di Tiziana Pasetti
Trama – Una raccolta di saggi e articoli su scrittori, poeti e scienziati che Italo Calvino scrisse e pubblicò in diversi periodi della sua vita, curata e pubblicata nel 1991 da Esther Calvino. L’Odissea, Senofonte, Ovidio, Galileo, Nezami, Robinson Crusoe, Candido, Stendhal, Balzac, Dickens, Flaubert, Tolstoj, Twain, James, Stevenson, Conrad, Pasternak, Gadda, Montale, Hemingway, Ponge, Borges, Queneau, Pavese. Era il 28 giugno 1981 quando, da pagina 56 a pagina 68, su L’Espresso, Calvino scrisse l’articolo che apre la raccolta: Italiani, vi esorto ai classici. 14 punti/spunti di riflessione, tra cui – fondamentali e geniali – il terzo, “I classici sono libri che esercitano un’influenza particolare sia quando s’impongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale”; il quarto, “D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima” e il quinto, “D’un classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura”.
Un assaggio – 14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile fa da padrona. Resta il fatto che leggere i classici sembra in contraddizione col nostro ritmo di vita, che non conosce i tempi lunghi, il respiro dell’otium umanistico; e anche in contraddizione con l’eclettismo della nostra cultura che non saprebbe mai redigere un catalogo della classicità che fa al caso nostro. Erano le condizioni che si realizzavano in pieno per Leopardi, data la sua vita nel paterno ostello, il culto dell’antichità greca e latina e la formidabile biblioteca trasmessagli dal padre Monaldo. Oggi un’educazione classica come quella del giovane Leopardi è impensabile, e soprattutto la biblioteca del conte Monaldo è esplosa. I vecchi titoli sono stati decimati ma i nuovi sono moltiplicati proliferando in tutte le letterature e le culture moderne. Non resta che inventarci ognuno una biblioteca ideale dei nostri classici; e direi che essa dovrebbe comprendere per metà libri che abbiamo letto e che hanno contato per noi, e per metà libri che ci proponiamo di leggere e presupponiamo possano contare. Lasciando una sezione di posti vuoti per le sorprese, le scoperte occasionali. I classici servono a capire chi siamo e dove siamo arrivati e perciò gli italiani sono indispensabili proprio per confrontarli agli stranieri, e gli stranieri sono indispensabili proprio per confrontarli agli italiani. Non si creda che i classici vanno letti perché «servono» a qualcosa. La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici. E se qualcuno obietta che non val la pena di far tanta fatica, citerò Cioran: «Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando un’aria sul flauto. “A cosa ti servirà”, gli fu chiesto. “A sapere quest’aria prima di morire”».
Leggerlo perché – I classici, scriveva Calvino, non si devono leggere per dovere o per rispetto ma solo per amore. Sul ruolo che la scuola doveva avere come motore propulsivo della e per la lettura, il grande intellettuale nato a Santiago de las Vegas presso L’Avana nell’ottobre del 1923 da genitori liguri e sardi, aveva idee chiare: la scuola deve darti degli strumenti, poi sta a noi creare l’occasione per imbatterci in un libro, in quel libro, che diventerà il ‘nostro’ libro. E per sostenere il messaggio e il peso di un classico bisogna allenarsi all’attualità, vivere il proprio tempo, ascoltarlo, rifletterlo, misurarlo, considerarlo, ovviamente leggerlo. I classici, senza tempo, resistono solo se ravvivati dal rumore di fondo della contemporaneità. Leggerlo perché ci insegna che leggere i classici è l’unica risposta ai ‘perché?’.
Italo Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori
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