A spasso per l’universo

Cuore
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“A spasso per l’universo” di Roberta Mussato, pubblicata sul n. 13 di Confidenze, è la storia più apprezzata della settimana. Ve la riproponiamo sul blog

 

Nel mio viaggio in solitaria tra India e Nepal ho fatto un incontro magico che ricorderò sempre: quello con Peter. Le nostre anime, unite dalla stessa ricerca spirituale, si sono riconosciute e non si sono più lasciate

Storia vera di Roberta Mussato

 

Cammino per le strade di Thamel, una delle zone più turistiche di Kathmandu, e mi sembra di fluttuare in una strana dimensione. Ci sono così tanti colori e rumori che mi sento un po’ persa. Sono uscita da due giorni da un ritiro di meditazione Vipassana, che si è rivelato un’esperienza super intensa. Sono tornata alla civiltà piena di compassione e amore, ma anche molto carica di emotività. Dieci giorni a meditare per 12 ore al giorno, io che al massimo ascoltavo 20 minuti di meditazione su YouTube. Dieci giorni in cui era proibito parlare, leggere, scrivere, persino guardare negli occhi le altre 74 donne lì con me. Dieci giorni nei quali non dovevo fare altro che stare seduta e concentrarmi sulla respirazione, prima per focalizzarmi sulle sensazioni che ci sono sempre e ovunque, e poi per imparare a non reagire. Sono passata dalla curiosità iniziale allo scetticismo, alla disperazione, a chiedermi chi cavolo me l’avesse fatto fare, arrivando a dirmi: “Mai più!”. Poi, verso l’ottavo giorno, mi ha investita un treno di emozioni represse. Ho compreso che il mio corpo canta di mille vibrazioni sempre, se lo so ascoltare, e che siamo veramente fatti della stessa materia delle stelle. Insomma, sono uscita dal ritiro una donna più calma, piena di meraviglia, e con la convinzione che il mio Lui dovrà essere un tipo spirituale. Come se la lista dei requisiti che il mio Futuro Marito dovrà avere non fosse già abbastanza lunga!

Dopo tutto quel silenzio e vita monacale, pensavo che avrei avuto voglia di andare a ballare e divertirmi, invece mi sento strana, osservo tutto con un certo distacco. E quanto c’è da osservare, nelle strade di questa città così piena di vita e colori.

Davanti a me, un monaco tutto vestito d’arancione avanza a passo spedito e col pollice teso verso un uomo dietro di me, con barbetta e berretto verde militare. Un tipo, peraltro, molto carino. Più alto di me, magro, con short kaki e camicia a quadri. “Saranno amici”, penso, vista la determinazione con cui il monaco gli sta andando incontro. E invece Mister Barbetta gli ferma la mano, prima che il pollice del monaco gli stampi un marchio rosso sulla fronte, a mo’ di benedizione. Gli sorride e gli dice: «No, thanks».

Trovo la scena divertente. Da quanti santoni e benedizioni gratuite ci si deve difendere in Asia, dove poi così gratuite non lo sono proprio.

«Uno stile di benedizione un po’ aggressivo, quel monaco?» gli dico.

«Già, perché era una falsa benedizione. Tu che fai qui, sorella?».

E come per magia, una magia che si rinnova ogni giorno quando sei in viaggio – e che ho sperimentato quotidianamente nei miei 80 giorni da girovaga solitaria con zaino in spalla per Sri Lanka, India e Nepal – cominciamo a parlare con una facilità estrema. Gli dico di essere appena uscita da un ritiro Vipassana, e lui dice di averne fatti due, ma che ormai è a un livello superiore. Medita da 20 anni, e comincia a parlarmi di altri tipi di meditazione buddista che dovrei provare. «Ho visto uno scorcio del mondo invisibile, e sono pronto a giocarmi la vita per poterci avere accesso».

 

Le sue parole mi colpiscono. Comincia a riversarmi addosso un sacco di nozioni che per me sono arabo. Ho appena cominciato il mio cammino spirituale, lui invece è avantissimo.

Si mette a piovere. Ci spostiamo sotto la tenda di un baretto lì vicino e mi offre una sigaretta. È chiaro che la nostra conversazione ci sta piacendo. E mi sta piacendo lui, che si accende di rughe attorno agli occhi azzurri quando sorride. Anche la sua grossa cicatrice bluastra che gli va da metà fronte all’occhio sinistro non mi dispiace, e mi rende anzi curiosa di sapere che storia ci sia dietro. Sorrido di questi miei pensieri poco spirituali, mentre la pioggia aumenta e lui mi chiede se mi va di andare da qualche parte a prendere un caffè, dove però si possa anche fumare.

«Il mio ostello è proprio qui dietro e ha una terrazza coperta» propongo.

