In ogni viaggio c’è un filo rosso che guida i tuoi passi e i tuoi pensieri. In Armenia il filo rosso profuma d’incenso, di candele di cera d’api purissima, di pietre grigie o rosse, di iscrizioni e di volte altissime che custodiscono dal 300 d.C. la fede delle origini. Il tour in questa terra grande come la Sicilia, stretta tra Georgia, Azerbaijan, Turchia e Iran, ha il calore di un pellegrinaggio tra monasteri arcaici. Il mare qui non c’è mai stato, ma il grande Lago Sevan (e il Parco Nazionale che ne è il corollario) fa da secoli le sue veci per bellezza e soddisfazione balneare di gente cresciuta nella natura transcaucasica. Vale a dire in mezzo a rocce, altipiani, boschi, colline, steppe, canyon, cascate e vallate tra cime quasi sempre oltre i 1.500 m d’altitudine. Bisogna acclimatarsi, perché la testa non giri alla prima salita. E avere pazienza nel comprendere le differenze di credo davanti agli altari quasi spogli incontrati ovunque, dalla regione del Katayk al Sunik.
Patrimoni UnescoCon la vocazione spirituale gli armeni hanno fatto i conti da sempre. Primo Paese cristiano al mondo (dal 301 d. C.), gli abitanti sono apostolici perché seguaci degli apostoli Taddeo e Bartolomeo, giunti qui a divulgare il verbo di Cristo. È iniziata così la diffusione di chiese, monasteri e cappelle, che ha toccato il culmine del Medioevo. Oggi il Paese conta poco più di tre milioni di persone, una storia che ha alternato, solo nell’ultimo secolo, un genocidio terribile, la diaspora, le oppressioni sovietiche e più sottili tragedie politiche con il vicino Azerbaijan. E una capitale dove si concentra più della metà della popolazione: Yerevan. Raccontare un passato tanto travagliato in poche righe sarebbe presunzione, ma possiamo entrare nell’intimità della chiesa del popolo armeno, costretto a tacere per decenni la propria grandezza. A Geghard, la specialità del gigantesco complesso scolpito in parte nella roccia della Valle dell’Azat è stata riconosciuta dall’Unesco e iscritta nel Patrimonio Mondiale dal 2000. Il luogo, immerso nel verde, fu costruito nel IV secolo da San Gregorio Illuminatore nei pressi di una grotta sacra. Conserva tombe, mura difensive, celle, cappelle e numerose stele con croci scavate nella pietra (khachkar). La kathoghikè (chiesa principale) ha la forma di una croce a bracci inscritta in un quadrato, tipica dell’architettura medievale armena. Pensato come luogo di eremitaggio, il Monastero della Lancia (così si chiama ora) è stato frequentato dai pellegrini fino al XIII secolo, esattamente nel sabato qualsiasi che mi ha portata qui (a pochi km da Yerevan) prima di proseguire il viaggio verso il monastero di Noravank. Sono di nuovo in mezzo alle montagne, anzi alla fine di una stretta gola del fiume Amaghu, dove la pietra rossa si accende al sole con mille sfumature. La vista è da album dei ricordi sebbene le ingiurie del tempo si tocchino con mano: dal X secolo, il complesso è stato ricostruito più volte. Qui si schierano (nella nuda terra in segno di umiltà) le tombe della famiglia Orbelian, la dinastia nobiliare armena che ha magnificato molti luoghi sacri e lasciato vestigia in tutto il Paese. Furono gli Orbelian a ricostruire Noravank dopo il saccheggio dai mongoli nel 1238, assai prima che venisse abbattuto dalla potenza dei terremoti. L’ultimo sisma, nel 1931, ha cancellato la copertura della chiesa principale che negli anni Ottanta era stata ripristinata. Nel sito ci sono due chiese. La facciata di Surb Astvatsatsin (Santa Madre di Dio) ha sculture particolarissime mentre Surb Karapet (San Giovanni Battista) pare sia la più antica.
Spiritualità e natura
Altra tappa sacra, altra meraviglia nella regione di Syunik che si mostra dopo l’ascesa in funivia. E che cabinovia! La Wings of Tatev è la più lunga del mondo: 5 km e 700 m di avveniristica tecnologia (nel 2023 ha vinto il World Travel Awards) per sorvolare vette, rocce, cascate e la grande Gola del fiume Vorotan. E poi chiudere gli occhi quando la paura del baratro prende il sopravvento. Non è facilissimo, ma sottrarsi a un’esperienza così genera rimpianto. Il villaggio di Tatev è più vicino di quanto appaia. Il monastero di Tatev è in rovina a causa del sisma del 1931 e per questo ancora più suggestivo. Sullo sperone di roccia dove è stato eretto nel IX secolo sono abbarbicate le mura difensive, i fiori selvatici, la Chiesa di Pietro e Paolo con le sue cupole (del 900 d. C. circa), la Chiesa a volta di San Gregorio e un gavazan, un obelisco oscillante alto 15 m. Secondo alcuni storici il gavazan serviva a osservare la costellazione di Orione, mentre altri affermano che fosse una stele davanti a cui pregare per avere conferma sulla solidità della propria vocazione. Nell’uno e nell’altro caso la risposta al quesito si aveva se l’obelisco oscillava. E le domande devono essere state parecchie visto che nel complesso nel 1200 vivevano già ben 500 monaci. Tornando verso nord, verso il lago di Sevan, vale la pena sostare nel rigoglioso Parco Nazionale di Dilijan che prende il nome dalla cittadina di Dilijan. L’area protegge quasi 2.000 specie vegetali e animali delle catene di Pambak e Areguni. Tra una radura dei boschi si nasconde un monastero che è un piccolo gioiello: Matosavank. Una chiesa, un sagrato e una biblioteca salvati dai muschi che li hanno aggrediti nei secoli. Siamo a poco meno di 1380 m di altitudine, eppure sembra di essere su un altro pianeta dove gli antichi hanno fatto un patto con la montagna perché i viaggiatori del 2025 potessero trovare almeno traccia delle origini.
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Testo di Donatella Chiappini pubblicato su Confidenze 44/2025