Tiziana Pasetti
Trama – Martina Marchiò è un’infermiera; il suo servizio – una missione – lo svolge con Medici Senza Frontiere nei luoghi dove l’umanità non ha vinto, dove un forte schiaccia un debole, dove la politica delle strategie di potere passa con superbia e ferocia sopra il corpo delle persone, dentro la loro anima. A sei mesi dal 7 ottobre 2023 Martina arriva a Gaza per sei settimane, una scelta impossibile da non prendere nonostante la paura sua e dei suoi cari: i territori della Striscia sono i più pericolosi al mondo anche per gli operatori umanitari. Come si entra in quel Paese che è stato rinchiuso in un carcere a cielo aperto ma non libero dal fuoco, un Paese non riconosciuto ma martirizzato dalle ragioni di chi muove le mani armate da un Dio che avrebbe promesso loro proprio quella terra? Quaranta chilometri di lunghezza e dodici nel punto più profonda tra mar Mediterraneo e confine con Israele pesano migliaia e migliaia di morti, pesano migliaia di persone mutilate, pesano migliaia di bambini orfani, di genitori che seppelliscono figli, di case sventrate, di identità demonizzate. Come si vivono le giornate? Come ci si salva mentre si tenta l’impossibile, curare mentre tutto intorno esplode? Chi sono gli abitanti di Gaza, come si chiamano, come vivono, come mangiano, come si lavano, come sopportano il lutto, come affrontano il dolore? E chi sono le persone che potrebbero stare al sicuro nei loro paesi senza guerre e invece partono, rischiando tutto?
Un assaggio – Ci sono bambini che in strada giocano ad “arabi ed ebrei”, una versione rivisitata del nostro “guardie e ladri”. Gli “ebrei” imbracciano dei pezzi di legno come se fossero dei fucili, mentre gli “arabi” scappano e si buttano a terra fingendosi morti ogni volta che vengono acchiappati dagli altri. Vorrei poter sorridere di questi bambini che ancora giocano, invece provo un profondo dolore per questi piccoli che dalla nascita conoscono solo l’occupazione e la violenza. Ieri qualcuno mi ha raccontato la storia della Palestina facendomi sentire spezzata. Ho pensato a quelle famiglie espulse dai loro villaggi e immaginato come mi sentirei se qualcuno dovesse decidere che la mia casa non mi appartiene più e che non posso più passeggiare in quei luoghi in cui sono cresciuta senza avere paura di essere offesa, Aggredita o assassinata. Abbraccio questa sensazione di voler restare o di voler ritornare nei luoghi che sono casa e mi scendono le lacrime. Ci sono bambini nati qui a Rafah, nei campi profughi, che non conoscono il luogo da cui proviene la loro famiglia, e la loro patria e tra queste tende bianche in cui non si respira mai per davvero. Non ce la faccio più, ho pensato oggi. Me ne sono subito vergognata ed è arrivato il senso di colpa pensando ai miei colleghi palestinesi che vivono in questo incubo ormai da sette mesi. Da giorni lavoriamo nel sottotetto, unico posto in cui sperare di poter avere per qualche minuto la connessione Internet. Ieri il boato sonico di un jet si è fatto sempre più vicino. Ho pensato fosse arrivata alla fine, mentre Issa, di fianco a me, rimaneva impassibile. C’è stato un momento in cui mi sono tappata le orecchie e mi sono lanciata su di lui senza pensarci. Mi sono preparata all’impatto. Il corpo ha reagito prima che potessi sceglierlo pensando a quello che sarebbe accaduto dopo pochi istanti. L’essere umano ha questa memoria corporea che qualche volta salva, altre volte è una bella fregatura. Il jet ha proseguito per la sua strada il mio collega mi ha guardato con occhi comprensivi. «Se lo puoi sentire, ti salvi. Se senti il suono di qualcosa che va, vuol dire che non sei tu il bersaglio, altrimenti non hai tempo di sentire e pensare a nulla. Sei semplicemente morto».
Leggerlo perché – “È il silenzio l’arma che più di tutte semina morte a Gaza. Quello dei governi occidentali che al massimo azzardano tiepide critiche che non sfiorano i criminali di guerra”, scrive Pablo Trincia nella prefazione. Gaza non è Hamas, Gaza è un popolo, è una storia, è radici e casa. Quando è un popolo forte di armi a muovere guerra è difficile prendere le parti di chi è debole, si rischia tanto. Israele non è la pagina drammatica della Shoah, è uno stato che vuole il potere e che di questa si serve per giustificare ogni sua azione. Contro di loro non si può vincere. Ma accanto alle vittime innocenti si può scegliere di stare. Lo fa gente come Martina. Grazie al cielo, mentre l’orrore si maschera da Dio, qualcuno ancora umano c’è.
Martina Marchiò, Brucia anche l’umanità, Infinito
















