Radio Sarajevo di Tijan Sila

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Un libro che racconta la generazione di chi era bambino durante la guerra nei Balcani e l'ha vissuta dal vivo e non vuole che si dimentichi

Tiziana Pasetti

Trama – Tijan aveva poco più di dieci anni quando la guerra balcanica agguantò la Bosnia e assediò Sarajevo. La prima bomba che cadde sulla città, lanciata dalle truppe serbe asserragliate sui monti che la circondano, lo colse di sorpresa mentre ascoltava Suffragette City di David Bowie, sdraiato sul tappeto della sua cameretta. Disordini di ogni tipo c’erano da anni ma che la guerra potesse diventare altro oltre a una parola non lo avrebbero creduto mai, né lui né i suoi genitori. Che la guerra potesse prendere tutto e distruggerlo, distruggere la quotidianità, le abitudini, la notte e il sonno, le amicizie, la scuola, l’alimentazione, la certezza di poter arrivare vivo dall’altra parte della strada, il sorriso di una madre e la debolezza caratteriale di un padre, l’allegria di un fratellino; zittire il silenzio dei sogni e dei desideri, mandare all’aria il presente e modificare la traiettoria dei futuri possibili: questo né Tijan né i suoi genitori avrebbero potuto immaginarlo mai. “Nel 1992 nessuno a Sarajevo sapeva che una guerra non finisce mai e che vivere significa soprattutto reggere agli orrori”.

Un assaggio – I miei genitori erano sopravvissuti forse alla guerra, ma alla fine la guerra li distrusse. Così come mio nonno Šefkija, che durante la Seconda guerra mondiale aveva incassato sei ferite da arma da fuoco per poi morire nel 1980 a causa di un tumore al cervello formatosi attorno ai residui di una pallottola di fucile. Anche noi lasciammo la nostra guerra con dei corpi estranei nel cranio. Ma tutto questo – l’ossessione dei miei genitori e i miei anni come loro ambasciatore all’estero – è un’altra storia. A Sarajevo potevano ancora contare su l’aiuto di amici come Muhamed. C’era sempre qualcuno che faceva in modo che non morissi di freddo, qualcuno forte abbastanza da proteggere mia madre e mio padre da loro stessi. Più forte di me. La guerra è intrisa di perversa ironia, e mio padre finì per avere ragione: alla lunga le stufe a legna diventarono inutili. E non perché ci fosse stato un armistizio. Continuarono a spararci quotidianamente, anche se con meno zelo che in autunno. I nostri assedianti trovavano disagevole bombardarci con temperature sotto lo zero, e più la neve cadeva fitta, più i proiettili si diradavano. La grande offensiva autunnale dei serbi si era esaurita. Il motivo per cui dopo poche settimane nessuno più utilizzò una stufa fu la carenza di legna. Durante la grande ondata di approvvigionamento in novembre, la città era stata completamente disboscata. In tutti i quartieri erano stati presi d’assalto i pioppi e le betulle e a dicembre erano rimasti solo pochi alberi isolati. La guerra non è solo agghiacciante, ma anche brutta e squallida. Quando sparavano non potevamo uscire di casa – e le rare volte che ci veniva concesso, non c’era niente da fare, dato che non potevamo lasciare le quattro mura del nostro isolato.

Leggerlo perché – Lo spiega alla perfezione l’autore, nella nota finale: «Tutto ciò che avete letto è vero. È realmente accaduto. In Bosnia, la generazione dei miei genitori è definita degli “sradicati” o degli “strappati”. Alla mia generazione non sono stati dati soprannomi, noi siamo i dimenticati. Ho scritto questo libro anche perché non si dimentichi». Del mio amore per Sarajevo, chi segue questa rubrica, sa. Leggere Tijan è stato incredibile, una doccia fredda dopo l’altra. Una testimonianza vera, cruda, piena di dolore, raccontata come solo chi vive in prima persona una tragedia può fare: senza retorica. Le librerie sono piene di romanzi che sulle macerie della storia innalzano trame improbabili e stonate. La storia del mondo gronda sangue, gronda indifferenza, gronda solitudine, gronda il ricordo dei giorni. Leggere le testimonianze vere, quelle senza i fronzoli furbi degli “scrittori” stipendiati, è l’unico modo per capire fino a che punto riesce a spingersi – e perdersi – l’essere umano.

Tijan Sila, Radio Sarajevo, Voland

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