Il nostro viaggio di Enisa Bukvić

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Enisa Bukvic quando scoppiò il conflitto bosniaco era già sposata a un romano e viveva in Italia, ma non riuscì a restare a guardare e tornò in patria ad aiutare. Questo libro è il diario di quei giorni

Tiziana Pasetti

Trama – Enisa nel 1987 ha sposato un romano che aveva conosciuto un anno prima sull’isola di Hvar e si è trasferita in Italia, prima quindi dello scoppio della guerra che ha disintegrato la sua Bosnia. La distanza, la costruzione della sua nuova vita, non sono riuscite a renderla spettatrice passiva del disfacimento di un popolo e di un Paese. Con coraggio e determinazione ha aiutato chi era rimasto in patria, non solo amici e parenti, portando aiuti di ogni genere senza curarsi del pericolo che correva ogni volta. Nel suo libro, non un romanzo ma una sorta di diario scritto ricordando, sono raccontati quei giorni, quella paura, quella disperazione, quello sconforto, quello stupore. Perché quella guerra? A chi è davvero servita? E perché la stampa l’ha raccontata in modo così impreciso, descrivendolo come un conflitto tra religioni? Enisa ci racconta la Bosnia, il carattere della sua gente, il suo multiculturalismo reale e ce li racconta contestualizzandoli all’interno di un conflitto feroce.

Un assaggio – In Jugoslavia tutti avevano sempre vissuto bene, in maniera pacifica, in fratellanza e uguaglianza, e non riuscivo a collegare gli aspetti positivi della diversità con la guerra. Queste considerazioni partivano dalla mia esperienza personale e dalla vita che avevo condotto nella ex Jugoslavia. Dal mio punto di vista la diversità non poteva essere la causa della guerra. Noi vivevamo insieme, spesso ignorando quale fosse la religione dei nostri amici e compagni di scuola e, a dirla tutta, non era importante neanche saperlo. Parlo delle generazioni nate e cresciute in Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale. Semplicemente, non riuscivo ad accettare che alla radice del conflitto ci fossero questioni puramente religiose, così come ci raccontavano i giornalisti: non era verosimile. Mi torna alla memoria il periodo universitario, quando vivevo nella casa dello studente Nedžarići, a Sarajevo. Lì abitavano giovani provenienti da tutta la ex Jugoslavia, sebbene in maggioranza provenissimo dalla Repubblica della Bosnia Erzegovina. Eravamo amici, mangiavamo, studiavamo e uscivamo insieme, ci fidanzavamo tra noi, senza badare alla religione di appartenenza. Nelle feste che spesso organizzavamo, ci ritrovavamo tutti e bevevamo birra, vino e grappe. Nessuno, musulmani inclusi, si è mai sognato di non bere con qualcun altro per motivi religiosi. E mangiavamo salami di tutti i tipi, compresi quelli di carne di maiale. L’aspetto più concreto della tolleranza che caratterizzava la convivenza tra noi studenti era la condivisione dello stesso letto. Gli studi universitari erano gratuiti, gli studenti potevano ottenere borse di studio e il permesso di vivere nella casa dello studente – dove si pagava poco – soltanto se superavano gli esami dell’anno in corso. C’erano molta solidarietà e senso pratico tra noi: coloro che riuscivano ad ottenere l’alloggio presso la casa dello studente dividevano sia il letto sia le spese con chi era rimasto senza.

Leggerlo perché – Quello di Enisa non è un libro perfetto, lei stessa lo sottolinea all’inizio di questo suo lavoro che oggi torna utilissimo. Di Sarajevo e del conflitto bosniaco si parla di nuovo, la procura di Milano indaga su un gruppo di italiani che avrebbe preso parte a un turismo orribile, weekend a giocare ai cecchini sparando sulla popolazione disarmata della città assediata. I fatti che sconvolgono gli equilibri del mondo si prestano da sempre a essere materia dei romanzi ma leggere le parole scritte da chi ha vissuto la Storia, leggerle senza la cornice della forma e dello stile, ha un valore immenso di denuncia e di educazione agli eventi.

Enisa Bukvić, Il nostro viaggio, Infinito

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