«Tu sei bellissima. Sei perfetta»

Cuore
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Trattengo le lacrime. Era tutta la vita che aspettavo che qualcuno mi dicesse esattamente queste parole. Credo che sarà un bellissimo Natale

Storia vera di Gabriella raccolta da Giovanna Sica

Alfonso mi ha invitata a Salerno per Natale. Veramente sono almeno cinque anni che mi chiede di venire a vedere le “Luci d’Artista” della sua città. E io che arrivo dal lontano nord della Penisola, strabuzzo gli occhi prima ancora che per le luminarie, per l’aria dolce, l’odore di mare. Alfonso lo conobbi a Bergamo, vent’anni fa. Insegnanti, tutti e due. Presso la stessa scuola. Sapevo di piacergli, mi guardava con certi occhi. Ma lui era un uomo onesto e io una donna sposata. Non si sarebbe mai permesso. Poi io feci domanda per la scuola media sotto casa mia, e lui tornò qui. Nel frattempo, io mi sono separata e lui non si è mai sposato. Non abbiamo mai smesso di scriverci, ma son vent’anni che non ci vediamo. Io vivo con mia madre e lui fino a otto mesi fa si occupava del padre. Per concedermi questa vacanzina ho chiesto il favore a mia sorella di tenersi mamma per qualche giorno.

Ed eccomi qua. Quasi sessant’anni sulle spalle, a fare questa pazzia. Eppure, non mi sento ridicola. O forse sì. Ma chi l’ha deciso che questa parola ha solo un’accezione negativa? Alfonso è identico a come lo ricordavo, solo un po’ più grigio. Non era bello a Bergamo e non lo è diventato invecchiando. Però ha la capacità di farmi stare bene. E non è mica poco, considerando che ho avuto a fianco, a lungo, un uomo che mi trattava come una stupida.«Manco un figlio sei buona a fare» mi sputò addosso mio marito, quando passarono gli anni e non restai incinta. Quale risposta avvelenata avrei dovuto servirgli io, quando scoprimmo che era lui quello sterile fra noi due? Non dissi proprio nulla. Andai dall’avvocato e chiesi il divorzio. E non perché mio marito non poteva farmi diventare madre. Che poi, certo, quanto mi è dispiaciuto non averlo avuto, un figlio. Ma la vita è tutta una questione di tempi. Le persone vincenti li azzeccano tutti. Noialtri invece ci ingarbugliamo con le paure, le debolezze, i sensi di colpa. E quando ne veniamo fuori, è sempre troppo tardi. Come oggi, forse. Che sono qui a giocare ai fidanzatini con un uomo che non vedevo da vent’anni. Con i ragazzi che si girano e ridono di noi, delle nostre effusioni in pubblico, fosse anche solo tenersi per mano, appoggiarsi l’uno all’altra con la scusa che si può cadere sui sampietrini.

Il Lungomare Trieste è tutto uno scintillare di bancarelle luminose. In ogni casetta si può assaggiare qualche squisitezza. Il miele. Il formaggio. Il miele sul formaggio. Il professore di lettere mi compra le caldarroste. Non riusciamo a tenerle in mano per quanto scottano. E ridiamo. Ma non per le castagne, anche se facciamo finta che sia per quello. Ridiamo per la contentezza di questo momento. Perché siamo parte di questa festa di luci.

Insieme. Noi due. Quelli che sono vent’anni che si scrivono. Quelli che sono vent’anni che vogliono darsi un bacio. E so pure che se non prendo il coraggio a due mani e mi faccio avanti, quest’uomo timido e rispettoso non si deciderà neanche oggi che ho attraversato l’Italia per stare con lui. E allora ci provo, non l’ho mai fatto in vita mia, non so come si piglia l’iniziativa con un maschio, però, lo stesso, voglio provarci. Gli do il braccio, e stavolta non siamo nemmeno sui sampietrini. Quando ci sediamo su una panchina, mi accoccolo a lui, butto la faccia nel suo giubbino. Sa di dopobarba, lo stesso che usava mio padre, quello che oggi nessuno mette più. Ma Alfonso, l’ho detto, è un uomo d’altri tempi. Vorrei tirare su la faccia. Non so cosa mi aspetta. Vorrei fosse lui a cercare la mia bocca. Sento che non lo farà, anzi si è fatto ancora più rigido; mi viene il sospetto che il mio collega non l’ha tenuta mai una donna fra le braccia, oppure che è passato tanto di quel tempo che non si ricorda più come si fa. E poi la sento. La sua mano che mi accarezza i capelli. Accompagna con cura ogni riccio. Infila le dita dentro questi fili castani che la tintura non riesce mai a rendermi della sfumatura che vorrei. Un movimento impercettibile mi invita a tirare su il viso. È molto debole, non ha niente del richiamo forte della passione che raccontano i libri d’amore. Ma io lo sento e mi basta. Mi dà il coraggio di offrirgli le labbra. Un bacio inaspettatamente bello. Non me ne importa più niente dei sorrisini degli adolescenti che passano. Ma chi vi conosce, ragazzi miei! Avrei potuto avere un figlio della vostra età, ma non è così che è andata. È andata che mi sono presa poco dalla vita. Che sono stata la sposa devota di uno stronzo.

E una volta uscita da quel disastro, sono tornata a vivere con mia madre, che è una brava donna, ma la vecchiaia, gli acciacchi, l’hanno resa egoista. Per lei è normale che le dedichi tutto il mio tempo. Anche per mia sorella. Perché lei ha marito e figli e allora è ovvio che sia io a occuparmi della mamma. Mica mi hanno detto: «Va’ Gabriella, prenditi qualche giorno buono, respira l’aria di mare, goditi le luminarie di Salerno che poi ce le racconti». No, solo musi lunghi. Che in altre occasioni mi avrebbe fatto desistere. Ma stavolta no. Perché succederà, senza che io me ne accorga, che passeranno veloci gli anni e diventerò vecchia come mia madre e io non ce l’ho nemmeno una figlia che si prenderà cura di me. E allora me ne sto qui. Dentro questo bacio. Quando riapro gli occhi Alfonso mi invita a guardare i pinguini sugli scogli di fronte a noi. I pinguini, quaggiù. Allora davvero qualcosa di bello può ancora succedere, anche nella mia vita. Questi pinguini, come me, non dovrebbero essere qui. Sono finti, certo, ma che importa? Io sono vera. I miei sentimenti sono veri. E pure quelli di Alfonso.

Il mio accompagnatore mi mette in mano una sfogliatella. «Sono già abbastanza grassa» esclamo. Lui fa la faccia sorpresa, la stessa di un bambino che non può credere alle sue orecchie, e mi dice: «Gabriella, tu sei bellissima. Tu sei perfetta». Trattengo le lacrime, non voglio confonderlo. Era tutta la vita che aspettavo che qualcuno mi dicesse esattamente queste parole. E ora sono sicura che stasera, quando indosserò quella camicia da notte che neanche volevo mettere in valigia, non mi vergognerò dei miei fianchi grossi.

Mi sa che domani dico a mia sorella che non salgo su per Natale. Che per una volta non ci va a sciare. Oppure si porta la mamma in montagna. Ho appena deciso che resterò qui per tutto il tempo che la scuola rimarrà chiusa. Sento che sta per arrivare un Natale bellissimo.

 

Pubblicata su Confidenze 52/2015

Foto: Istock

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