Delia o un mattino di giugno di Margherita Loy

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Un romanzo che parla alle vite di tutti noi

Trama – Delia, la sua mezza età, i suoi 90 chili. I chili figli dell’amore interrotto dalla scomparsa di Folco, dalle notti passate a mangiare di nascosto per riempire un vuoto incolmabile e vorace. Delia e i suoi due figli da crescere, Delia e il suo lavoro, Delia e la fretta, l’unico antidoto per non avvertire il dolore, correre per tornare a casa, correre per preparare la cena, correre per portare Andrea e Michele all’asilo e poi a scuola. Del tragitto che collega la sua casa, quella con il giardino da curare, al suo ufficio, Delia conosce ogni sfumatura, compreso l’uomo che fuma accanto al semaforo, il semaforo all’incrocio, un uomo che sembra non avere fretta, grande, con un addome prominente, teso, come quello dei pinguini. E l’uomo-pinguino, come comincerà a chiamarlo, un medico ematologo molto più grande di lei e pieno di storie da raccontare. Un uomo esperto nell’arte di liberare il sangue, e i ricordi, dai veleni che rappresenterà per Delia (anche lei, a poco a poco, ci racconta le pagine della sua vita, della vita di chi ha avuto accanto, di suo padre, di sua madre Cathy morta giovanissima e perduta nell’abuso di alcol e vortici di follia, della compagna che suo padre terrà in disparte per non ferire le figlie, il ruolo quasi da altare della sua vecchia automobile). la chiave di volta, il mattino di una nuova estate.

Un assaggio – La mattina che seguiva la mia notte con la camicia di Fosco era però crudele: l’intimità scompariva, il desiderio, vivo nel buio, alla luce si rivelava un inganno, e mi sentivo morire. La camicia era un cencio arrotolato vicino al cuscino; mi ero solo illusa. Il senso di vergogna non mi abbandonava per tutto il giorno e dovevo più volte piangere. Mi infuriavo con i figli, ero nervosa e cancellavo la dolcezza della notte con la rabbia. Ero stata una sciocca: quel tempo notturno vissuto con lui rinnovava alle prime luci dell’alba il suo abbandono. L’assenza dell’uomo-pinguino stamattina ha riacceso in me quella rabbia. Mi rimproveravo di aver ceduto all’illusione di aver creduto che lui potesse occupare qualche posto nella mia giornata. Al primo anniversario dalla scomparsa di Fosco, quando le improvvise sveglie notturne e i tranquillanti mi avevano lasciato addosso decine di chili, decisi di lavare le due camicie. Prima di infilarle in lavatrice, le lacerai. Lo feci rabbiosamente, con le lacrime agli occhi, come se quei pezzi di stoffa fossero i responsabili della mia angoscia; lo feci sotto lo sguardo attento di mio figlio Michele. Dall’altezza dei suoi otto anni mi aveva detto: «Mamma, non piangere. Tu hai noi. Noi non moriamo mai».

Leggerlo perché – Leggerlo perché è un piccolo gioiello. Una donna grassa, vestita sempre di blu scuro, in piedi in mezzo a un incrocio insieme a un uomo anziano con un cappello. Parlano. Parla soprattutto lui, racconta. E i suoi racconti diventano una palestra per rimettere in forma le angosce della donna. L’uomo, raccontandole una sua vecchia tristezza, un dolore d’amore, le consegna un farmaco miracoloso, una frase che ha il potere di un elettroshock: “Quanta vita può esserci in un’assenza. Credo che bisognerebbe accettare sia il desiderio di essere amati sia il desiderio di amare senza pretendere che vengano appagati”. Leggerlo perché sono pagine che sanno di una preghiera sussurrata con fede discreta, quelle preghiere che seguono una confessione, preghiere di assoluzione. Leggetelo e poi raccontatevi, con tenerezza, una grande storia: la vostra.

Margherita Loy, Delia o un mattino di giugno, Barta

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