In Trentino per un salto nel passato

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Nel Parco Archeo Natura di Fiavè, in provincia di Trento, si può tornare all'età del bronzo, complice un paesaggio incontaminato. ma la zona è ricca anche di acque termali per trattamenti relax

Provare l’emozione di vivere per qualche ora in un villaggio costruito 4.000 anni fa, tra laghetti e montagne, entrando nelle palafitte con tanto di giacigli, focolare, utensili da cucina. È quello che mi ha regalato il Parco Archeo Natura di Fiavé (Tn), adagiato fra il lago di Garda e le pendici meridionali delle Dolomiti del Brenta, con tre altipiani che confluiscono verso Comano Terme.

ESPERIENZA INTERATTIVA

Il mio itinerario muove dal Museo delle Palafitte di Fiavé, aperto nel 2012 in una dependance del palazzo abitato dai conti d’Arco, che aveva il forno dove ora c’è la biglietteria. Quando arrivo assieme a un gruppo ristretto, Franco Marzatico, soprintendente ai Beni Culturali della provincia di Trento, ci spiega che la struttura è stata pensata per un’esperienza manuale, che punta sull’interazione con fruitori di tutte le età. E durante la visita mi rendo conto che il museo diventa sempre più immersivo, man mano che salgo verso l’ultimo piano. All’inizio filmati e pannelli mi danno l’idea della zona nell’età del Bronzo: qui coesistevano diversi modi di costruire, ovvero palafitte sull’acqua, sul terreno e ai margini di un lago che a un certo punto si è prosciugato diventando una torbiera. Lo spaccato di uno scavo archeologico racconta la situazione di fronte alla quale si sono trovati gli studiosi, che hanno cominciato a lavorare nel 1969 per raccogliere dati fondamentali non solo sulle scelte abitative, ma anche sul rapporto di reciproco condizionamento fra uomo e ambiente. Nelle ultime sale mi accosto alla quotidianità di una famiglia preistorica, attraverso testimonianze sulla cucina, che attingeva a coltura e allevamento, sul modo di conservare gli alimenti e di costruire utensili come ciotole, cucchiai e frullini. Poi mi aggiro fra spazi dedicati all’arte femminile di filare, tessere e agghindarsi.

RITORNO A UN’ALTRA ERA

Dopo aver avuto un quadro d’insieme sull’insediamento trentino, che rientra in una rete di 111 siti posti sotto l’egida dell’Unesco, mi incammino verso il luogo che si è rivelato fondamentale per gli studi del settore. Uscendo dal centro di Fiavé, una stradina che scende ondeggiando dolcemente mi fa attraversare un paesaggio tutelato come Riserva naturale, con tre tipi di verde: quello intenso dei boschi, quello più chiaro dei campi coltivati e il verde che, a tratti, vira verso il grigio della torbiera. Salgo sulla passerella in legno del Parco inaugurato il 26 giugno scorso, che mi porta attorno a un laghetto dal quale fanno capolino le estremità di pali che un tempo erano lunghi una decina di metri. Mi guardo attorno e sento giusto il soffiare del vento e i profumi delle piante, mentre mi soffermo su alcune ricostruzioni: a pochi passi c’è un’altra selva di pali, con inclinazioni diverse, ai piedi della quale fa bella mostra il pattume di un tempo, con recipienti rotti e resti di un focolare. Poco più in là, osservo un reticolato in legno, che serviva come base per le abitazioni preistoriche, e sullo sfondo spuntano tre casette con il tetto a spiovente, costruite in materiali naturali. Prima di entrarci, osservo un’installazione ispirata ai cesti scoperti nelle palafitte, passo attraverso un labirinto che riproduce decorazioni dell’età del Bronzo, ammiro il modo in cui gli uomini preistorici cuocevano la terra, lavoravano i metalli e sceglievano la legna. Quindi, varco la soglia delle palafitte, fra giacigli in pelli d’animali, cesti intrecciati, angoli approntati per il fuoco, ciotole, mestoli. E devo dire che gli interni davvero mi danno l’impressione di trovarmi in un’altra era.

I PRODOTTI DEL TERRITORIO

Una volta rientrati al Museo di Fiavé su una bicicletta a pedalata assistita, ci muoviamo verso l’altopiano del Bleggio, dove negli ultimi decenni è stata reintrodotta la coltura della noce tipica, piccola, con un guscio allungato e sottile che si rompe stringendolo in una mano. Mentre pedaliamo, Alessandra Odorizzi, direttore dell’Azienda per il turismo Terme di Comano-Dolomiti di Brenta, ci racconta che in questi campi crescono anche le patate del Lomaso, chiamate “montagnine”, e nell’area vengono prodotti il miele e la ciuìga, un insaccato povero, fatto dall’Ottocento con parti di maiale e rape bianche cotte e sminuzzate. Ci avviciniamo a Rango, frazione di Bleggio Superiore, fra i Borghi più belli d’Italia, con le abitazioni in pietra a vista addossate le une alle altre e collegate fra loro da porticati, corti interne, androni, viuzze a ciottolato, che riportano dritti alla tradizione rurale, anche per i balconi in legno, foderati di pannocchie messe ad essiccare. Quindi arriviamo a Balbido, paese dipinto con murales che rappresentano episodi di vita contadina, leggende legate alle streghe, scene fiabesche. Infine, a Comano, al Grand Hotel Terme mi aspettano i trattamenti benessere, nella spa con acqua termale, fra massaggi, percorso sensoriale, piscina interna e vasche all’aperto. Il tutto immerso in uno splendido parco di 14 ettari, con alberi secolari, in cui la sera, una volta alla settimana, si ripete la passeggiata notturna che con le melodie di una violoncellista e la recitazione di due attori mi ha fatto calare nelle leggende legate ai poteri dell’acqua sulfurea.

Info: www.comanodolomiti.it

 

Articolo di Stefania Romani, pubblicato su Confidenze n. 31/2021

Foto: Tommaso Prugnola – Team Videonaria- Archivio Soprintendenza Beni Culturali PAT

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