicizia, il profondo affetto che lo aveva legato a Tullio, ho trovato del tutto normale che cercasse di stare vicino a Claudia, la vedova, e ai suoi due figli, Alessia e Simone, che li aiutasse nelle questioni pratiche, li sostenesse in tutto. Andava ogni giorno da loro e io lo accompagnavo quasi sempre, anche se io e Claudia eravamo troppo diverse per essere davvero amiche. Ero invece molto legata ai ragazzi, soprattutto ad Alessia che aveva 23 anni, come mio figlio, ed era stata sua compagna di giochi. All’inizio mio marito si interessava soprattutto a Simone, ancora adolescente, ma presto fu Alessia a rivelarsi la più fragile, con continue crisi di panico. Capitava che, spinta dall’angoscia, ci piombasse in casa in lacrime. Solo Eugenio riusciva a calmarla, a rassicurarla. Nei fine settimana andavano insieme a correre al parco.

In estate, è stato mio figlio a voler invitare Alessia in vacanza con noi in Sardegna. In quelle due settimane, la ragazza è come rifiorita, recuperando serenità e allegria. Era un piacere vederla rilassarsi, divertirsi e sentirne la risata sonora. Era molto dolce, molto bella e io pensavo che, chissà, forse lei e Marco avrebbero finito per innamorarsi.

Invece, non è stato così.

 

Come ho fatto a non accorgermi di nulla? A non sospettare nulla?

Sì certo, mi irritava che dopo mesi Claudia si appoggiasse ancora così tanto a Eugenio, che non riuscisse ad affrontare il benché minimo problema da sola. Mi ricordavo di come, quando Tullio era ancora vivo, mi avesse infastidita una sua eccessiva familiarità con mio marito.

Ho iniziato a sbuffare quando telefonava a Eugenio e io ero con lui.

«Cerca di capirla» la giustificava mio marito «Tullio si occupava di tutto e ora lei ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi».

Del resto, lui era sempre stato generoso, disponibile con tutti, come fargliene una colpa?

Un tardo pomeriggio, mentre eravamo in centro a fare compere, con Eugenio ci siamo imbattuti in Alessia. Era con un ragazzo: un bel tipo, dall’aria simpatica. Appariva allegra, radiosa. Ci siamo fermati a chiacchierare solo per pochi minuti. Anzi, in realtà mio marito non ha detto una parola.

«Scommetto che è il suo ragazzo» ho commentato quando si sono allontanati. Ero contenta per Alessia.

Eugenio non ha replicato, ma dopo pochi minuti si è staccato da me.

«Scusa, ma devo tornare subito in ufficio».

Non capivo: aveva detto di avere il pomeriggio libero. Però lui, senza darmi il tempo di protestare, si è allontanato quasi correndo.

È rincasato con l’aria esausta. Ha dichiarato di avere l’emicrania ed è andato subito a dormire, senza cenare.

Ho iniziato a preoccuparmi ancora di più per lui. Pensavo che fosse ancora sotto shock per la morte di Tullio, che questa gli avesse in qualche modo imposto una nuova visione della vita, che lo angustiava. Forse aveva paura di morire anche lui all’improvviso. A volte era triste, taciturno e il suo sguardo si faceva lontano, assente. Altre volte si irritava per un nonnulla. Era chiaro che qualcosa lo angosciava, lo torturava, ma se indagavo, desiderosa di aiutarlo, lui mi opponeva uno spesso muro di silenzio. Questo mi feriva, perché tra noi c’era sempre stato molto dialogo, molta confidenza. Ero comunque convinta che il tempo avrebbe sistemato tutto e che lui sarebbe tornato a essere il mio Eugenio di sempre.

E poi ho scoperto la verità.

Un sabato pomeriggio, rincasando da un pranzo con delle amiche, ho sentito delle voci alterate in terrazzo. Erano Eugenio e Simone. Non si sono accorti di me.

Mio marito era terreo, mentre Simone lo aggrediva verbalmente, rosso di rabbia.

«Come hai potuto farlo? Come hai potuto? Giuro che se ti trovo con lei ti massacro di botte. Mi hai capito?».

Quando ho gridato: «Simone, sei impazzito?», lui si è zittito, girandosi sorpreso verso di me. Poi si è precipitato alla porta d’ingresso.

