La prigione di Georges Simenon

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Un delitto passionale ad opera di una moglie che scopre il tradimento del marito con sua sorella. Ma è davvero così? Un romanzo che intriga

di Tiziana Pasetti

 

Trama – Alain Poitaud è davvero un buon partito: a soli 32 anni è un editore di successo. Ha una moglie giornalista, Jacqueline, bellissima e intelligente. Hanno un bambino di cinque anni, Patrick. Poi c’è la sorella minore di sua moglie, Adrienne. Alain non ha mai chiamato sua moglie per nome, ha sempre preferito chiamarla Micetta. Alain non ha mai chiamato molto suo figlio in generale; il piccolo vive fuori Parigi, nella tenuta di Les Nonnettes, affidato a una tata e a una coppia di anziani che si occupano della casa e del giardino. Alain e Micetta lo raggiungono nel weekend, insieme ad amici e conoscenti. Alain non ha mai chiamato Adrienne per nome: nei sette anni in cui la sorella di sua moglie, sposata e madre di due bambini, è stata la sua amante l’ha sempre chiamata Bimba. La sera in cui Micetta uccide Bimba con la pistola che il marito teneva nel cassetto del suo comodino è già passato più di un anno dall’ultimo incontro amoroso tra Alain e sua sorella. Alain è certo che il motivo scatenante di tutto è lui, il suo aver amato troppo e troppe. Ma è un romanzo di Simenon e la trama della vita, quando a filtrarla e riversarla su carta è lui, beh…se avete letto già qualcosa scritto dal belga sapete. Se non lo avete mai fatto (non mi riferisco al mondo di Maigret ma alla produzione svincolata dal commissario) io vi invito a correre ai ripari. Velocemente. 

Un assaggio – Quanti mesi, quanti anni ci vogliono perché un bambino diventi un ragazzo, e un ragazzo un uomo? Quando si può affermare che la transizione è avvenuta? Non esiste, come per la fine degli studi, una proclamazione solenne, una cerimonia ufficiale, un diploma. Alain Poitaud, a trentadue anni, impiegò poche ore, forse minuti, per cessare di essere l’uomo che era stato fino a quel momento e diventare un altro. 18 ottobre. A Parigi pioveva così fitto e le raffiche erano così forti che i tergicristalli non servivano a niente, se non a offuscare ancor più la luce dei lampioni. Lui, chino sul volante, avanzava adagio lungo boulevard de Courcelles, la cancellata nera del Parc Monceau alla sue destra; poi imboccò rue de Prony e svoltò in rou Fortuny, dove abitava. Era una via corta, costeggiata da palazzi signorili. Per fortuna trovò parcheggio quasi di fronte  a casa e mentre richiudeva la portiera alzò automaticamente la testa per vedere se l’ultimo piano era illuminato. Era un gesto talmente istintivo che non avrebbe saputo dire se le luci erano accese oppure no. Del resto stava già avanzando nel temporale che gli schiaffava acqua gelida in faccia e sui vestiti e spinse il portone di ferro battuto con il vetro smerigliato. Un uomo impalato sulla soglia, come per proteggersi dalla pioggia, entrò subito dopo di lui. «Il signor Poitaud?». La luce era smorzata, le pareti rivestite di pannelli di legno. «Sono io, sì» risposi stupito.

Leggerlo perché – Intanto leggerlo per far pace con la scrittura che cattura e trascina in un vortice irresistibile. Poi perché in questo ultimo romanzo tradotto da Adelphi (ma quanto materiale ci ha lasciato, Georges?) ci ritroviamo in una situazione che all’inizio sembra chiarissima: un delitto passionale ad opera di una moglie che ha scoperto il tradimento di sua sorella e di suo marito. Marito che se da una parte si sente responsabile per l’accaduto dall’altra non può non trarre soddisfazione per essere stato il catalizzatore di qualcosa di così estremo. Ma l’ho già scritto: è Simenon. Simenon sapeva guardare, osservare: e vedeva. Vedeva certe scomode verità. Siamo davvero sempre al centro del mondo di chi pensiamo ci ami? Perché Micetta ha sparato a Bimba? C’entra davvero suo marito Alain?

Georges Simenon, La prigione, Adelphi

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