Perdere l’amore

Cuore
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“Perdere l’amore” di Mariella Loi, pubblicata sul n. 11 di Confidenze, è la storia più apprezzata della settimana. Ve la riproponiamo sul blog

 

Valerio e io ci eravamo scambiati una promessa: la nostra relazione non avrebbe fatto male alle nostre famiglie. L’ho rispettata fino all’ultimo. Col fiato sospeso e senza parole per il dolore

Storia vera di Graziella T. raccolta da Mariella Loi

 

Cercavo dei documenti che avevo messo via quando mi sono imbattuta in una scatola di vecchie foto che non ricordavo neanche più di avere. L’ho aperta, erano le foto di Valerio e anche se sono passati tanti anni, ho sentito una fitta al petto che mi ha costretta a sedermi. Ho bevuto un bicchiere d’acqua, indecisa se andare avanti o meno, poi mi sono fatta coraggio e ho cominciato a sfogliarle lentamente, con la delicatezza che si riserva alle cose preziose che il tempo non può più intaccare.

Era il 1990, avevo 34 anni e una separazione dolorosa in corso. Mio marito se n’era andato con un’altra e io, che avevo lasciato il lavoro, adesso mi ritrovavo con due bambine piccole da crescere da sola. Dopo il primo momento di smarrimento mi ero rimboccata le maniche e avevo trovato un impiego in un’agenzia assicurativa. Ero contenta di quel lavoro, avevo bisogno di punti di riferimento che mi restituissero serenità e equilibrio, la mia priorità era il benessere delle mie figlie, l’amore non rientrava nei miei piani.

“La vita è quella cosa che ti accade mentre sei intento a fare altri progetti” Anthony De Mello l’ha scritto in un libro, John Lennon quella frase l’ha messa anche in una canzone, ma in ogni modo che le cose vadano secondo i loro piani avrei dovuto saperlo, anche il mio matrimonio non ero stata io a decidere di romperlo, eppure questo non era certamente servito a scongiurarne la fine.

Del mio incontro con Valerio ricordo tutto, di quel giorno mi è rimasto impresso ogni singolo dettaglio, com’era vestito lui, quello che indossavo io, persino l’orario in cui fece capolino nel mio ufficio.

Era un lunedì mattina, stavo riordinando in archivio i fascicoli dei clienti, quando un uomo entrò in agenzia chiedendo al titolare se poteva spostare leggermente la sua macchina, in modo da poter parcheggiare meglio. I nostri occhi si incrociarono, lui mi sorrise e a me tanto bastò per sentirmi rimescolare. Nel ricordo le persone che abbiamo amato sono sempre bellissime, ma Valerio bello lo era veramente. Alto, snello, occhi verdi da gatto, capelli ricci leggermente brizzolati che gli conferivano un’eleganza senza tempo. Quella mattina indossava un completo grigio e una cravatta regimental portati con grande disinvoltura. Sembrava un gentiluomo inglese approdato nel nostro ufficio direttamente dalla City. Io al suo cospetto con la mia gonna a quadri scozzese e un maglioncino nero a collo alto sembravo una ragazzina. Scoprii presto che era l’ispettore della compagnia assicurativa, che veniva in ufficio tutte le settimane per le normali attività di controllo. Ci presentarono, gli strinsi la mano e il solo sapere che lo avrei rivisto a cadenze regolari mi regalò una leggera senazione di euforia che mi accompagnò per il resto della giornata. L’occasione per socializzare ce la fornì la pausa pranzo. Il titolare e sua moglie avevano l’abitudine di rientrare a casa per poter pranzare con i figli, così io e Valerio ci ritrovammo da soli in ufficio a mangiare un panino alla scrivania, scambiando due chiacchiere.

Parlare con lui mi veniva molto naturale anche perché esauriti i primi convenevoli, mi spiazzò con  disarmante simpatia. «Ok, adesso vuoti il sacco e mi racconti cos’è che non va. Avevi lo sguardo  triste stamattina, quando sono entrato nel tuo ufficio».

Quello era un periodo nero, ma non pensavo di essere così trasparente. Chissà come aveva fatto a capirlo? Per me che da troppo tempo non mi confidavo con nessuno, fu liberatorio potermi aprire con lui, come se non ci fossimo appena conosciuti ma fossimo amici di lunga data.