Nel passarmi accanto mi ha mormorato: «Mi dispiace, Marina…tanto!».

«Tu adesso mi spieghi tutto» ho intimato a mio marito.

Si era appoggiato al parapetto e guardava lontano, senza rispondermi.

Ma io l’ho incalzato implacabile con le mie domande. Volevo la verità, a qualunque costo.

Alla fine ha ceduto. Si è deciso a guardarmi e: «Mi sono innamorato» ha confessato. «Non l’ho voluto, ma è successo».

«Claudia!» ho esclamato.

Ha scosso il capo. «Alessia» ha mormorato.

Ho sentito la mia vita andare in frantumi, insieme al mio cuore.

«Alessia?» sono trasecolata «Potrebbe essere tua figlia! Ci sei andato a letto?».

«Ma cosa importa, Marina?».

«Importa, invece! Ci sei andato a letto?».

«Una volta» ha ammesso. «Una volta sola! È stato un momento di follia».

È stato come se mi avessero dato una mazzata in testa. Sono corsa via da casa.

Ho camminato a lungo, senza meta, piena di amarezza, di rabbia. Immaginavo Eugenio e Alessia insieme e la gelosia mi azzannava il cuore. Mi sentivo umiliata, offesa e tremendamente stupida.

Quando mi sono decisa a rincasare, mio marito era ancora seduto sul divano e fissava nel vuoto.

«Siediti, Marina» mi ha detto con voce stanca, «e parliamone»

 

 

Parlarne? Per farmi ancora più male? Per straziarmi ancora di più? Non volevo ascoltare la sua storia con Alessia. Avrei voluto soltanto addormentarmi e al risveglio scoprire che era stato un sogno orribile.

Come un automa, sono andata al carrello dei liquori e mi sono versata due dita di grappa.

Non sono una che beve molto, ma in quel momento ne avevo davvero bisogno.

«Non bere a quest’ora» ha esclamato Eugenio.

«Non dirmi cosa posso e non posso fare» gli ho urlato «Sei ancora innamorato di lei, vero?».

Ha taciuto, ma dal suo sguardo ho capito che era disorientato, confuso e che non aveva una risposta alla mia domanda.

E allora ho perso del tutto il controllo e mi sono scagliata contro di lui e l’ho tempestato di pugni sul petto, sulle spalle. È scattato in piedi, afferrandomi per i polsi per bloccarmi.

«Vattene» gli ho ringhiato in faccia «Fuori da questa casa, fuori!» e l’ho spintonato verso la porta e poi giù dalle scale. Se n’è andato e io, finalmente, ho pianto.

Le settimane seguenti sono state terribili. Brancolavo in un tunnel di tenebra che pareva senza fine. Stavo da cani. Che ne era stata della mia intesa profonda con Eugenio? Del nostro amore? Tutto era stato spazzato via in un attimo.

Marco ha tentato di mediare tra me e suo padre, ma io non volevo ascoltare né lui né nessun altro.

Rifiutavo le chiamate di Eugenio e anche di incontrarlo. Lui è passato da casa a prendere delle cose, ma sempre quando ero al lavoro.

Una sera però l’ho trovato lì. Mi aspettava.

«Farò cambiare la serratura» l’ho avvertito astiosa, dimenticando che quella era ancora anche casa sua.

«Questo venerdì partirò per la Malesia» ha replicato. «Mi hanno fatto una buona proposta di lavoro».

Ho avvertito una fitta allo stomaco. «Perché così lontano?».

Ha esitato un istante prima di rispondere: «Ho bisogno di prendere le distanze da tutto e da tutti, per riflettere con calma, per capire…».

L’ho interrotto brusca: «Per me, puoi anche andare all’inferno!»  sono andata alla finestra, dandogli le spalle. L’ho sentito avvicinarsi, ma non mi ha neppure sfiorata.

«Allora io vado, Marina».

La sua vicinanza mi turbava e così ho esclamato: «Non ti perdonerò mai! Io ti odio. Ti odio con tutta me stessa».

Dopo pochi istanti, ho sentito la porta d’ingresso che si chiudeva. È stato come un pugno al cuore.

