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Cuore
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La storia più votata dalle lettrici racconta di un piccolo enigma, contenuto in un biglietto di tanti anni fa, un dolce segreto di gioventù che riaffiora

Il biglietto che Adriel mi scrisse tanti anni fa è un piccolo enigma e il segreto più dolce della mia gioventù. L’ho ritrovato per caso e per un attimo mi lascio andare ai rimpianti. Finché non capisco che questo messaggio oggi può servire a qualcun altro…

Storia di Elvira B. raccolta da Rosa Romano

 

Finalmente una giornata di pieno sole. Spalanco le finestre e la porta che dà sul terrazzo e lascio che la luce invada la casa, accarezzi i mobili, illumini gli angoli e impietosa danzi sulla polvere nascosta ovunque. Ed è proprio questa luce impolverata a darmi il coraggio di fare ciò che da mesi mi ripropongo di fare. Decluttering, ossia liberarmi di tutto ciò che non serve, per creare spazio e ordine in casa. Qualcuno dice che aiuta a far ordine anche nella vita. Non so quanto sia vero, certo è che una resistenza profonda mi blocca e mi impedisce di staccarmi da ciò che ormai non mi serve più. Incomincio dal guardaroba, dove ho vestiti e borse ormai maggiorenni. È un esercizio sfiancante, ogni capo che mi passa tra le mani sollecita ricordi, emozioni e a ognuno dedico un pensiero e un sorriso. È così anche per questo trench giallo uovo. Quanti anni ha, 25? Lo guardo, poi lo accarezzo, lo indosso e mi guardo allo specchio; infine metto le mani in tasca ed ecco che le mie dita incontrano un grumo, anzi no, è un pezzetto di carta accartocciato. Lo estraggo e lo srotolo.Ha una scritta, poche lettere strane e insignificanti, ma sufficienti a mandarmi il cuore in frantumi. Oma it: ricordo magico e insieme d’amore. Oma it, infatti, letto da destra verso sinistra diventa ti amo. Non oso dirlo, ma queste due parole, sono il segreto più dolce che custodisco della mia gioventù, mi fanno sentire il profumo di un amore che avrebbe potuto essere e non è stato.Era inverno inoltrato, io avevo da poco finita la scuola e da pochi mesi lavoravo presso un’importante multinazionale. Tutta presa dal mio nuovo lavoro e dal desiderio di diventare grande, non pensavo all’amore ma coltivavo qualche storiella senza importanza, finché arrivò lui, Adriel, per uno stage di qualche mese. Fu assegnato al mio ufficio, io lo accolsi con gioia e curiosità. Nonostante fosse nativo americano parlava molto bene l’italiano giacché aveva i nonni italiani e non fu difficile fare amicizia. Mi offrii di fargli conoscere Milano, la città dove entrambi lavoravamo. Adriel mi piaceva, era cameratesco, senza doppi sensi, molto diverso dai ragazzi che frequentavo e soprattutto aveva un forte senso di appartenenza verso la sua terra, la sua scuola e la sua storia, che gli invidiavo.Si affidò a me e io lo accompagnai in alcune scoperte. Il complesso di Sant’Ambrogio, la chiesa di San Maurizio, conosciuta anche come la cappella Sistina di Milano, il Castello Sforzesco, ma anche alcuni aperitivi a Brera e qualche serata sui Navigli.Lentamente me ne innamorai, ma non lo confessai neppure a me stessa. Sapevo che lui aveva una ragazza che lo aspettava oltreoceano e poi comunque non sarebbe rimasto in Italia. Il tempo passò in fretta, in un baleno arrivò il giorno del suo rientro. Era una mattina di sole, ricordo che salutò con un velato sorriso tutti i colleghi che gli erano stati vicini, poi venne da me e mi invitò a bere un caffè alla macchinetta. E lì, mentre il mio cuore già si preparava al lutto, mi consegnò un biglietto. Questo, che ora ho tra le mani, e mi disse: «Leggilo quando sarò in volo e se ti va scrivimi». Poi aggiunse: «Devi leggerlo alla rovescia, da destra verso sinistra». Mi baciò sulla guancia, mi strinse forte e aggiunse: «Ci conto scrivimi».

Lessi il biglietto quando era in volo, come mi aveva chiesto. ”Oma it” provai un tuffo al cuore; emozionata e rossa in viso mi dissi “gli scrivo stasera”. Ma non lo feci. Non sapevo come cominciare, come dirgli ciò che provavo. Rimandai diverse volte e alla fine rinunciai.