Tra un cappuccino e una sigaretta scopro che si chiama Peter, ha 47 anni, è nato a Plymouth e da cinque anni insegna inglese in Vietnam e Cambogia. Mi dice che è un ex eroinomane e che si è procurato quella brutta cicatrice con un incidente in moto. Proprio quando comincio a pensare che questo Peter è molto interessante, ed è forse il dono di Dio che starei aspettando da più o meno 40 anni, mi svela che quello è il suo ultimo giorno in mezzo alla civiltà. Peter è un “rinunciante”. Domani si unirà a un gruppo di pellegrini per arrivare a un tempio sperduto tra le montagne dell’Annapurna, e lì spera di trovare una grotta dove andrà a vivere da solo, a meditare.

Ecco. La mia solita grande, immensa fortuna. Non faccio trapelare nulla di tutti questi miei pensieri, ma dentro me rido perché la mia vita sembra una successione di incontri magici che non finiscono mai come desidero. Eppure, in dieci giorni seduta a meditare, avrei dovuto imparare la lezione: tutto il nostro dolore deriva dagli attaccamenti e dalle aspettative. E quindi, Roby, goditi questo momento, perché ora, al mondo, ci siete solo tu e Peter che state avendo una conversazione stupenda. Il domani non esiste. Resta nel presente. Osserva la realtà per quello che è.

«Ma come fai a rinunciare a tutti i beni di questo mondo? Gli amici, la musica, il cibo, i piaceri corporali?». Mi dice che per lui le gioie di questo mondo non sono nulla in confronto a quello che può ottenere meditando. E posso capirlo, in piccolo. Io stessa, che prima del ritiro Vipassana non avevo praticamente mai meditato, ho scoperto un’infinità di sensazioni dentro di me. Ho scoperto la forza della mente, e sentivo di stare usando parti nuove del mio cervello.

Nel ritiro ho cominciato a ritenere possibile la reincarnazione e l’autocombustione, tanto nuove sono state le sensazioni e le visioni avute. Se mediti da 20 anni, come Peter, chissà cosa hai scoperto di te e di questo mondo che ci circonda. Però, una grotta lontana da tutto e tutti mi sembra comunque eccessiva.

«Non è un po’ da misantropi ed egoisti?» gli chiedo all’improvviso. «Per me lo scopo della vita è amare e aiutare gli altri. Che senso ha starsene lontano dal mondo? Chi ne beneficia?».

Peter si toglie il berretto e si accarezza la testa, quasi pelata, con i capelli cortissimi. Proprio quelle teste che mi piace accarezzare piano, dove a loro volta i capelli corti corti mi solleticano le dita. «Sai, ogni gennaio i monaci tibetani si riuniscono e per dieci giorni meditano per la pace nel mondo, e poi affidano le loro preghiere all’Universo. Ci pensa l’Universo a distribuire tutta quell’energia positiva dove serve. Ti sembrerà incredibile, ma ti assicuro che senza quei dieci giorni di meditazione ci sarebbe molta più sofferenza nel mondo» mi spiega lui.

Stempero un po’ la nostra conversazione super spirituale, facendo parallelismi con Harry Potter e il dualismo bene/male. Scherziamo, ridiamo, saltiamo da Buddha a Rocky Balboa.

Intanto ha smesso di piovere. «Che programmi hai?» mi chiede, e gli dico che se non avesse piovuto, sarei andata a vedere il “Garden of Dreams”, un parco lì vicino.

«Let’s go then». Andiamoci. E così ci avviamo al parco.

 

In realtà è più un grande giardino, con tanti fiori, statue e fontane. E nello spazio curato ma limitato di questo giardino, Peter mi fa volare da un universo all’altro. Mi parla di ayahuasca (la pianta sacra degli sciamani che ha poteri allucinogeni, ndr) di tutte le sostanze psichedeliche che ha provato, di come si sia liberato dalla schiavitù dell’eroina. Questa conversazione mi sembra lontana anni luce da quella che ho con i miei amici in Italia, o con quelli di Londra, città dove vivo da 12 anni. Di solito parliamo di lavoro, uomini, spettacoli, amici in comune, viaggi… Argomenti che adesso mi sembrano quasi noiosi. Più lui mi parla di universi paralleli, spiriti ed energia, più sento aprirsi in me un bisogno di profondità che il mio Lui futuro dovrà sapere soddisfare e condividere.

Ha una bella voce calda, Peter, camminiamo da un fiore all’altro, e mi sembra bellissimo che un uomo abbia la sensibilità di apprezzarli così tanto. «I gigli sono stupendi. Se ne stanno lì, eretti, come a dire:  io sono così, è un problema tuo, uomo, se non sai reggere tutto questo splendore» mi dice.