E adesso sono qui, in ospedale, a Kuala Lumpur. Sussulto, quando Ugo mi posa una mano su una spalla. Il tempo delle visite è scaduto. Prima di uscire, lancio un ultimo sguardo a mio marito. Vorrei tanto che aprisse gli occhi. Ma non accade.

Quando usciamo non piove più e ci accoglie un vento caldo e umido.

Il monolocale di Eugenio non è lontano dalle Torri Petronas, le torri gemelle simbolo di Kuala Lumpur. È ordinato, pulito. In camera mi colpisce subito la foto sul comodino. È stata scattata una decina di anni fa, durante una gita in barca. Io siedo tra le gambe di Eugenio, che è al timone. Entrambi sorridiamo felici all’obiettivo.

So che questa foto mi sta lanciando un messaggio.

 

 

 

Alcuni mesi dopo la partenza di Eugenio ho avuto una storia. Ho conosciuto Alberto nella palestra che ho iniziato a frequentare per scaricare la rabbia e la tensione. È stato lui a prendere l’iniziativa. È stata una storia breve e leggera, che ha coinvolto davvero poco il cuore. Lo confesso: sono andata con Alberto solo per ripicca, però sentirmi desiderata mi è servito a recuperare la fiducia in me stessa.

Un giorno Alessia mi ha aspettato sotto casa. «Non amo Eugenio e lui non ama me» mi ha detto in fretta, trattenendomi per un braccio. «È stato solo un momento di debolezza. Eravamo tutti e due così smarriti e addolorati per la morte di papà. Io so che lui ama te».

Non ho potuto fare a meno di commentare acida: «Ha trovato un modo davvero originale per dimostramelo».

«Tutti hanno diritto a una seconda possibilità, pensaci» ha replicato lei, prima di andarsene.

Dieci mesi… come ha vissuto Eugenio in tutto questo periodo? Quali sono stati i suoi pensieri, i suoi sentimenti ed emozioni? E qual è stato il mio posto nei suoi pensieri e nel suo cuore?

A me Eugenio è mancato molto. È stato il mio primo pensiero al mattino e l’ultimo prima di addormentarmi. Piano piano la rabbia si è stemperata, si è dissolta. Ho iniziato a ricordare tutto ciò che amo in lui e la tenerezza ha ripreso a pulsare nel mio cuore. Sì, lo amo ancora e sono pronta a ricominciare dal momento in cui ci siamo persi.

Ma è quello che vuole anche lui? E ne avremo la possibilità e il tempo?

Affondo la faccia nel cuscino che sa del suo profumo: un misto di sandalo e spezie. Chiudo gli occhi ed è come se lui fosse lì con me. Risento la sua risata, la voce calda e profonda. Voglio che torni a essere il mio uomo! E prego per questo, come ormai da tempo non pregavo più.

Ugo suona alla porta verso le nove e mi sveglia, perché il sonno mi ha vinto solo alle prime luci dell’alba.

«Buone notizie» è la prima cosa che mi dice sorridendo.

Lo hanno appena chiamato dall’ospedale: all’alba Eugenio ha aperto gli occhi, uscendo dal coma. Ora i medici sono decisamente ottimisti.

È come se mi fossi scrollata di dosso un macigno.

«Non deve stancarsi» mi avverte un infermiere, che sta uscendo dalla camera di mio marito.

Eugenio è ancora pallidissimo e ha gli occhi chiusi, ma sentendomi entrare li apre. È stato il blu profondo dei suoi occhi a farmi innamorare di lui. Nel vedermi, si illumina tutto. «Marina…» mormora.

Mi siedo accanto al letto e appoggio una mano sulla sua. Restiamo a guardarci in silenzio. Lui sorride, io sorrido.

«Ugo è andato in aeroporto a prendere Marco» gli comunico.

Annuisce. Intanto non mi stacca gli occhi di dosso e nel suo sguardo c’è un’intensa dolcezza che mi accarezza il cuore. «Perdonami» sussurra.

Mi alzo, mi chino su di lui e gli poso un bacio leggero sulla fronte, sulle labbra. Poi torno a sedermi, continuando a tenergli la mano.

«Ti amo, Marina».

«Ti amo anch’io».

E per il momento non c’è nient’altro dire. È comunque un buon punto da dove ricominciare.

Non sarà facile, ma sono sicura che ce la faremo.

Dentro di me la tempesta si è placata.

Adesso splende il sole.

 

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