Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi

Leggi con noi
Ascolta la storia

Un romanzo coraggioso che parla di aborto, di voglia di maternità, di dolore, di perdita, di invidia verso chi ‘figlia’ senza problemi. Una voce unica.

Trama – Antonella è rimasta incinta la prima volta, e per la prima volta ha scelto di abortire, a diciotto anni. La seconda a venti. Antonella aveva un sogno: diventare scrittrice. Per questo motivo o forse per nessuno in particolare, quelli non erano stati i momenti adatti per diventare anche madre. Poi c’è un momento nuovo, forse l’uomo giusto, forse gli anni non più infiniti davanti, forse tutto questo insieme e il desiderio arriva. Il desiderio arriva e il bambino no. Comincia quindi un percorso a ostacoli: il sesso finalizzato che diventa meccanico e insopportabile, i ritardi che illudono, i mille esami per capire cos’è, se c’è, che non va. La decisione di intraprendere la strada della Procreazione medicalmente assistita (Pma). Intanto, la carriera di scrittrice va avanti. C’è un libro che sta per uscire, la parola data alla casa editrice. Non basta. Nel momento più delicato, arriva il Covid e tutto quello che la pandemia ha generato, lockdown compresi. Antonella resta incinta. Finalmente il suo sogno potrà realizzarsi. Se si fosse trattato di un romanzo, di una favola, forse sarebbe andata davvero così. Cose che non si raccontano non è un romanzo, però, e neanche una favola. 

Un assaggio – Ieri Andrea mi ha detto di nuovo che devo superare questa storia. Lo dice quando litighiamo tanto. L’ha detto quando a natale non sapevamo che fare e mi ha proposto di vedere Harry Potter, ma io gli ho risposto: «Lo guardavamo l’anno scorso, io non ce la faccio». Lo dice quando non so come spostarmi, a Roma, e lui mi dice prendi il motorino e io dico: col motorino sono incazzata, il motorino non lo prendo più. L’ha detto ieri quando abbiamo litigato e io ho detto: «Cazzo, mi voglio distrarre, non voglio pensare a cosa stavamo facendo a natale l’anno scorso». Quando lo dice io prendo la mia testa, la lancio in un’altra direzione, e non lo ascolto più. Sennò che dovrei fargli? I maschi – mi dicono –, i maschi non capiscono, non ce la possono fare. I maschi. Boh. Io non lo so cosa penso dei maschi, non lo so cosa penso delle femmine. Spesso non so cosa penso, e non lo voglio sapere.

Leggerlo perché – Avevo letto qualche recensione. No, non mi interessa, per carità. Avevo reagito così. Immaginavo il solito romanzo pieno di mammitudine lacrimosa, una lagna di quelle che ti fanno venire le rughe arcigne a forza di arricciare la faccia di smorfie snervate. Poi invece quasi subito una mia amica libraia me lo regala. Lo lascio in macchina e quella stessa sera, mentre aspettavo mia figlia fuori da un locale a Testaccio, comincio a leggerlo per disperazione. Non ho più staccato gli occhi fino a quando non l’ho finito, il pomeriggio seguente: uniche pause la guida verso casa, tre/quattro pipì, una manciata di ore di sonno, un maritozzo alla panna e un carciofo alla romana. Alessandra Lattanzi è riuscita a scrivere la sua storia senza coccolarla, senza consolarla, senza deformarla con il senno del poi. Parlare di aborto, di voglia di maternità, di paura, di dolore, di confusione, di perdita, di invidia verso chi ‘figlia’ senza quasi accorgersene, senza ricorrere alle parole che in genere si utilizzano, parole fiocchetto, parole panciute, parole in posa e poi parole da affidare agli angeli; riuscire a scrivere ‘ho sperato che almeno uno dei miei figli morisse per dare la possibilità almeno ad uno di farcela’ è qualcosa che richiede una bella dose di coraggio. La Lattanzi credo abbia avuto e abbia un grande coraggio, non solo narrativo. E una fantastica accettazione per la vita, quella con la v minuscola. L’unica vera. L’unica che apre le porte alla letteratura. Bravissima davvero.

Antonella Lattanzi, Cose che non si raccontano, Einaudi 2023

Confidenze