Ripenso a quegli uomini che in passato mi hanno detto che ero troppo per loro. Troppo onesta, troppo intensa, o che davo troppo, e troppo velocemente. Mi ci sono voluti anni per concludere che il problema non sono io, che do troppo. Il problema sono loro, che non sono pronti a ricevere.

Peter sembra avermi capita, senza che io abbia detto molto. In effetti, è più lui che parla. Io ascolto e mi faccio trasportare.

È una serata magica. Proprio quando penso che questo incontro me lo ricorderò a vita, e che non può migliorare, ecco che l’Universo mi fa un altro dono, inviandomi la luna piena. Le luci nel giardino si accendono a illuminare i vialetti, i fiori sprigionano le loro promesse profumate, e mi si affaccia un pensiero. Chissà come bacia, Peter.

Sarebbe il coronamento perfetto di questo pomeriggio a sorpresa. Eppure una parte di me, quella che si è allenata nel ritiro Vipassana, richiama all’attenzione la parte che vuole sempre di più, quella che non è mai contenta. Questo incontro con Peter è già perfetto così Stiamo parlando da sei ore ormai, due anime che si sono trovate precisamente nel momento giusto, e che si stanno raccontando senza remore o paure. «Hai fame?» mi chiede, passandosi la mano in testa e rimettendosi poi il berretto.

«Oh, yes». Lo porto in un posto libanese dove ho mangiato le ultime due sere e ci sediamo a terra, gambe incrociate sui cuscini. Falafel per me, torta alle zucchine per lui, e ci regaliamo pure un sidro. In fin dei conti è una serata da festeggiare. La sua ultima nella civiltà.

Peter mi parla della sua famiglia, di suo padre che ora soffre di demenza, dei suoi fratelli, due soldati che però ora hanno cambiato strada e di sua madre,che a forza di prendersi cura del padre si sta trasformando in una persona chiusa ed egoista come lui. Mi dice che nessuno l’ha aiutato quando era nel fondo più nero, cercando di annullarsi con l’eroina. «Ma sono contento, sai? Ho scelto io di nascere in questa famiglia, dovevano insegnarmi delle lezioni che oggi mi hanno reso l’uomo che sono».

Ogni cosa che dice Peter risuona in me. Che visione del mondo che ha, per me così originale e nuova. Parlo anch’io della mia famiglia, della mia vita a Londra, del mio desiderio di maternità finora non appagato, delle delusioni sentimentali collezionate, ma che non mi hanno tolto la speranza nell’amore, e di come questi tre mesi di viaggio mi abbiano fatto capire che ho molte più risorse di quante pensassi. E che non ho bisogno di nessuno per stare bene. Certo, vorrei trovare un compagno, ma ho già tutto l’amore che basta dentro di me. Sono in viaggio da tre mesi da sola, e sto così bene. Peter mi parla delle sue ex, di come si raggiunga un altro livello quando si fa l’amore con qualcuno che è sullo stesso piano spirituale. E con queste immagini di sesso in testa comincio a pensare a come sarebbe bello lasciarlo partire verso la sua grotta dopo averlo abbracciato e amato tutta la notte. Sarei capace di proporglielo. Ma poi, di nuovo, mi viene in mente la lezione Vipassana: niente attaccamenti. Qualcosa devo pur avere imparato da tutta quella meditazione.

Respiro, e mi riporto al momento.

 

Usciamo, mi accompagna fino al mio ostello. Fumiamo un’ultima sigaretta. Attorno a noi, il solito via vai di persone.

«Roby, sei intelligente, sei bella, hai un corpo forte e un cuore grande. Sei speciale. Non abbassarti mai per un partner. Mai. Non sei tu che devi ridurti al loro livello, ma loro che devono innalzarsi al tuo». Parole che mi vanno dritte al cuore, parole che ci ho messo anni a imparare a dirmi.

Ci abbracciamo forte e a lungo. Due baci sulle guance. Uno sguardo che dice tante cose.

«Se dovessi stancarti della grotta e tornare in questo mondo, cercami su Facebook, ho un nick che si ricorda facilmente» gli dico.

«Tranquilla. Ti ricorderò per sempre. Ricorderò per sempre questo incontro», mi risponde lui.

E se ne va, divenendo presto uno dei tanti che si accalcano nelle strade di Thamel.

Gli credo, perché il nostro è stato uno di quegli incontri magici che profumano un’anima per sempre. Otto ore insieme uscite dal nulla, ma che mi hanno dato molto più di mesi di conoscenza di altre persone.

Sono passati tre mesi da allora, e quando la sera rientro nella mia casa di Londra, e il cielo è abbastanza limpido da vedere le stelle, penso a Peter. So che anche lui, dalla sua grotta, guardando ,quelle stesse stelle, ogni tanto mi pensa. Sorrido, gli rivolgo dei pensieri amorevoli e gli mando le mie vibrazioni positive. Nel mio cuore sento che lui mi manda le sue.

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