Sto ancora rievocando quei momenti, quando come un ciclone entra in stanza Ginevra, mia figlia, «Che c’è mamma? Piangi?» mi chiede.

«No, sarà un po’ di polvere, sto facendo ordine» rispondo, appoggiando il biglietto sulla cassettiera.

«Brava, fai bene, è roba che non metti più. E poi sono cose che non hanno cuore né sentimenti».

«Non è così, hanno anche loro una storia» rispondo, convinta che lei non può capire.

Ginevra, 18 anni compiuti, mi sorride, poi si siede sulla poltrona vicino alla cassettiera e cincischia, come quando vuole dirmi qualcosa e non sa da dove cominciare. «Forse hai ragione, ma io in questo momento…». Tace e si torce le mani. Mi avvicino e la guardo. È bella, dolce e sensibile, e tuttavia mi rendo conto che lei non si sente sicura. Sta vivendo con ansia la sua età, che pure è bellissima e sono certa un giorno rimpiangerà.

«Che c’è?» le chiedo, non aggiungo altro. Conoscendola, so che se cercassi di sapere di più si sentirebbe accerchiata e si chiuderebbe in un mutismo assoluto. E infatti sul momento tace, china il capo, poi lo solleva, si contorce le mani un’altra volta e infine parla: «È per Michele».

Michele è un suo compagno di infanzia, di scuole medie e di liceo. Sono amici da sempre, ma credo che lei provi qualcosa di più.

«Cosa ha fatto Michele?» le chiedo.

«Niente, è che deve partire. Ha vinto una borsa di studio in Canada».

«E lui?» chiedo, pentendomi subito dopo. Non vorrei interrompere le sue confidenze.

«Alla fine è contento» ammette.

Taccio. È come pensavo. Ginevra è innamorata di Michele, ma il ragazzo è in una situazione frenetica. Lì per lì mi verrebbe da dire ”Lascia perdere, bella come sei se solo lo vuoi, ne trovi mille meglio di lui”, però capisco che parlerei da mamma e che in fondo a Ginevra interessa Michele. Così cambio tono. Mi siedo sul bracciolo della poltrona e le accarezzo i capelli, dimenticandomi per un istante di essere sua madre. Sento che al mio fianco c’è una giovane donna che sta soffrendo le prime pene d’amore. Un po’ come era successo a me con Adriel. Io l’amavo, lui mi amava, ma ce lo confessammo troppo tardi e così perdemmo l’occasione di di vivere un sentimento che ci avrebbe arricchito. Anche solo per poco. «Perché non glielo dici?» le chiedo.

Lei mi guarda sorpresa. «Cosa gli dovrei dire?».

«Che sei innamorata di lui. Anzi guarda, non dirglielo, dagli questo» e le porgo il biglietto.

«Cos’è?» mi chiede Ginevra ancora più sorpresa, poi prende il biglietto, lo legge. «Che vuol dire?».

«Leggilo da destra verso sinistra» le dico.

Lei riguarda il biglietto e accenna un sorriso. «Ma tu mamma scrivi queste cose? A chi?».

Ora sono io che sorrido: «Prima di essere mamma, sono stata ragazza, e questo biglietto l’ho ricevuto».

Ginevra incuriosita mi chiede: «Hai avuto una storia così romantica?».

«Romantica e stupida, perché mi sono giocata l’occasione di amare». Poi con poche parole le racconto tutto.

Ora è lei che mi viene vicino e mi accarezza i capelli. «Che bella storia mamma» sussurra. «Peccato però, se voi vi foste amati…».

«Sì, sarebbe stato bellissimo, magari sarei andata in America, avrei vissuto in una fattoria nel Midwest, avrei avuto due marmocchi biondo cenere e sarei stata maestra nel fare i brownie, però…»

«Però?».

«Non avrei conosciuto tuo padre, non me ne sarei innamorata, non l’avrei sposato, non sarei stata felice con lui e tu non saresti nata. Ti va l’idea?».

Lei si alza in piedi e mi abbraccia. «No, mamma, va bene così». Ma non sembra convinta, c’è ancora qualcosa. Riprende il biglietto, lo rilegge e: «Però lo hai conservato?» osserva. «Perché?».

La guardo con tenerezza. Dovrei dirle che neppure io so perché, che l’ho ritrovato per caso, invece dico: «Per darlo a te. Perché tu possa giocartelo con Michele».

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