Feria d’Agosto di Cesare Pavese

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Una serie di racconti che sembrano quadri di giorni e di stagioni. L'estate sta per finire e già promette nuove attese

Trama – Tre parti (Il mare, La città, La vigna), tre momenti temporali (la memoria infantile, la giovinezza, l’età assoluta che si compatta e comprime e sfarina nel ricordo) per raccogliere una serie di racconti (alcuni pubblicati ne Il Messaggero, il Tempo, il Secolo XIX e in Primato, altri inediti e pubblicati per la prima volta in Feria D’Agosto nel 1945 per Einaudi) scritti tra il 1941 e il 1944 dallo scrittore nato nel settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, nel cuneese. Racconti minimi e immensi, quadri di giorni e di stagioni, ritratti di natura e di cammino, di presenza e di ritorno. L’estate come stagione che proietta verso il futuro e come luogo dell’anima che tutto conserva, tutto protegge. Il ricordo è il protagonista assoluto di ogni composizione, fedele all’intuizione che Pavese afferra e non lascia più: le cose che vediamo non le vediamo mai la prima volta che il nostro sguardo si posa su di esse ma la seconda, le cose non le viviamo nel presente ma all’indomani, nel ricordo.

Un assaggio – Ora capivo perché tante cose strane si raccontano dei boschi, perché ci sono tante piante, tanti fiori mai veduti, e rumori di bestie che si nascondono nei rovi. Forse il lampo diventa una pietra, una lucertola, uno strato di fiorellini, e bisogna sentirlo all’odore. Di terra bruciata ce n’era sì, ma la terra bruciata non sa quel profumo d’acqua. La Sandiana mi rispondeva e diceva di no (ndr. Sandiana è la moglie del padre del protagonista del racconto). Nel bosco della Bicocca c’era uno spacco dentro il tufo. La Sandiana diceva ch’era stato un terremoto prima ancora che noialtri nascessimo. Nessuno se non qualche biscia poteva passarci. Ma io avevo visto una volta lassù un bel fiore lilla e chi sa che il suo odore non fosse lo stesso del lampo. Capivo che il tuono facesse gli spacchi ma il temporale cadeva dal cielo e qualcosa di bello doveva portare. – Macché, – disse la Sandiana, – tutto quello che nasce, è fatto di terra; acqua e radici sono in terra; dentro il grano che mangi e il vino d’uva c’è tutto il buono della terra -. Io non avevo mai pensato che la terra servisse a fare il grano e a mantenerci, tanto più adesso che studiavo. Se anche avevamo la Bicocca, non eravamo contadini. Ma quando mangiavo la frutta, capivo. Le frutta, seconda il terreno, hanno molti sapori. Si conoscono come fossero gente. Ce n’è delle magre, delle sane, delle cattive, delle aspre. Qualcuna è come le ragazze. Ci sono fichi e uva luglienga alla Bicocca che sanno ancora di Sandiana. (da La storia segreta, capolavoro assoluto che chiude la raccolta di racconti).

Leggerlo perché – Vi invito a leggere questa raccolta (potete cominciare dall’inizio oppure dalla fine o da metà, come preferite) per farvi un regalo. Regalatevi la bellezza dei suoni, della costruzione grammaticale spesso ardita ma sacra, regalatevi le immagini che si creano lentamente fino a riempire quadri minuziosi che ritraggono ambienti e sensazioni. Pavese ci porta in collina e da lì ci dice ‘guardate’. Ci invita a guardare orizzonti chiari e orizzonti di nebbia, boschi che diventano mari, solitudini che diventano parentesi del caos. L’estate sta per finire e già promette nostalgie e nuove attese. Pavese ci porta in collina e ci dice ‘ricordate’. L’estate è un movimento fermo per raccogliere i frutti che hanno radici altrove. La nostra vita non è un romanzo ma una raccolta di racconti tenuti, e tessuti, insieme da qualcosa di più del destino e da qualcosa di meno dell’eternità.

Cesare Pavese, Feria d’Agosto, Einaudi

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