La telefonata

Cuore
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Per tutti sono don Nicola, parroco di un paesino lucano, colpito dalla pandemia. Non dimenticherò mai quel giorno, quando il Santo Padre ha chiamato proprio me. E con la sua attenzione mi ha restituito l’energia per affrontare l’emergenza

Storia vera di Don Nicola Caino raccolta da Lucia De Gregorio

 

«Pronto? Sono Francesco, il Santo Padre!». Con queste parole ho ricevuto la telefonata di Papa Bergoglio e per qualche secondo, mentre attendevo in silenzio, ho creduto si trattasse di uno scherzo. Io stesso, del resto, avevo in passato fatto qualcosa di simile, a danno di un amico, spacciandomi proprio per il Pontefice. Ho pensato, quindi, fosse qualche burlone che mi restituiva pan per focaccia.

D’altro canto, non capita tutti i giorni che Sua Santità telefoni a un giovanissimo parroco di campagna, nel pieno di una pandemia. Eppure è successo, proprio a me e nonostante la piacevole conversazione di circa 10 minuti, a volte stento a credere che sia successo davvero. Sono Nicola, don Nicola dal 2016 e da due anni sono parroco di San Giorgio Lucano, un piccolo comune, in provincia di Matera, adagiato nella parte sud occidentale della regione, nel cuore della Val Sarmento: una delle zone più depresse della Basilicata, dove alla penuria di abitanti si aggiunge la conseguente mancanza di opportunità. Errate scelte politiche, locali e nazionali, hanno contribuito a creare una situazione che è comune a molti altri piccoli centri della Valle, dove, tuttavia, non mancano alcuni imprenditori che con fatica tentano di resistere. Sulla carta, San Giorgio Lucano conta 1.100  anime, ma è un numero fittizio. Nella realtà, non si arriva a 1.000: in tanti, infatti, hanno ancora la residenza nel comune di origine, ma vivono altrove, al Nord Italia, se non proprio all’estero. Tornano, di solito, d’estate e il paese si anima, con un’atmosfera di festa che rallegra tutti. Al momento ci sono 100 bambini, il resto è costituito da adulti, moltissimi dei quali anziani. Quando sono stato mandato qui dal Vescovo della diocesi di Tursi Lagonegro, avevo solo 26 anni e mi sentivo a metà tra il parroco, il nipote e il badante di tutti questi vecchietti. Non è stato semplice, infatti, accogliere uomini o donne che avrebbero potuto, per età, essere i miei nonni, dare loro un consiglio o una risposta e spesso mi sono sentito in imbarazzo. Ma è durato poco: la comunità mi ha accolto subito molto bene e oggi i parrocchiani mi vogliono bene, come io ne voglio a ciascuno di loro. Come nel resto del mondo, anche qui, purtroppo il virus è arrivato, sconvolgendo la quotidianità dell’intera cittadinanza. Con la Protezione civile riusciamo a dare una mano a tutti, ma non è semplice. Abbiamo cercato di dividerci i compiti: la Caritas parrocchiale è vicina alle famiglie con minori, per rifornimento di beni di prima necessità e per la compilazione di pratiche e documenti che occorrono nella richiesta di agevolazioni e bonus.

 

La Protezione civile, invece, si fa carico di anziani soli, ma spesso, questi ultimi richiedono la mia presenza e neppure aprono la porta ai volontari. Da un lato non nego che mi faccia piacere, perché è la dimostrazione più vera di una fiducia incondizionata, che spero sia sempre ben riposta in me.

Il vero impegno, tuttavia, è quello con la casa di riposo che ospita normalmente 20 vecchietti, la maggior parte intorno agli 80 anni e alcuni ben oltre i 90. Qui è scoppiato un vero e proprio allarme perché i tamponi effettuati come controllo, nel pieno dell’emergenza da Covid-19, hanno rilevato ben 13 anziani positivi asintomatici e tre operatori ugualmente positivi ma privi di sintomi. È stato terribile, si è temuta una strage come nelle residenze lombarde e sono state ore difficili. Il paese, già normalmente silenzioso per via del divieto di uscita, era come in una bolla di paurosa attesa. Tanto più che siamo pure commissariati, perché senza sindaco: per un voto, infatti, non si è raggiunto il quorum e al momento il comune è retto dal vice prefetto di Matera. Insomma, una situazione non semplice, in cui tutti abbiamo temuto il peggio. Molti hanno addirittura invocato l’istituzione della zona rossa per tutto il comune, che chiudesse quindi le entrate e le uscite con posti di blocco, ma le autorità hanno preferito non concederla, ritenendo che il contagio fosse circoscritto alla residenza per anziani.

