In tutto c’è stata bellezza di Manuel Vilas

Cuore
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Se avete voglia di calarvi dentro voi stessi per un viaggio al limite della sopravvivenza, questo è un grande atlante, una forma di odissea

“Come è risaputo, ciò di cui siamo testimoni da bambini determina la nostra vita successiva. Tuttavia, e questo è il mio contributo, non lo fa per un motivo sociologico o politico, bensì per un’atavica decantazione del sangue; e nel mio caso, lo fa a partire dalla scienza pesante della benedizione del nostro destino, perché avere un destino è una benedizione. La maggior parte degli uomini non ha un destino. Ed è affascinante che il passato plasmi un destino nei vuoti meccanici della mia respirazione. Perché la maggioranza degli uomini e delle donne non ha storia. Ha avuto vite senza storia. E anche questo è bello. E dopotutto il pianeta Terra è un cimitero di milioni di esseri umani che sono stati qui e sono privi di storia, e se sei privo di storia, allora bisogna chiedersi se sei mai stato vivo. Si mettono in ordine le stagioni e i decenni, si mettono in ordine la mano e il dente guasto, si disordinano i resti ossei degli impiccati e alla fine bisogna pensare soltanto alla detestabilità di Dio. Un Dio detestabile e dalla cui noia è sorta l’odissea dell’uomo. Un figlio non deve assistere al momento in cui sua madre si trasforma in una bambina piccola. Mia madre che, quando arrivavano i temporali, si chiudeva nella dispensa della cucina. Mia madre, terrorizzata dai temporali. Aprivi la dispensa della cucina, che sembrava una bara, e ci trovavi mia madre. Se c’è un temporale, dov’è mia madre? Mia madre scompariva. Mia madre fuggiva dal mondo quando al mondo arrivavano i tuoni e i fulmini e la pioggia forte. Si nascondeva nella dispensa della cucina, e questa è stata la sua giovinezza: fuggire dai temporali”.

Da molto non leggo più letteratura di autori di lingua spagnola o sudamericana. Non amo tutta la confusione di colori e di alte temperature che creano atmosfere umide, pesanti, sudate, non puntuali. Un tempo tutto quello che proveniva dal sud del mondo mi affascinava, lo trovavo verace, sensuale, passionale. Poi mi è arrivata come una intolleranza intellettuale, simile a quelle da cibo: mi si gonfiano i neuroni, mi viene la ritenzione idrica all’attenzione, avverto una nausea agli occhi. Qualche eccezione: Claudia Pineiro e Martha Medeiros. Poi mi sono imbattuta in questo caso editoriale. Copertina orrenda, anche se richiama il colore che fa da leitmotiv all’intera stesura, il colore del dolore, il giallo. Nella versione originale il titolo è spartano, Ordesa, luogo nel nord della Spagna e stato mentale. In Italia è stato intitolato in modo strepitoso, e proprio il titolo mi ha catturata, emozionata, fatto sentire le ginocchia cedere: In tutto c’è stata bellezza.

Vilas ha raccontato la sua storia, quella della sua famiglia, del suo paese e dei suoi luoghi d’approdo e di fuga. Ha raccontato suo padre e sua madre, i suoi nonni. I suoi amori, quelli dal sapore assoluto e quelli maturi, che imparano a essere meno immensi e più reali.

È uno scritto tremendo, fortissimo, dieci schiaffi almeno in ogni pagina; è un libro dell’orrore che al confronto King scrive romanzetti rosa confetto sbiadito. 409 pagine di ricordi, di rimpianti, di silenzi, di rarefazione di PPP (poesia peso piombo), elettrocardiogramma sotto sforzo. L’ho letto molti mesi fa, non volevo consigliarlo, non volevo. Non sono gelosa delle mie felicità ma delle mie tristezze sì. Qui ho (ri)trovato tutte le mie lacrime nascoste, le mie paure, le mie rassegnazioni solitarie.

Se avete voglia di calarvi dentro voi stessi per un viaggio al limite della sopravvivenza, questo è un grande atlante, una forma di odissea, una grande bibbia.

“Siamo volgari, e chi non riconosce la propria volgarità è ancor più volgare. Il riconoscimento della volgarità è il primo gesto di emancipazione in direzione di ciò che è straordinario”.

 

Manuel Vilas, In tutto c’è stata bellezza, Guanda

Confidenze