storia vera di Simona C. raccolta da Greta Bienati
Il custode non mi ha nemmeno sentito, e si allontana brontolando tra sé che il morto giace e il vivo si dà pace. Con un gesto istintivo, spolvero la foto della lapide, e lo sguardo della donna sembra farsi più vivo e intenso. Al punto che mi viene spontaneo rivolgermi a lei: «Certo che sei morta giovane» mormoro leggendo le date. «Neanche 30 anni». Cerco di immaginarmi il marito, con i baffi e la brillantina, come si usava all’epoca, e i bambini, costretti a crescere senza mamma. O, forse, come nelle fiabe, con una matrigna che non li amava. Esito un istante, poi tolgo un crisantemo da quelli che ho portato per mio padre. Levo i vecchi fiori di stoffa dal vasetto, ma subito li rimetto al loro posto: «Questi te li ha portati di sicuro qualcuno che ti voleva bene» rifletto, e decido di mettere il mio crisantemo in mezzo alle rose a brandelli, perché dia loro un po’ di vita e di colore. Lo sguardo triste di Rosaura non mi abbandona nemmeno fuori dal cimitero, tanto che mi ritrovo a parlarne con la mia amica Cecilia. «Non so perché, ma l’idea che tolgano quella tomba mi mette addosso un senso di desolazione» le dico. «E poi quei fiori, dimenticati lì da chissà quanto tempo…».
Cecilia mescola il suo caffè e alza le spalle: «Si vede che, alla fine, marito e figli si sono consolati, e nessuno è più andato a trovarla al cimitero».
La dura ipotesi di Cecilia mi fa male al cuore. «O forse non c’è più nessuno» mormoro. «I figli sono morti, nipoti non ce ne sono, e adesso sparirà anche lei, inghiottita dall’ossario comune». Il mio tono è così commosso e partecipe, che Cecilia abbandona la sua maschera cinica.
«Se vuoi, possiamo fare una ricerca all’anagrafe. Mio cognato lavora lì: dammi tutti i dati, e vediamo cosa troviamo».
Meno di una settimana dopo, Cecilia arriva trionfante con un foglietto scritto fitto fitto. Rosaura M. nata a Padova il 10 ottobre 1912, recita il foglietto, sposata a Mariano F., madre di quattro figli, morta il 26 aprile 1939 per febbre puerperale. Seguono i nomi dei tre figli maschi, due dei quali già defunti, e dell’unica figlia femmina, venuta al mondo quando la madre è morta. «Dei due ancora vivi ha trovato anche l’indirizzo» aggiunge. Il figlio maggiore, Taddeo, è ricoverato in una casa di riposo, mentre la figlia più piccola, Olimpia, che ha più di 85 anni, vive col marito in una città poco lontana. «Vuoi andare a cercarli?» chiede Cecilia.
«Sono molto anziani» annuisco. «Forse non possono andare al cimitero a trovare la madre. Ma si dispiacerebbero comunque se la tomba venisse tolta. Vorrei almeno avvisarli».
Due giorni dopo, mi presento alla casa di riposo. «Cerco il signor Taddeo F.» spiego all’ingresso, e mi indicano un signore un po’ curvo, seduto su una panchina all’ombra di una grande magnolia. Mi avvicino con il mio sorriso più gentile e, mentre mi presento, mi sembra di riconoscere le stesse sopracciglia scure della fotografia. «Sono qui per la tomba di sua madre» comincio. Il signor Taddeo mi ascolta con la fronte aggrottata, appoggiandosi con tutte e due le mani al suo bastone e fissandomi con uno sguardo triste e serio, identico a quello di Rosaura. Alle mie parole fa seguire un lungo silenzio. Così lungo da farmi sentire a disagio.
Sempre senza una parola, Taddeo si alza, muove pochi passi voltandomi le spalle e, finalmente, parla: «Quando è morta mia madre, avevo sette anni» dice. «Mi ricordo come fosse adesso la prima volta che siamo andati a trovarla al cimitero. Eravamo io, mio padre, mia nonna e i miei fratelli. Ho visto la foto sulla tomba e mi ha fatto paura: era così seria, e così triste, proprio lei che rideva sempre! Solo lì ho capito che mia mamma non c’era più. E c’era solo la fotografia, una fotografia in cui non avrebbe riso più». Fa una lunga pausa, cercandosi un fazzoletto in tasca. «È stata la prima e l’ultima volta che sono andato a trovarla al cimitero». Si volta verso di me, con gli occhi rossi del bambino di allora: «Non ho mai più voluto vederla quella foto lì» scuote la testa. «Ho così pochi ricordi della mia mamma da viva, che non voglio mescolarli a una foto che non c’entrava niente con lei».
Anche io sono commossa, e balbetto le mie scuse per aver risvegliato dei ricordi dolorosi.
«Non deve scusarsi» sorride lui, stringendomi le mani. «Era tanto che non pensavo più a mia mamma. Oggi mi farà compagnia per tutto il giorno, con la sua bella risata, le canzoni che ci cantava, e il profumo di rosa che usava ogni tanto».
Ancora emozionata per l’incontro con Taddeo, vado a trovare sua sorella Olimpia, che mi riceve con tanto di tè e torta fatta in casa. «Mio fratello mi ha detto della tomba» dice vivacemente. «Ma anch’io non ci tengo tanto a quella lapide…». Si versa il tè con un sospiro. «Un giorno, avrò avuto quattro anni, io e mio fratello Aldo litigavamo per una palla. La mia matrigna è arrivata a mettere pace e gli ha detto di lasciarla a me, perché ero più piccola. Mio fratello si è messo a urlare forte, con la faccia tutta rossa per la rabbia: “È colpa tua se la mamma è morta!” mi ha gridato. “E adesso al suo posto c’è questa qui”». Mi guarda con un sorriso: «Frasi da bambino, mica lo pensava davvero. Ma a me la cosa è rimasta addosso al punto che non ho mai più voluto andare al cimitero». Mi serve un’altra fetta di torta. «Chissa… Forse è anche per quello che sono finita a fare l’ostetrica. Ho fatto nascere più di mille bambini, sa? E mai una complicazione: tutti sani!».
«Avete avuto una matrigna?» chiedo.
«Sì, e mio papà brontolava sempre che ci viziava troppo» ride Olimpia. «Era tutta regali e carezze». Poi mi fa promettere che tornerò a trovarla. Per la tomba, però, mi devo rassegnare: nemmeno a lei interessa.
Sulla via del ritorno, mi fermo al cimitero. «Li ho trovati, sai?» racconto alla foto sulla lapide. «Nessuno ti aveva dimenticato». Ma sono sicura che Rosaura lo sapeva già: ha vegliato dal cielo sui suoi piccoli attraverso una matrigna affettuosa che li ha coccolati come avrebbe fatto lei. E forse ha vegliato anche sui parti a cui ha assistito Olimpia, perché non ci fossero altri orfani come i suoi figli. Dietro lo sguardo triste e serio, adesso mi sembra di indovinare le risate, le canzoni e il profumo di rosa di cui ha parlato Taddeo.
Sepoltura in scadenza, dice il cartoncino. Lo stacco con un gesto deciso: «La rinnovo io» prometto a Rosaura. «Così, se un giorno ci ripenseranno, non troveranno un loculo vuoto». E, d’ora in poi, accanto alle vecchie rose di stoffa, non farò mai mancare un fiore fresco. Sono sicura che le farà piacere.●
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo pubblicato su Confidenze n. 44 2025


											