È stato proprio in quei giorni pieni di angoscia che Papa Bergoglio mi ha telefonato. Erano le 10.30 e come ogni mattina stavo studiando Teologia morale, in vista delle lezioni che riprenderò a seguire, quando si potrà, a Napoli, dai padri Gesuiti. Il cellulare è squillato, mentre sul display ho letto “numero anonimo”. Ho risposto e dopo pochi secondi di incertezza, quando ho capito che non era uno scherzo, ho iniziato a sudare freddo! Sono riuscito a dire solo «Santità…». Ma lo smarrimento, l’emozione, anche l’incredulità sono durate poco: Papa Francesco ha un dono incredibile ed è quello di mettere l’interlocutore a proprio agio. Del resto, non si è fatto annunciare da nessun segretario, tanto è vero che l’anonimato della telefonata mi aveva inizialmente mal disposto.

 

A poco a poco mi sono sciolto e anche se a ridirlo sembra strano, abbiamo cominciato a chiacchierare come se ci conoscessimo da sempre. La sua voce inconfondibile, difficile da imitare anche per uno come me, che già al liceo imitava prof e compagni, e le sue parole benevole mi hanno colpito: ha più volte ripetuto che voleva esprimermi la sua vicinanza, avendo appreso che ero a capo di una comunità di 1.000 anime, di cui molte anziane e in pericolo. E non è mancata anche una battuta che mi ha fatto ridere di gusto. Il Papa, scherzando sulla mia giovane età, ha detto: «Praticamente ti hanno ordinato sacerdote senza che tu ricevessi la prima comunione!». Quello che più mi ha toccato è stato lo spirito della telefonata: il Papa vuole ascoltare i preti che sono in prima linea, per i quali non ha nascosto la sua ammirazione. Al di là della situazione di eccezionalità dettata dalla pandemia, ho verificato con mano che tiene sinceramente alla vita delle persone, a incoraggiarle.

In una società che vive di apparenza, questa semplice ma sconvolgente verità – sono interessato a te, alla tua vita, alle tue emozioni – ha un potere rivoluzionario incredibile. Più volte ha ripetuto di avere a cuore tutti quei parroci che quotidianamente si spendono nella vita reale e che lui non tralascia mai di pregare per loro.

A telefonata conclusa, ho iniziato a ridere di gioia, di incredulità, da solo e ho sentito dentro me un’energia, una forza che avrei potuto raggiungere Santiago di Compostela e tornare, in giornata! Il bello però è stato comunicarlo al mio Vescovo. Immaginate com’è alzare il telefono e dire: «Monsignore, sono don Nicola… Mi ha appena telefonato il Papa»? È stato lui a suggerirmi di fare un comunicato per rivelare la bella notizia anche ai parrocchiani, che, come immaginavo, hanno appreso con la mia stessa gioia dell’interesse del Pontefice nei loro riguardi. Nel frattempo, mentre la situazione nella residenza per anziani va migliorando, in tanti mi chiamano per sapere i dettagli della telefonata. Un po’ temevo il “tritacarne mediatico”, ma poi ho pensato fosse giusto rivelare a tutti quanto il Santo Padre sappia essere vicino e affettuoso, proprio come un padre. Se mi sento un parroco con una marcia in più? No, assolutamente, ma sono ovviamente felice di aver avuto questa attenzione dal Pontefice. La telefonata, me ne rendo conto, crea clamore, ma calata nell’ordinarietà rivela tutto l’aspetto paterno del Santo Padre. Il quale, in fondo, ha confermato qualcosa che abbiamo sempre saputo: c’è bisogno di attenzione alla persona, indipendentemente dall’età, occorre prestare ascolto ai bisogni della gente, ascoltarla e incoraggiarla sempre. Non solo in tempi di pandemia.

 

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