Iniziò così tra noi, due chiacchiere, un caffè al bar, due passi per strada alla sera quando ormai la giornata volgeva al termine. E fu una storia di grande tenerezza, amicizia, che mi portò allegria e calore nel momento in cui maggiormente ne avevo bisogno.

Valerio mi aveva detto da subito di essere sposato e di avere un bambino piccolo, ma questo non costituiva per me un problema. Ognuno aveva la propria strada da percorrere, non c’era spazio per progetti di sorta e questo non levò in alcun modo al nostro rapporto solidità e importanza. La nostra storia durò tre anni che furono decisivi per me, per migliorarmi sul lavoro e non solo, e in quel periodo il sostegno di Valerio mi fu di grande aiuto.

Poi ci fu quel brutto pomeriggio in cui mi disse che stava poco bene, aveva dolori dappertutto ed era preoccupato perché aveva come un brutto presentimento. Lo rassicurai dicendogli che non doveva allarmarsi per così poco, ma anch’io quel giorno nel vederlo avevo avuto una brutta sensazione.

Dopo qualche giorno di silenzio mi chiamò dall’ospedale: gli esami non lasciavano alcun dubbio, aveva la leucemia. Mi sentii svenire e prima ancora che riuscissi a dire qualcosa, lui aggiunse che il primario che lo aveva preso in cura gli aveva parlato di nuove terapie che lasciavano ben sperare.

 

Rimase in ospedale per sei mesi, senza che io potessi mai andare a trovarlo. La situazione non lo consentiva e non solo per l’ isolamento a cui fu sottoposto per la maggior parte del tempo, ma anche perché a un occhio attento non sarebbe sfuggito il legame speciale che ci univa.

Valerio aveva una moglie e un figlio e questo non l’ho mai dimenticato. Ci eravamo fatti una promessa io e lui, che il nostro rapporto nel far stare bene noi, non doveva far male a nessuno.

Durante la sua degenza ospedaliera continuammo a sentirci, mi chiamava ogni volta che poteva e le nostre telefonate erano sempre intrise di dolcezza e di allegria. Io gli raccontavo della mia vita fuori e lui mi raccontava delle giornate in ospedale, spesso facendo ironia sulla sua condizione di degente un po’ ammaccato. Era fatto così Valerio, sempre allegro e ottimista, capace di infondere coraggio agli altri anche nei momenti più bui.

Le cure all’avanguardia purtroppo non sortirono l’effetto desiderato e dopo alcuni tentativi infruttuosi si avviò la ricerca di un donatore per il trapianto di midollo. Non dovettero cercarlo a lungo perché a fare da donatore fu suo fratello. Il fratello più grande, amatissimo, che gli aveva fatto da padre quando erano rimasti orfani e lui era ancora piccolo.

Furono giorni di trepida attesa, durante i quali rimasi per tutto il tempo con il fiato sospeso, la speranza legata a un esile filo.

Poi una mattina è arrivata la telefonata che mai vorresti ricevere perché decreta che il tempo dell’attesa è finito.

Fu il fratello di Valerio a chiamarmi per dirmi che lui non ce l’aveva fatta. Era stato Valerio stesso a chiederglielo qualche giorno prima, dopo avergli parlato di noi.

Quella perdita fu un colpo terribile per me, resa ancora più difficile dal fatto che per tutto il tempo della sua malattia non avevo potuto stargli accanto fisicamente.

Tanto forte era il bisogno di salutarlo per l’ultima volta che presi la decisione di andare al suo funerale. Quanto pioveva quel giorno! Dovetti guidare per ore sotto la pioggia sferzante per arrivare sul luogo delle esequie alle quali assistetti un po’ in disparte e con grande compostezza.

E fu solo alla fine della cerimonia funebre che vidi la moglie di Valerio, visibilmente affranta nel suo dolore che non era diverso dal mio, solo che io non potevo permettermi di esternarlo. Accanto a lei un uomo che non avevo mai incontrato prima, ma la somiglianza non lasciava alcun dubbio su chi fosse. Ci guardammo tristemente, senza proferire una parola e il suo sguardo così simile a quello di Valerio fu per me come un’ultima carezza.

 

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