Sono tornata a risplendere

Cuore
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La storia più apprezzata del n. 50 affronta il tema dei disturbi del comportamento alimentare, nello specifico del binge-eating disorder, il disturbo da alimentazione incontrollata. Ve la riproponiamo sul blog

 

Oggi sono una modella curvy e, soprattutto, mi piaccio e sto bene con me stessa. Non è stato sempre così, prima ho attraversato un vero inferno. Ne sono uscita con il sorriso

STORIA VERA DI ELENA BERGAMINI RACCOLTA DA VINCENZA CASCIO

Il mio nome, Elena, deriva dal greco e significa “splendente, luminosa, solare”: i miei genitori non avrebbero potuto fare scelta migliore perché tutti quei significati mi appartengono realmente. Ma non sempre un nome è garanzia eterna di buon auspicio. Ho 39 anni, sono nata a Ferrara, ma vivo da sempre a Udine. Lavoro come barista, il mestiere più adatto per me perché mi consente di comunicare con le persone, sorridere, muovermi, parlare, ascoltare. Sono una donna estroversa, un po’ bizzarra e anticonvenzionale, “genialoide” come ama descrivermi una mia amica.

I miei genitori mi hanno desiderata tantissimo. Erano entrambi di una bellezza da copertina, in particolare mia madre, e tutti e due erano presi da lavori molto impegnativi che li costringevano a stare lontani da me. A malincuore, dunque, decisero di affidarmi dal lunedì al venerdì alle cure amorevoli dei miei nonni materni. Mamma e papà mi mancavano tantissimo, nonostante le lunghe telefonate che ogni giorno mi facevano, ma i miei meravigliosi nonni hanno saputo fare da ponte a quel vuoto forzato, facendomi crescere in un clima familiare pieno di amore. Sono stata una bambina amata e benvoluta dalla mia famiglia ma fin da piccola percepivo che mi mancava qualcosa a livello affettivo. Sarà stata l’assenza dei miei genitori, che oggi comprendo e giustifico, o la vita con i nonni: per quanto si occupassero di me con amore, erano anche loro impegnati e con una cultura, diciamo cosi, spartana.
Affogavo un senso di mancanza che ancora non comprendevo nella cosa più a portata di mano e semplice da raggiungere, il cibo. Mangiavo tanto e con gusto con il beneplacito dei miei nonni. «L’appetito è sintomo di ottima salute» dicevano. Crescevo portandomi dietro abitudini alimentari sbagliate, ma allora non si notava: ero una ragazza talmente attiva che bruciavo ogni caloria. Ero bella, formosa, esuberante. Però quando iniziai ad avere i primi approcci amorosi, ben presto mi resi conto che qualcosa non andava. Quando amavo ed ero riamata secondo il mio bisogno, le abbuffate cessavano, ma in compenso sentivo il bisogno disperato di “nutrirmi” della persona con cui stavo facendomi riempire di attenzioni. E ogni volta che finiva una storia, riprendevo con un’alimentazione compulsiva.

Decisi di chiedere aiuto alla mia famiglia: loro, increduli, non immaginavano nemmeno lontanamente l’inferno che stavo passando. Fui ricoverata in una clinica sul lago di Garda, specializzata in disordini alimentari. Lì conobbi diverse persone, uomini e donne, ognuna con la propria storia e con un disturbo diverso o simile al mio. Mi fu diagnosticato il “binge eating disorder”, uno scompenso alimentare grave. Letteralmente significa “disturbo da abbuffate”, fatte spesso in solitudine e a ogni ora del giorno e della notte; si perde il controllo delle proprie azioni e nascono sensi di colpa, malessere fisico e mentale, disturbi gastrici, malattie cardiocircolatorie, depressione e ansia. A differenza della bulimia, non c’è vomito, quindi si aumenta anche di peso.

Non esagero se dico che è un inferno: la tua volontà viene annullata dall’illusione che il cibo, solitamente quello non sano, possa lenire il tuo dolore e anestetizzare le sensazioni che vorresti zittire dentro di te. E in effetti lo fa davvero visto che la tua attenzione, almeno in quel momento, è concentrata su ciò che ingerisci. Succede sempre più spesso e dopo si sta male. Malissimo. Ma si tratta di un dolore che distrae da quelli che ti porti dentro e di cui vorresti liberarti. Pensi di non poterne più uscire: il tuo peso aumenta di giorno in giorno e le tue forze si dimezzano in poco tempo fino a quando lo specchio ti rimanda l’immagine di una persona che non riconosci più.

Mi sposai con un uomo buono, che mi amava davvero e che io ricambiavo. Ben presto però mi resi conto che le mie dinamiche malate mi portavano sempre in quel vicolo cieco che ben conoscevo, la dipendenza affettiva. Con dolore e in breve tempo, misi fine al nostro legame. Sentivo l’urgenza di vivere una vita normale, di accettare il mio corpo e me stessa per quello che ero cercando di migliorarlo nel tempo e con costanza. L’idea della perfezione non mi abbandonava mai. Associavo la magrezza alla bellezza, al benessere fisico e mentale, ispirandomi a modelli di perfezione fatua e impossibile.

Il ricovero in clinica produsse solo un beneficio temporaneo, così andai in terapia iniziando a prendere coscienza delle mie paure, delle fobie, del mio strano e tossico modo di amare. Ci volle molto tempo, ma una mattina mi svegliai e lo specchio del bagno mi rimandò due occhi distesi e un sorriso spontaneo. Era iniziato il processo di guarigione.

Mentre seguivo la psicoterapia andai da una dietologa e impostai una strategia alimentare e psicologica adatta per me. Nel tempo e con fatica, imparai a non farmi schiacciare dall’illusione. Le abbuffate non erano scomparse, ma diventavano via via meno frequenti e intense. Dimagrii qualche chilo e fu sempre lo specchio, questa volta intero, a rivelare che finalmente mi sentivo a mio agio in un vestito colorato, estivo. Ero abbondante, giunonica, eppure mi piacevo. È stato il momento decisivo per la mia guarigione: accettavo e addirittura amavo il mio corpo anche se non perfetto. Non avrei cambiato un millimetro della donna che ero.

Capii che nessuno al mondo avrebbe più avuto il controllo sulla mia vita.
Fu un percorso lungo, accompagnato da non poche cadute, ma la mia convinzione era l’arma più potente e avevo gli strumenti per fronteggiare ogni ostacolo.

Continuo a lavorare al bar e faccio la modella curvy piuttosto richiesta da fotografi e stilisti. Non nascondo più il mio corpo, anzi lo esalto e con esso la mia natura di donna libera, indipendente. Vivo seguendo l’istinto e i desideri e sperimento con la nuova me stessa la più straordinaria storia d’amore mai vissuta. Capitano ancora momenti di difficoltà, ma è tutto superabile, il mostro ha perso la guerra. E nessuno potrà rubare la mia preziosa e lucente voglia di vivere. ●

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