Appunti su un’esecuzione di Danya Kukafka

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Un romanzo sul controverso tema della pena di morte

Trama – Dodici ore separano Ansel dall’iniezione letale che metterà fine alla sua esistenza. Condannato dopo essere stato riconosciuto dalla Corte come l’esecutore di più omicidi, Ansel spera di riuscire a sfuggire alla morte: grazie al suo fascino istrionico la guardia del carcere alla quale è stato affidato, Shawna, si è invaghita di lui, crede nella sua innocenza e gli ha promesso che troverà un modo per farlo fuggire. Le dodici ore che separano Ansel dalla camera della morte sono alternate, nel romanzo, dai ricordi delle donne che hanno costellato la sua vita a partire da Lavender, sua madre. Per sfuggire alle violenze del padre di Ansel, Johnny, la giovane donna lascia i figli. Conosciamo Saffy, la detective della squadra omicidi che è riuscita a catturare Ansel. Ansel che non era un perfetto sconosciuto, per lei: entrambi da giovani erano stati affidati ad una stessa famiglia. Poi Hazel, sorella gemella di Jenny. Jenny che di Ansel è stata la moglie. Jenny che da Ansel è stata uccisa. Quattro esistenze da riscattare: oltre a Jenny l’esecuzione di Ansel è la condanna per aver messo fine alle esistenze di Izzy Sanchez, Angela Meyer e Lila.

Un assaggio – Detenuto, di’ nome e numero. Ansel Packer, gridi. 999631. Ti rigiri sulla branda. Oggi è il giorno. Allunghi le gambe oltre il bordo del letto, sollevi il corpo dal materasso. Il conto alla rovescia spesso è la parte peggiore, ti ha detto il cappellano quando è venuto a trovarti ieri sera. Il cappellano ti guardava con una pietà severa; hai sempre ritenuto che la pietà fosse il sentimento più offensivo. La pietà è distruzione mascherata da empatia. La pietà ti mette a nudo. La pietà ti restringe. Ti rimangono undici ore e ventitré secondi. Hanno promesso che non soffrirai. Hanno promesso che non sentirai niente di niente. C’è stata una psichiatra, una volta, che ti si è seduta di fronte nella sala delle visite con un vestito fresco di bucato e occhiali costosi. Ti ha detto cose che avevi sempre sospettato e non puoi dimenticare, cose che non avresti mai voluto sentire. Per poter fare i tuoi soliti calcoli, il viso della psichiatra avrebbe dovuto darti di più: in genere così riesci a stimare il livello effettivo di tristezza e dispiacere. Ma la psichiatra era impassibile, lo era di proposito, e per questo l’hai odiata. Che cosa provi? ha chiesto. Era una domanda inutile. I sentimenti avevano così poco valore. Perciò ti sei stretto nelle spalle e hai detto la verità: Non lo so. Niente.

Leggerlo perché – Non è una bella sensazione, quella che si prova quando si prende questo libro tra le mani. Continua a non esserlo mentre lo leggi. Persiste quando lo chiudi dopo averlo terminato. Di pena di morte è difficile parlare, soprattutto in un paese come il nostro. È giusto far pagare con la vita il prezzo di altre vite negate, interrotte? A questo interrogativo la nostra giustizia, la giustizia europea, ha da tempo detto in modo fermo ‘no’. Danya Kukafka si misura con questa scomoda tematica dando voce al condannato, ai suoi ricordi, alla sua anima congelata. Ricordi che sono ombre e reazioni di altre esistenze, di altre scelte, quella della madre soprattutto. E poi il dna, quello ereditato da suo padre Johnny. La letteratura è un luogo dove possono scendere in campo in modo libero e a mani nude tutte le proiezioni delle paure umane, delle fantasie, delle curiosità morbose, dell’attrazione per la cronaca. A lungo sono esistite forme di censura preventiva, quella che impone all’autore di non affrontare tematiche scomode, politicamente scorrette, inopportune. Per fortuna ci sono scrittori coraggiosi che hanno la forza di mettere su carta tematiche che creano disagio: sono quelle che permettono ad un dibattito o anche solo a una riflessione personale di prendere vita.

Danya Kukafka, Appunti su un’esecuzione, Bompiani

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