La donna che scriveva poesie a Teheran di Jasmin Darznik

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Nel suo romanzo verità Jasmin Darznik racconta la vita della più grande poetessa iraniana, Forugh Farrokhzad, e ci aiuta a capire l'amore degli iraniani per il proprio popolo

di Tiziana Pasetti

 

Trama – «Lo storico vi dirà cosa è successo, il romanziere vi dirà come è stato», ha scritto il romanziere Edgar Lawrence Doctorow. Jasmin Darznik, nata in Iran nel 1973, emigrata negli Stati Uniti con la sua famiglia quando aveva cinque anni. Partirono nel 1978 con due valigie in pelle rossiccia, con l’intenzione di tornare indietro non appena l’aggravarsi dell’agitazione fosse rientrata. Nel 1979 scoppiò la rivoluzione e la sua famiglia non tornò mai più a casa. Tra i beni portati con sé da sua madre, un sottile libro di poesie di una ragazza dai capelli neri e dai grandi occhi. Nel suo romanzo verità Jasmin racconta la vita della più grande poetessa iraniana, Forugh Farrokhzad, nata a Teheran nel 1935 dove è morta a 32 anni scivolando con la sua macchina su una lastra di ghiaccio. Sposata, per amore, madre di un bimbo, lascia suo marito per rincorrere la sua sete di libertà in un paese adorato (forse uno dei luoghi più belli del pianeta, una delle culture più ricche e fertili) e, per le sue aberrazioni politiche (tutte strumentalizzate ma incentrate su un unico bene/dio/interesse, il petrolio), combattuto. Il divorzio le provocherà una profonda depressione, legata alla perdita della custodia del piccolo Kami, e alla reclusione in un ospedale psichiatrico. La poesia, l’arte, rappresentano il filo conduttore della sua esistenza. Gode ancora oggi di una grande popolarità, soprattutto nella sua terra, dove viene letta clandestinamente.

Un assaggio – Mi chiamo Forugh, che in farsi significa “luce eterna”. Sono nata in Iran, un paese che si estende su un altopiano di roccia che arriva a toccare anche i quattromila metri di altezza. A nord ci sono foreste di pini, betulle e pioppi a costeggiare il mar Caspio; a sud, invece, moschee dalle cupole turchesi, villaggi scolpiti nella roccia color miele e i giardini e i palazzi devastati di Pasargade, Susa e Persepoli. Vasti deserti di sale e sabbia si estendono da est a ovest. All’interno dei confini dell’Iran, tutte e quattro le stagioni si alternano ogni giorno dell’anno. qui, sotto una superficie di fiori di campo, sabbia, roccia e neve in continuo mutamento, vene nere di petrolio affondano fino al cuore della terra. Nel 1935, l’anno in cui sono nata, Teheran era stata liberata da tempo dalle mura di fango e dal fossato poco profondo che la circondava anticamente, ma era ancora una città antiquata con strade sterrate, vicoli stretti e case dal tetto piatto che ospitavano interi clan. Non aveva niente della bellezza di Isfahan o Shiraz, con le loro moschee scintillanti e i palazzi sontuosi; la città era circondata da alte montagne che perfino in estate davano all’aria il profumo della neve. Se ci penso mi sembra impossibile che il mio vecchio quartiere di Teheran, con le sue case, i vicoli e i portici possa non esistere più, ma so che se tornassi oggi, dopo tutto questo tempo, dopo la guerra e la rivoluzione, non riuscirei più a trovarlo. Eppure devo solo chiudere gli occhi per tornare nella casa di mio padre ad Amiriyeh. Per anni quella casa è stata il mio unico paese e il quadrato azzurro sopra il giardino di mia madre tutto il cielo che conoscevo.

Leggerlo perché – Poeta è chi non scende a compromessi con il mondo e soprattutto con se stesso. Poeta è chi non si accontenta, chi non accetta il limite dell’assenza di ali per poter volare. Leggere la poesia di Forugh Farrokhzad è meraviglioso e potente. Nel romanzo della Darznik c’è la vita, c’è la società, c’è anche la composizione in versi della poetessa. Lettura bellissima per capire l’amore degli iraniani (delle donne soprattutto) per il proprio popolo, la propria cultura, il loro dolore: «Come un uccello in gabbia, non ho mai smesso di cantare».

Jasmin Darznik, La donna che scriveva poesie a Teheran, Piemme

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